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Settore petrolifero: i veri problemi iniziano adesso

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

Settore petrolifero: i veri problemi iniziano adesso

Messaggioda franz il 31/08/2008, 10:54

Settore petrolifero: i veri problemi iniziano adesso

Secondo la «teoria del picco» nel 2007 toccato il massimo della produzione
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Nel campo delle previsioni economiche a volte assistiamo a fatti mol­to curiosi. Per esempio: sapete quanti anni di vita erano dati alle riser­ve di petrolio quarant’anni fa? Beh, esattamente quarant’anni. Il che si­gnifica che il petrolio sarebbe dovuto finire oggi. E sapete invece a quanti anni sono valutate le riserve di petrolio oggi? Ebbene, sono va­lutate più o meno a quarant’anni. Quindi dovrebbe esserci petrolio fino al 2050 circa, dato che sono stati scoperti nuovi giacimenti e sono sta­te migliorate le tecniche di estrazione. E da questo sorge una doman­da: ma fra quarant’anni a quanto ammonteranno le riserve di petrolio?

 Queste cifre dovrebbero tran­quillizzare, eppure non tutto sem­bra andare per il verso giusto sul fronte petrolifero, dato il repen­tino e violento aumento del cor­si del barile di greggio negli ulti­mi mesi fino a 147 dollari al bari­le (seguito da un relativo calo).

Fra le teorie che vanno per la mag­giore in questo ambito vi è quella del «picco», che afferma che il 2007 è stato l’anno in cui l’estrazione di petrolio ha raggiunto il massimo. Secondo questa teoria, la produ­zione di petrolio segue un anda­mento a «campana», e successiva­men­te al picco il ritmo di estrazio­ne scende fino a zero. E quindi ora ci troveremmo già nella parte di­scendente della curva.

Ma come è na­ta questa teo­ria? E che im­plicazioni ha per la nostra società? La teo­ria venne for­mulata da Ma­rion K. Hub­bert, un geolo­go statunitense che lavorava nel settore pe­trolifero. Nel 1956, quando l’estrazione di petrolio degli Stati Uniti era in rapida cre­scita, sviluppò un modello sulla base del quale predisse che l’estrazione nel paese avrebbe raggiunto un massimo nel 1970, e avrebbe poi iniziato a decre­scere. All’epoca questa previsio­ne non fu presa sul serio, tutta­via la quantità di petrolio estrat­ta giornalmente negli Stati Uni­ti raggiunse effettivamente un massimo nel 1971. Questa pre­visione così accurata è stata pro­babilmente dovuta alle condi­zioni di libero mercato quasi per­fette presenti negli USA, non ri­scontrabili in altre situazioni.

Quali sono le implicazioni di que­sta teoria? Facile: dopo il picco, chiaramente, la produzione non può che diminuire. E in caso di domanda crescente di petrolio, i prezzi salgono, e, quando rag­giungono una determinato valo­re critico, questo genera un mag­giore impegno nella ricerca di greggio che può portare alla sco­perta o allo sfruttamento di nuo­vi giacimenti. Le variabili di prez­zo e tecnologica possono quindi creare delle discontinuità, dei sal­ti nella produzione petrolifera.
Tuttavia va notato che il declino dell’offerta che segue il picco non ha necessariamente la velocità della crescita che l’ha preceduto. Secondo alcuni studiosi, infatti, il declino verso lo zero potrebbe essere molto più rapido della cre­scita verso il picco. Le stime sulle risorse petrolifere mondiali sono incerte, ma si ri­tiene che la quantità totale di pe­trolio che esisteva sulla terra pri­ma che cominciassimo a estrarlo ammontasse a circa duemila miliardi di bari­li.

Di questi, fino ad oggi ne ab­biamo estratti circa mille mi­liardi, circa la metà.
Come fare a es­sere sicuri che, con gli sviluppi della tecnologia, non si trovino nuovi grandi giacimenti, au­mentando la quantità di pe­trolio ancora da estrarre e posti­cipando la data del picco?

Chiaramente la certezza non esi­ste. Tuttavia, è risaputo che le sco­perte di nuovi giacimenti sono in calo dagli anni ’60. In effetti, dal 1985 circa la quantità di petrolio consumato ogni anno è superio­re a quella di nuovo petrolio sco­perto, e il divario traiduevalori si allarga sempre più.
La drammatica conseguenza che toccherà tutti noi è che i prezzi aumenteranno, per il semplice fatto che l’offerta di petrolio non sarà più in grado di soddisfare la domanda.
Ci si aspetta anche un aumento della volatilità dei prezzi, ovvero forti oscillazioni nel loro valore, dovute ad effetti di natura specu­lativa. Entrambe le cose si stan­no verificando in questo perio­do; un altro elemento che sem­bra indicare che il picco è davve­ro vicino.
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Acceleriamo la ricerca di energie rinnovabili

