E' bravo chi sceglie un istituto professionale
Lo ha dichiarato il viceministro al Lavoro e alle Politiche sociali, Michel Martone: "Bisogna dare messaggi chiari ai giovani"
ROMA - Giovani e istruzione. Una tagliente provocazione lanciata ai giovani che dilatano i tempi per raggiungere il traguardo della laurea. Un plauso, invece, a chi è più pragmatico, schietto con se stesso, capace di scegliere a 16 anni un istituto professionale piuttosto che l'università e un titolo di studio che non arriverà mai solo perché fa comodo. Ecco come commenta le scelte dei giovani sulla loro formazione il viceministro al Lavoro e alle Politiche sociali, Michel Martone: "Dobbiamo dire ai nostri giovani che se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto tecnico professionale sei bravo. Essere secchione è bello, almeno hai fatto qualcosa".
Si è espresso così Martone stamane alla "Giornata sull'apprendistato" organizzata dalla Regione Lazio nella sede dell'ex opificio Telecom in via Ostiense: "Bisogna dare messaggi chiari ai giovani" - ha concluso. E la reazione di quei ragazzi che pare non crescano mai non si è fatta aspettare: "E' opportuno far notare al ministro che non tutti coloro che si iscrivono alle università sono figli di papà" - replica di Pietro De Leo, responsabile dell'associazione Gioventù e Libertà - Anzi, l'ultima indagine eurostudent dimostra che in un periodo di crisi economica come quello attuale sono sempre di più quegli studenti che non possono permettersi il percorso formativo se non affiancando un lavoro, perchè l'eccessivo aggravio di tasse e spese non può più essere sostenuto dalla sola famiglia. Quindi, se un giovane si laurea in ritardo non è certo uno 'sfigato', anzi: proprio dalla sua condizione bisognerebbe ripartire per ripensare un sistema che negli anni ha concepito molti delusi e troppi privilegiati".
Bocciato in marketing e comunicazione. Secondo il coordinatore nazionale di Generazione Futuro, Gianmario Mariniello "Martone ha usato un linguaggio sbagliato, non confacente a un rappresentante della Repubblica italiana, che generalizza eccessivamente e rischia di travolgere anche la parte giusta del suo messaggio. Nella società italiana - continua - deve passare un messaggio culturale e sociale ben preciso: studiare, fare il proprio dovere, laurearsi in tempo e con buoni voti non è da sfigati, ma anzi è un merito da rivendicare per se stessi e un servizio reso alla comunità".
Il direttore generale dell'università 'Luiss' di Roma, Pierluigi Celli, commenta: "La frase è un pò forte, ma affronta un problema reale". Poi ricorda: "Oggi la media di età dei neolaureati italiani è superiore ai 27 anni, mentre la media europea non arriva a 24 anni. Oramai, il mercato del lavoro non è più nazionale ma quanto meno europeo se non internazionale. E allora - osserva - i giovani italiani con la laurea rischiano di presentarsi con tre, quattro anni di ritardo rispetto ai giovani europei". In ogni caso, "l'Italia resta al di sotto della percentuale Ue per quanto riguarda i laureati, anche se è vero che la struttura aziendale italiana è formata in forte misura da piccole e medie imprese, che magari richiedono più diplomati che laureati. Anche la laurea breve può essere utile, ma la vera formazione si ha con una laurea 'vera' e magari con un master post-laurea. Il richiamo del viceministro è pensante ma giusto: si deve arrivare alla laurea al massimo un anno dopo le annualità previste, diciamo entro i 25 anni. Alla 'Luiss', ad esempio, abbiamo disincentivato la presenza dei fuoricorso con rette molto più care rispetto a quelle previste per chi si laurea nel tempo stabilito".
Resta il fatto che i giovani finiscono puntualmente nel mirino dei governi, soprattutto quando si trovano a fronteggiare le conseguenze della crisi economica.
Nessuno potrà dimenticare quella la definizione usata da Tommaso Padoa-Schioppa, quando era ministro dell'Economia: "Mandiamo i bamboccioni fuori di casa". Sono passati più di quattro anni da quella esternazione e la situazione non è migliorata. La crisi economica ha accentuato un ritardo, quello dell'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, che i dati sulla disoccupazione giovanile, ormai al 30%, e i due milioni di ragazzi che non studiano e non lavorano, rischiano di rendere drammatico.
(24 gennaio 2012) www.repubblica.it