«Acceleriamo la ricerca di energie rinnovabili» PAGINA DI ROBERTO GIANNETTI
L’ INTERVISTA a UGO BARDI, PRESIDENTE DI ASPO ITALIA
A livello mondiale esiste un’associazione che propugna e studia la «teoria del picco», la Association for the Study of Peak Oil & Gas (ASPO), che ha anche una sezione Italiana. Entrambe sono nate come gruppi di scienziati e ricercatori indipendenti impegnati soprattutto a studiare il tema dell’esaurimento delle risorse, soprattutto nel campo petrolifero. ASPO, nata nel 2002, si è sviluppata negli ultimi anni e conta ormai sezioni in quasi tutti i paesi occidentali. La «mission» dell’associazione si è ampliata e adesso propone una visione di tutto quello che ha a che vedere con il consumo delle risorse, senza trascurare i loro effetti ambientali, in particolare il riscaldamento globale.
ASPO-Italia è nata nel 2003 con gli stessi scopi e obbiettivi di ASPO internazionale, ma con una maggiore enfasi sullo studio delle energie rinnovabili.
Abbiamo intervistato il presidente di Aspo Italia, Ugo Bardi, Professore presso il Dipartimento di Chimica dell’ Università di Firenze, per farci spiegare nei dettagli la «teoria del picco».
Professor Bardi, come mai ritene plausibile la «teoria del picco»? «Io mi occupo di petrolio da ormai trent’anni, e questo concetto mi sembra molto interessante. La teoria del picco è parte della teoria dinamica dell’economia, detta anche bio-economia, o economia ecologica, che considera il sistema economico come una serie di enti legati fra di loro da una relazione di feed-back. In altri termini essa sostiene che le risorse naturali diventano sempre più costose a mano a mano che si estraggono. Questo, da un certo punto in avanti, causa il fatto che se ne estrae sempre di meno. E infatti nei paesi OCSE dal 2005 il consumo di petrolio è in flessione».
Quali fondamenti scientifici e tecnici ci sono per dire che il picco si è verificato nel 2007?
«Per il momento non se siamo sicuri. Diciamo che il picco prende un arco dal 2005 al 2010. Lo potremo dire con certezza solo fra qualche anno».
Ma questa teoria è accettata dalla comunità scientifica o è solo una minoranza che la propugna? «La comunità scientifica normalmente non si interessa di queste cose. Si tratta di una sezione particolare della teoria economia che si applica all’economia delle risorse. Nell’economia classica non esiste questa teoria, perchè si fonda sull’assunto che le risorse naturali siano infinite. C’è anche un gruppo di negatori dell’idea, che però non definirei come scienziati, dato che sono tutte personalità del mondo manageriale, della politica, e delle industrie petrolifere. Molti di loro sono estremamente competenti, come per esempio Leonardo Maugeri, vicepresidente dell’ ENI, che ha scritto un libro nel quale, fra le altre cose, tendea negare su basi empiriche il concetto di picco. Ma la maggioranza dei contrari non dice che non c’è il picco, perchè questo deve esserci per forza, ma dice che ci sarà fra dieci, venti o trent’anni. È poi c’è anche chi dice che il picco c’è, ma non è importante, perchè sostituiremo il petrolio con altre fonti energetiche».
Ma cosa significa avere un picco? Cosa cambia prima e dopo il picco? «Beh, succede esattamente quello che sta succedendo adesso. Significa che la produzione è in stasi oppure diminuisce e di conseguenza si verifica un aumento dei prezzi. Quello che noi vediamo fisicamente come consumatori sono i prezzi, non vediamo il picco, perchè nessuno osserva tutti i giorni i dati della produzione petrolifera. Riassumendo, ci sono tre punti da capire. Innanzitutto che di petrolio ce n’è ancora, in secondo luogo che il petrolio che rimane è quello più costoso e più difficile da estrarre, e quindi, in terzo luogo, che noi lo dobbiamo pagare di più. Ci sarebbe anche un punto quattro: dato che lo dobbiamo pagare di più ne consegue che ne dobbiamo consumare di meno. Forse noi sbagliamo a parlare di “picco”, forse dovremmo dire che il petrolio “facile”, quello che costava pochi dollari al barile, sta finendo».
Ma la teoria del picco non potrebbe servire anche a fornire delle indicazioni a livello di politica economica? Come si può gestire la situazione? «In questo momento non si sta gestendo la situazione, anche perchènon si riesce a far passare questo concetto a livello decisionale, percui lagentecontinuaaparlare di speculazione. Questo mi ricorda gli untori de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, che erano quelli a cui si dava la colpa per la peste a Milano. Oggi si fa la stessa cosa dando la colpa agli speculatori. Ma in realtà la speculazione è un fatto naturale, esiste, ma non è in grado di provocare un aumento dei prezzi di cinque volte in qualche anno».
