NO al voto di Camera e Senato sul dis. di legge per l'Univ.

DAL PROCESSO MEDIATICO ALL'ESECUZIONE SOMMARIA: NO AL VOTO DI CAMERA E
SENATO SUL DISEGNO DI LEGGE PER L'UNIVERSITA'
Negli ultimi 10 anni si sono succeduti al Ministero competente per l'Università e la Ricerca tre diversi
ministri. Tutti hanno introdotto provvedimenti intesi a riformare l'università italiana. Tutti hanno preso le
mosse da un ritratto dell'università italiana sostanzialmente negativo. In particolare, l'autonomia (di
gestione economica, di definizione dei corsi di studio, di reclutamento del personale) concessa agli atenei
nel corso degli anni '80 e '90 è stata via via ridotta, in base ad una ricostruzione storica secondo cui il
mondo accademico ne avrebbe fatto pessimo uso. In sostanza, il Ministero ha sostenuto e contribuito a
quello che è stato un "processo mediatico" decennale, in cui stampa e televisioni hanno riversato sui loro
lettori e ascoltatori infiniti resoconti di corsi di laurea in materie improbabili e con pochi iscritti, di casi di
nepotismo nel reclutamento e di inefficienze gestionali, tacendo invece sull'impegno ed i risultati quotidiani
della maggior parte dei docenti, dei ricercatori e degli studenti.
Dopo aver aderito a questa campagna sostanzialmente diffamatoria e dopo numerose anticipazioni, un
anno fa l'attuale ministro ha presentato un disegno di legge (il DdL 1905), contenente una "riforma
organica” dell’università suddivisa in tre titoli che affrontano:
- l'organizzazione del sistema universitario (ruolo e compiti del Rettore, del Senato Accademico, del
Consiglio di Amministrazione e relazioni degli stessi con il personale docente e non docente, nonché
con gli studenti; sono previste anche norme per la fusione tra atenei di media e minore dimensione,
come quello bresciano)
- qualità ed efficienza del sistema universitario (sono le norme che riguardano le regole di
finanziamento alla ricerca, la remunerazione dei docenti ed il diritto allo studio)
- personale accademico e reclutamento (sono le norme che regolano i compiti dei ricercatori e dei
professori, le modalità di assunzione ed il numero di assunzioni previste nel futuro più immediato).
Tutti e tre i titoli della riforma hanno destato perplessità e critiche, anche autorevoli. In particolare, il titolo
sulla qualità ed efficienza del sistema universitario prevede molte deleghe al governo, ovvero rimanda a
decisioni future e possibilmente arbitrarie del ministro di turno; mentre le norme sul reclutamento
implicano seri ostacoli per la carriera dei ricercatori e dei professori associati, ma soprattutto per l'uscita da
condizioni di oggettivo precariato per i tanti giovani che lavorano in università come dottorandi, assegnisti,
titolari di contratti di ricerca e insegnamento a tempo determinato.
Queste preoccupazioni si sommano a quelle relative ad altri provvedimenti presi appena prima della
presentazione del disegno di legge, quali:
- tagli sostanziali al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che è la principale voce di finanziamento
all'università (la legge 133 del 2008 lo ha ridotto di €63,5 milioni per l'anno 2009, di €190 milioni per il
2010, di €316 milioni per il 2011, di €417 milioni per lil 2012 e di €455 milioni a decorrere dall'anno
2013; considerando la base di partenza del 2007, significa un taglio a regime del 20%)
- vincoli al numero di insegnamenti erogabili dal personale non strutturato (ovvero i docenti a
contratto), che hanno obbligato tutti gli atenei, compreso il nostro, a sopprimere molti insegnamenti e
con essi i diversi indirizzi all'interno di ogni corso di laurea e laurea magistrale (questi vincoli si
sommano ai vincoli imposti dai decreti connessi all’attuazione del D.M. 270/04, applicato anche dal
ministro Mussi, circa il numero di insegnamenti erogabili all'interno di ogni corso di laurea e laurea
specialistica)
- tagli ai fondi per il diritto allo studio (si veda: Laudisa F. "Se il diritto allo studio non é uguale per tutti",
19/11/2010, lavoce.info; http://www.lavoce.info/articoli/-scuola ... 02013.html)
Le proteste sollevate soprattutto da ricercatori e studenti dopo l'approvazione al Senato del disegno di
legge, avvenuta nel maggio di quest'anno, hanno condotto alla presentazione di emendamenti (da parte di
governo, maggioranza e opposizione) intesi a migliorare, per quanto possibile, il testo. Tuttavia, molti di
questi emendamenti implicavano una riduzione dei tagli descritti più sopra o nuove e particolari voci di
spesa per le carriere dei ricercatori o il diritto allo studio. E questo rendeva necessario ridiscutere la legge
dopo l'approvazione della legge di stabilità, ovvero la legge finanziaria che dispone il quadro complessivo di
entrate e uscite di cui dispone il governo.