Messaggioda franz il 31/08/2008, 10:58

«Acceleriamo la ricerca di energie rinnovabili»
PAGINA DI ROBERTO GIANNETTI
L’ INTERVISTA a UGO BARDI, PRESIDENTE DI ASPO ITALIA

 A livello mondiale esiste un’as­sociazione che propugna e stu­dia la «teoria del picco», la Asso­ciation for the Study of Peak Oil & Gas (ASPO), che ha anche una sezione Italiana. Entrambe sono nate come gruppi di scienziati e ricercatori indipendenti impe­gnati soprattutto a studiare il te­ma dell’esaurimento delle risor­se, soprattutto nel campo petro­lifero. ASPO, nata nel 2002, si è sviluppata negli ultimi anni e conta ormai sezioni in quasi tut­ti i paesi occidentali. La «mission» dell’associazione si è ampliata e adesso propone una visione di tutto quello che ha a che vedere con il consumo delle risorse, sen­za trascurare i loro effetti ambien­tali, in particolare il riscaldamen­to globale.
ASPO-Italia è nata nel 2003 con gli stessi scopi e obbiettivi di ASPO internazionale, ma con una maggiore enfasi sullo studio del­le energie rinnovabili.

Abbiamo intervistato il presiden­te di Aspo Italia, Ugo Bardi, Pro­fessore presso il Dipartimento di Chimica dell’ Università di Firen­ze, per farci spiegare nei dettagli la «teoria del picco».

Professor Bardi, come mai ritene plau­sibile la «teoria del picco»?
«Io mi occupo di petrolio da or­mai trent’anni, e questo concetto mi sembra molto interessante. La teoria del picco è parte della teoria dinamica dell’economia, detta an­che bio-economia, o economia ecologica, che considera il siste­ma economico come una serie di enti legati fra di loro da una rela­zione di feed-back. In altri termi­ni essa sostiene che le risorse na­turali diventano sempre più co­stose a mano a mano che si estrag­gono. Questo, da un certo punto in avanti, causa il fatto che se ne estrae sempre di meno. E infatti nei paesi OCSE dal 2005 il consu­mo di petrolio è in flessione».
Quali fondamenti scientifici e tecnici ci sono per dire che il picco si è veri­ficato nel 2007?
«Per il momento non se siamo si­curi. Diciamo che il picco pren­de un arco dal 2005 al 2010. Lo potremo dire con certezza solo fra qualche anno».

Ma questa teoria è accettata dalla comunità scientifica o è solo una mi­noranza che la propugna?
«La comunità scientifica normal­mente non si interessa di queste cose. Si tratta di una sezione par­ticolare della teoria economia che si applica all’economia delle risor­se. Nell’economia classica non esi­ste questa teoria, perchè si fonda sull’assunto che le risorse natura­li siano infinite. C’è anche un grup­po di negatori dell’idea, che però non definirei come scienziati, da­to che sono tutte personalità del mondo manageriale, della politi­ca, e delle industrie petrolifere. Molti di loro sono estremamente competenti, come per esempio Leonardo Maugeri, vicepresiden­te dell’ ENI, che ha scritto un libro nel quale, fra le altre cose, tendea negare su basi empiriche il con­cetto di picco. Ma la maggioranza dei contrari non dice che non c’è il picco, perchè questo deve esser­ci per forza, ma dice che ci sarà fra dieci, venti o trent’anni. È poi c’è anche chi dice che il picco c’è, ma non è importante, perchè sostitui­remo il petrolio con altre fonti energetiche».

Ma cosa significa avere un picco? Co­sa cambia prima e dopo il picco?
«Beh, succede esattamente quel­lo che sta succedendo adesso. Si­gnifica che la produzione è in sta­si oppure diminuisce e di conse­guenza si verifica un aumento dei prezzi. Quello che noi vediamo fisicamente come consumatori sono i prezzi, non vediamo il pic­co, perchè nessuno osserva tutti i giorni i dati della produzione pe­trolifera. Riassumendo, ci sono tre punti da capire. Innanzitutto che di petrolio ce n’è ancora, in secondo luogo che il petrolio che rimane è quello più costoso e più difficile da estrarre, e quindi, in terzo luogo, che noi lo dobbiamo pagare di più. Ci sarebbe anche un punto quattro: dato che lo dobbiamo pagare di più ne con­segue che ne dobbiamo consu­mare di meno. Forse noi sbaglia­mo a parlare di “picco”, forse do­vremmo dire che il petrolio “fa­cile”, quello che costava pochi dol­lari al barile, sta finendo».

Ma la teoria del picco non potrebbe servire anche a fornire delle indica­zioni a livello di politica economica? Come si può gestire la situazione?
«In questo momento non si sta ge­stendo la situazione, anche per­chè­non si riesce a far passare que­sto concetto a livello decisionale, percui lagentecontinuaaparla­re di speculazione. Questo mi ri­corda gli untori de “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni, che erano quelli a cui si dava la colpa per la peste a Milano. Oggi si fa la stessa cosa dando la colpa agli spe­culatori. Ma in realtà la specula­zione è un fatto naturale, esiste, ma non è in grado di provocare un aumento dei prezzi di cinque vol­te in qualche anno».