Ma secondo voi cosa si potrebbe fare? Investire sulle energie rinnovabili? «Certo, investire al massimo sulle energie rinnovabili. Anzi, io dico, vendete le scarpe dei vostri figli e investite nelle energie rinnovabili. Oggi la parte più intelligente della società sta investendo follemente in questo settore. Io stessohodecisodi smetteredi occuparmi di petrolio,dato che non mi interessa più. E anche questa è una conseguenza del picco: una persona che si è interessata per trent’anni di petrolio, ad un certo punto passa alle energie rinnovabili».
La fine dell’era del petrolio è uno scenario che ha dell’apocalittico per le nostre società, se non troviamo delle fonti di energia alternative... «Guardi, proprio ieri ho trovato un articolo interessantissimo sul ruolo del petrolio in agricoltura. Ebbene, ogni caloria alimentare che arriva sul mercato viene generata da circa 10 calorie di combustibili fossili. Questo vuol dire che se si riduce la disponibilità di combustibili fossili, si riduce anche la disponibilità di calorie alimentari. Insomma, il problema si pone in modo critico. Infatti non è solo un problema di prezzo della benzina, ma di transizione verso le energie rinnovabili, transizione che richiede moltissimi investimenti finanziari. Tuttavia la società oppone resistenza perchè non vuole sottrarre risorse ad altri settori. E questo farà sì che molto probabilmente non riusciremo a sostituire in tempo il petrolio con le energie rinnovabili. Chiaramente, esiste pure la possibilità di un crollo generalizzato della società così come la conosciamo, anche se io sono abbastanza ottimista, perchè mi sembra che le energie rinnovabili si stiano muovendo con rapidità. Però dieci o venti anni di vacche magre me le aspetto. E questo periodo è già iniziato».
Tuttavia nel campo petrolifero esiste uno strano fenomeno, ossia il fatto che da 40 anni la durata delle riserve petrolifere veniva stimata a circa 40 anni, il che significa che vengono sempre scoperti nuovi giacimenti e le tecniche di estrazione vengono migliorate. «Questo è vero, però lei deve aggiungere un piccolo particolare: questi 40 anni di riserve che ci restano, a quale costo di estrazione possono essere rese disponibili? È tutto qui il punto».
Oggi qual è il costo medio di estrazione del petrolio che arriva sul mercato? «È difficile determinare il costo medio di produzione e i dati sono poco affidabili, ma secondo quanto si legge nei rapporti dell’ International Energy Agency, si va da un minimo di 15-20 dollari al barile e un massimo di 80, che è il cosiddetto barile marginale. Quest’ultimo è il costo del petrolio offshore dell’ Alaska. C’è chi va in giroadirechec’è ilpetrolioa2dollari il barile, ma è una sciocchezza. Inoltre dobbiamo capire che la cosa più costosa non è l’estrazione, ma la prospezione, la ricerca. Infatti, una volta trovato il petrolio solo allora si può parlare di costi. Se una società investe 100 milioni di dollari per la ricerca e magari non lo trova, allora quel petrolio ha un costo infinito. Se ne trova poco ci potrebbe anche rimettere. E se il costo di produzione è di 80 dollari al barile, allora vuol dire che un prezzo di 120-140 dollari al barile è ragionevole, perchè non si può coprire tutta la domanda con il petrolio saudita che costa 20 dollari al barile».
È del tutto escluso che vengano trovati nuovi giacimenti facili da estrarre? «Mah, ora sono già cent’anni che si cerca il petrolio. Finora le prospezioni sono state fatte, e i nuovi giacimenti sono in zone difficili da raggiungere, come il Polo Nord, o lontani dalla costa, o sono più profondi, e quindi sono per loro natura più costosi. Oggi non è così facile trovare dei nuovi giacimenti. D’altra parte guardando le statistiche la situazione è chiarissima: di petrolio se ne trova sempre meno. In questo momento siamo in netto deficit fra le nuove scoperte e la produzione, e la curva delle scoperte è in netto calo. Ricordiamo inoltre che il “picco” potrebbe essere mascherato da altri eventi, percepiti in modo più drammatico, come per esempio una guerra, che verrebbe vista come la causa dell’aumento del prezzo del petrolio. Ma in realtà la vera relazione di causalità potrebbe essere inversa: il picco potrebbe essere la causa della guerra».
www.cdt.ch Corriere del Ticino
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