La legge di stabilità è stata a tutt'oggi approvata solo dalla Camera, deve ancora affrontare il voto del
Senato e tuttavia il governo ha riportato in discussione alla Camera stessa il disegno di legge sull'università.
Per farlo, ha dovuto revocare i suoi stessi emendamenti migliorativi, laddove implicavano spese non ancora
autorizzate dalla legge finanziaria; oppure stralciarne alcuni (quali quello per le carriere dei ricercatori) ed
allegarli alla legge finanziaria stessa, senza alcuna coerenza con il disegno complessivo della riforma
proposta.
Si tratta di un colpo di mano inaccettabile. Nella corsa contro il tempo imposta da questa accelerazione
inattesa, nelle commissioni parlamentari e in aula stessa si susseguono le presentazioni di emendamenti il
cui controllo sfugge completamente all'opinione pubblica. Il testo che emergerà da questo caos potrebbe
essere ben peggiore di quello originale, già largamente criticato e criticabile. Soprattutto potrebbe
includere ulteriori tagli oppure impegni di spesa "ad personam" per particolari categorie o atenei o ancora
nuove deleghe al governo su questioni importanti, senza certezza su come tali deleghe verranno attuate. Se
pensiamo che il futuro del governo è incerto, pendente il voto di fiducia di metà dicembre, potremmo
addirittura trovarci nella situazione di una gran quantità di interventi delegati a un governo che non c'è più.
Si tratta della peggior conclusione possibile del "processo all'università" ed alla sua autonomia, avviato
prima sui media e ora chiuso (ma speriamo non sia così) da una esecuzione sommaria, mentre la giuria è
ancora riunita per deliberare.
Per questo motivo i professori associati della facoltà di Ingegneria di Brescia si oppongono a che la Camera
(martedì 30 novembre) e successivamente il Senato (al quale il provvedimento dovrà essere re-inviato,
causa i numerosi emendamenti) si esprimano ora sul disegno di legge 1905. Vanno attese la promulgazione
della legge di stabilità, approvata e firmata dal Capo dello Stato; e va atteso il voto di fiducia al governo del
14 dicembre, insieme alle conseguenze politiche che deriveranno dal suo esito.
Invitiamo tutti a mantenere alta l'attenzione e la pressione sui propri referenti politici, di qualunque partito
essi siano, perché questa richiesta venga accolta e rispettata.
Brescia, 25 novembre 2010
I professori associati della facoltà di Ingegneria di Brescia
SENATO SUL DISEGNO DI LEGGE PER L'UNIVERSITA'
Negli ultimi 10 anni si sono succeduti al Ministero competente per l'Università e la Ricerca tre diversi
ministri. Tutti hanno introdotto provvedimenti intesi a riformare l'università italiana. Tutti hanno preso le
mosse da un ritratto dell'università italiana sostanzialmente negativo. In particolare, l'autonomia (di
gestione economica, di definizione dei corsi di studio, di reclutamento del personale) concessa agli atenei
nel corso degli anni '80 e '90 è stata via via ridotta, in base ad una ricostruzione storica secondo cui il
mondo accademico ne avrebbe fatto pessimo uso. In sostanza, il Ministero ha sostenuto e contribuito a
quello che è stato un "processo mediatico" decennale, in cui stampa e televisioni hanno riversato sui loro
lettori e ascoltatori infiniti resoconti di corsi di laurea in materie improbabili e con pochi iscritti, di casi di
nepotismo nel reclutamento e di inefficienze gestionali, tacendo invece sull'impegno ed i risultati quotidiani
della maggior parte dei docenti, dei ricercatori e degli studenti.
Dopo aver aderito a questa campagna sostanzialmente diffamatoria e dopo numerose anticipazioni, un
anno fa l'attuale ministro ha presentato un disegno di legge (il DdL 1905), contenente una "riforma
organica” dell’università suddivisa in tre titoli che affrontano:
- l'organizzazione del sistema universitario (ruolo e compiti del Rettore, del Senato Accademico, del
Consiglio di Amministrazione e relazioni degli stessi con il personale docente e non docente, nonché
con gli studenti; sono previste anche norme per la fusione tra atenei di media e minore dimensione,
come quello bresciano)
- qualità ed efficienza del sistema universitario (sono le norme che riguardano le regole di
finanziamento alla ricerca, la remunerazione dei docenti ed il diritto allo studio)
- personale accademico e reclutamento (sono le norme che regolano i compiti dei ricercatori e dei
professori, le modalità di assunzione ed il numero di assunzioni previste nel futuro più immediato).