Ma secondo voi cosa si potrebbe fare? Investire sulle energie rinnovabili?
«Certo, investire al massimo sul­le energie rinnovabili. Anzi, io di­co, vendete le scarpe dei vostri figli e investite nelle energie rin­novabili. Oggi la parte più intel­ligente della società sta investen­do follemente in questo settore. Io stessohodecisodi smetteredi occuparmi di petrolio,dato che non mi interessa più. E anche questa è una conseguenza del picco: una persona che si è inte­ressata per trent’anni di petrolio, ad un certo punto passa alle energie rinnovabili».

La fine dell’era del petrolio è uno sce­nario che ha dell’apocalittico per le nostre società, se non troviamo del­le fonti di energia alternative...
«Guardi, proprio ieri ho trovato un articolo interessantissimo sul ruolo del petrolio in agricoltura. Ebbene, ogni caloria alimentare che arriva sul mercato viene ge­nerata da circa 10 calorie di com­bustibili fossili. Questo vuol dire che se si riduce la disponibilità di combustibili fossili, si riduce anche la disponibilità di calorie alimentari. Insomma, il proble­ma si pone in modo critico. In­fatti non è solo un problema di prezzo della benzina, ma di tran­sizione verso le energie rinnova­bili, transizione che richiede moltissimi investimenti finanzia­ri. Tuttavia la società oppone re­sistenza perchè non vuole sot­trarre risorse ad altri settori. E questo farà sì che molto proba­bilmente non riusciremo a sosti­tuire in tempo il petrolio con le energie rinnovabili. Chiaramen­te, esiste pure la possibilità di un crollo generalizzato della socie­tà così come la conosciamo, an­che se io sono abbastanza otti­mista, perchè mi sembra che le energie rinnovabili si stiano muovendo con rapidità. Però dieci o venti anni di vacche ma­gre me le aspetto. E questo pe­riodo è già iniziato».

Tuttavia nel campo petrolifero esi­ste uno strano fenomeno, ossia il fatto che da 40 anni la durata del­le riserve petrolifere veniva stima­ta a circa 40 anni, il che significa che vengono sempre scoperti nuo­vi giacimenti e le tecniche di estra­zione vengono migliorate.
«Questo è vero, però lei deve ag­giungere un piccolo particolare: questi 40 anni di riserve che ci re­stano, a quale costo di estrazio­ne possono essere rese disponibi­li? È tutto qui il punto».

Oggi qual è il costo medio di estra­zione del petrolio che arriva sul mer­cato?
«È difficile determinare il costo medio di produzione e i dati sono poco affidabili, ma secondo quan­to si legge nei rapporti dell’ Inter­national Energy Agency, si va da un minimo di 15-20 dollari al ba­rile e un massimo di 80, che è il co­siddetto barile marginale. Que­s­t’ultimo è il costo del petrolio off­shore dell’ Alaska. C’è chi va in gi­roadirechec’è ilpetrolioa2dol­lari il barile, ma è una sciocchez­za. Inoltre dobbiamo capire che la cosa più costosa non è l’estrazio­ne, ma la prospezione, la ricerca. Infatti, una volta trovato il petro­lio solo allora si può parlare di co­sti. Se una società investe 100 mi­lioni di dollari per la ricerca e ma­gari non lo trova, allora quel pe­trolio ha un costo infinito. Se ne trova poco ci potrebbe anche ri­mettere. E se il costo di produzio­ne è di 80 dollari al barile, allora vuol dire che un prezzo di 120-140 dollari al barile è ragionevole, per­ch­è non si può coprire tutta la do­manda con il petrolio saudita che costa 20 dollari al barile».

È del tutto escluso che vengano trova­ti nuovi giacimenti facili da estrarre?
«Mah, ora sono già cent’anni che si cerca il petrolio. Finora le pro­spezioni sono state fatte, e i nuo­vi giacimenti sono in zone diffi­cili da raggiungere, come il Polo Nord, o lontani dalla costa, o so­no più profondi, e quindi sono per loro natura più costosi. Oggi non è così facile trovare dei nuo­vi giacimenti. D’altra parte guar­dando le statistiche la situazione è chiarissima: di petrolio se ne trova sempre meno. In questo momento siamo in netto deficit fra le nuove scoperte e la produ­zione, e la curva delle scoperte è in netto calo. Ricordiamo inoltre che il “picco” potrebbe essere ma­scherato da altri eventi, percepi­ti in modo più drammatico, co­me per esempio una guerra, che verrebbe vista come la causa del­l’aumento del prezzo del petro­lio. Ma in realtà la vera relazione di causalità potrebbe essere in­versa: il picco potrebbe essere la causa della guerra».
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