Tutti e tre i titoli della riforma hanno destato perplessità e critiche, anche autorevoli. In particolare, il titolo
sulla qualità ed efficienza del sistema universitario prevede molte deleghe al governo, ovvero rimanda a
decisioni future e possibilmente arbitrarie del ministro di turno; mentre le norme sul reclutamento
implicano seri ostacoli per la carriera dei ricercatori e dei professori associati, ma soprattutto per l'uscita da
condizioni di oggettivo precariato per i tanti giovani che lavorano in università come dottorandi, assegnisti,
titolari di contratti di ricerca e insegnamento a tempo determinato.
Queste preoccupazioni si sommano a quelle relative ad altri provvedimenti presi appena prima della
presentazione del disegno di legge, quali:
- tagli sostanziali al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), che è la principale voce di finanziamento
all'università (la legge 133 del 2008 lo ha ridotto di €63,5 milioni per l'anno 2009, di €190 milioni per il
2010, di €316 milioni per il 2011, di €417 milioni per lil 2012 e di €455 milioni a decorrere dall'anno
2013; considerando la base di partenza del 2007, significa un taglio a regime del 20%)
- vincoli al numero di insegnamenti erogabili dal personale non strutturato (ovvero i docenti a
contratto), che hanno obbligato tutti gli atenei, compreso il nostro, a sopprimere molti insegnamenti e
con essi i diversi indirizzi all'interno di ogni corso di laurea e laurea magistrale (questi vincoli si
sommano ai vincoli imposti dai decreti connessi all’attuazione del D.M. 270/04, applicato anche dal
ministro Mussi, circa il numero di insegnamenti erogabili all'interno di ogni corso di laurea e laurea
specialistica)
- tagli ai fondi per il diritto allo studio (si veda: Laudisa F. "Se il diritto allo studio non é uguale per tutti",
19/11/2010, lavoce.info; http://www.lavoce.info/articoli/-scuola ... 02013.html)
Le proteste sollevate soprattutto da ricercatori e studenti dopo l'approvazione al Senato del disegno di
legge, avvenuta nel maggio di quest'anno, hanno condotto alla presentazione di emendamenti (da parte di
governo, maggioranza e opposizione) intesi a migliorare, per quanto possibile, il testo. Tuttavia, molti di
questi emendamenti implicavano una riduzione dei tagli descritti più sopra o nuove e particolari voci di
spesa per le carriere dei ricercatori o il diritto allo studio. E questo rendeva necessario ridiscutere la legge
dopo l'approvazione della legge di stabilità, ovvero la legge finanziaria che dispone il quadro complessivo di
entrate e uscite di cui dispone il governo.
La legge di stabilità è stata a tutt'oggi approvata solo dalla Camera, deve ancora affrontare il voto del
Senato e tuttavia il governo ha riportato in discussione alla Camera stessa il disegno di legge sull'università.
Per farlo, ha dovuto revocare i suoi stessi emendamenti migliorativi, laddove implicavano spese non ancora
autorizzate dalla legge finanziaria; oppure stralciarne alcuni (quali quello per le carriere dei ricercatori) ed
allegarli alla legge finanziaria stessa, senza alcuna coerenza con il disegno complessivo della riforma
proposta.
Si tratta di un colpo di mano inaccettabile. Nella corsa contro il tempo imposta da questa accelerazione
inattesa, nelle commissioni parlamentari e in aula stessa si susseguono le presentazioni di emendamenti il
cui controllo sfugge completamente all'opinione pubblica. Il testo che emergerà da questo caos potrebbe
essere ben peggiore di quello originale, già largamente criticato e criticabile. Soprattutto potrebbe
includere ulteriori tagli oppure impegni di spesa "ad personam" per particolari categorie o atenei o ancora
nuove deleghe al governo su questioni importanti, senza certezza su come tali deleghe verranno attuate. Se
pensiamo che il futuro del governo è incerto, pendente il voto di fiducia di metà dicembre, potremmo
addirittura trovarci nella situazione di una gran quantità di interventi delegati a un governo che non c'è più.
Si tratta della peggior conclusione possibile del "processo all'università" ed alla sua autonomia, avviato
prima sui media e ora chiuso (ma speriamo non sia così) da una esecuzione sommaria, mentre la giuria è
ancora riunita per deliberare.
Per questo motivo i professori associati della facoltà di Ingegneria di Brescia si oppongono a che la Camera
(martedì 30 novembre) e successivamente il Senato (al quale il provvedimento dovrà essere re-inviato,
causa i numerosi emendamenti) si esprimano ora sul disegno di legge 1905. Vanno attese la promulgazione
della legge di stabilità, approvata e firmata dal Capo dello Stato; e va atteso il voto di fiducia al governo del
14 dicembre, insieme alle conseguenze politiche che deriveranno dal suo esito.
Invitiamo tutti a mantenere alta l'attenzione e la pressione sui propri referenti politici, di qualunque partito
essi siano, perché questa richiesta venga accolta e rispettata.
Brescia, 25 novembre 2010
I professori associati della facoltà di Ingegneria di Brescia