Se la scuola non compra più

Una riflessione che parte da considerazioni datate (?) ma con una proposta sempre molto forte ed interessante che
richiede "solo" una presa di coscienza della forza del consumatore, della sua "martellità".
da comitatoscuola.it
Se la scuola non compra più
di Giovanna Cepparello (scritto il 15/12/2008)
Se la scuola non compra più…
Riflessioni su tagli e martelli
Nel tardo pomeriggio di ieri apprendo casualmente, in rete, che la riforma per le superiori slitterà di un anno, che il maestro unico sarà ‘facoltativo’, che per la scuola è comunque pronta una svolta storica. Come mi accade spesso ultimamente, non capisco. Aspetto i telegiornali. E capisco ancora meno. La Gelmini ha fatto marcia indietro? Oppure i suoi tecnici si sono solo resi conto della impossibilità di far partire tutta la riforma entro l’anno prossimo? E cosa vuol dire ‘maestro unico facoltativo’? Detto così, mi pare, non ha molto senso. Cerco qualcosa di ufficiale su internet. E trovo la circolare n. 100, prodotta oggi dal Ministero, e il verbale dell’incontro tra Governo e sindacati sulla scuola. E finalmente qualcosa capisco. Capisco che alcune cose vengono solo rimandate. Per esempio l’aumento degli alunni per classe, ovviamente improponibile senza riorganizzare e riqualificare l’edilizia scolastica (eppure questo mi sembrava così ovvio!!). Così come, senza grandi sorprese, viene rimandata la riorganizzazione dei percorsi di studio per la secondaria. Sul maestro unico leggo che le famiglie potranno scegliere tra 24, 27, 30 o 40 ore (ma non lo sapevamo già?), che si terrà conto delle richieste delle famiglie (cioè?), e che il tempo pieno funzionerà con due insegnanti (non essendo ancora disponibile la maestra bionica). Non mi sembra che ci siano grossi ripensamenti, se non quelli dettati dalla non fattibilità di alcuni provvedimenti. Ma capisco anche un’altra cosa, importante. I tagli restano, e restano tutti. C’è scritto a chiare lettere: la scuola verrà privata di una fetta rilevante delle risorse che attualmente ha a disposizione. E’ questo il nodo della questione.
Al di là del grembiulino, del maestro unico, del voto in condotta ecc…, il principio che sta dietro alle attuali politiche scolastiche è molto chiaro. La scuola vale poco. La scuola è un peso per la società, un onere che la finanza pubblica deve sostenere. E’ esattamente questo il distillato della ‘riforma’ Gelmini, anche dopo gli ultimi ritocchi. Basta riflettere sul fatto che, nell’Italia della crisi, il Governo ha deciso di risparmiare in primo luogo sull’istruzione. Il piano programmatico del Miur ‘di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze’ è molto chiaro in proposito: 8 miliardi di euro in quattro anni. Non è una previsione, una stima. Sono le indicazioni, precise, tassative, ufficiali, del Governo. Confermate in modo preciso, tassativo, ufficiale, anche oggi, nell’incontro con i sindacati. Sembra quasi che la scuola, fino ad ora, abbia dilapidato i denari dei contribuenti. La scuola!
Ma nella scuola vivono molte persone. Maestri, professoresse, dirigenti, bidelli, tecnici. E bambini, ragazzi, genitori. E molte di queste persone, molte veramente, hanno provato a spiegare, con fantasia e civiltà, che la scuola è un valore enorme. Che sull’istruzione si costruisce il futuro di un paese. Che nella scuola nascono un sacco di cose importanti, tipo la cittadinanza, la legalità, la creatività, la cultura. Molte di queste persone si sono incontrate dopo cena, hanno costituito comitati, hanno organizzato manifestazioni, hanno scritto documenti e preparato mozioni, riunioni, slogan e blog. Per affermare che la scuola non è un onere, ma un’occasione. E’ nato un movimento importante, che ha guadagnato molte prime pagine, molti consensi dalla gente. Poi la ‘vita liquida’ di cui siamo tutti vittime, ha spazzato via la protesta dal palcoscenico. E il Governo non si è fermato, non ha ascoltato il paese reale. Perché? La risposta è semplice: parliamo due linguaggi incommensurabili tra loro. Il movimento grida che la scuola è importante. E prontamente la Gelmini risponde che il Governo la sta migliorando. Il movimento rivendica la professionalità degli operatori scolastici. E ‘loro’ rispondono che infatti premieranno i migliori. Gli insegnanti chiedono più risorse per affrontare il bullismo, l’abbandono scolastico, il calo motivazionale dei giovani. Ed ecco, avvolto dall’aura del buon tempo antico, il voto in condotta. E non serve argomentare. Neanche l’obiezione più ovvia: come si può migliorare la scuola italiana tagliando 8 miliardi di euro?
Non si può argomentare. Serve un linguaggio diverso, un confronto su un terreno altro. L’idea è semplice. Viviamo nel grande villaggio delle veline e dei briatore. Dove si misurano le persone da ciò che hanno, da ciò che possono comprare. Anche le cose si misurano dai soldi che gravitano attorno ad esse. La Metafisica di Aristotele è poco, perché se ne vendono poche copie. Il Guinness dei primati 2009 è molto, perché se ne vendono molte copie. Il Grande Fratello è molto. Le veline sono molto. I calciatori. I telefonini. Gli Ipod. Le scarpe sportive. Ma, sorpresa, anche la scuola è molto. Non ha (per ora) sponsor, ma vale molto lo stesso, proprio nel senso che molti soldi gravitano attorno al fare scuola. Zaini, diari, quaderni, GREMBIULINI, libri di testo, dizionari, atlanti. E gite. Le mamme e i babbi italiani spendono ogni anno grosse somme di denaro per mandare il loro figli a scuola. E spendono senza protestare neanche tanto, perché la scuola smuove un sacco di emozioni, di ricordi, di speranze, e perché molti genitori mettono l’istruzione dei propri figli in cima alla lista delle loro priorità. Ecco perché, forse, anziché parlare con un muro di gomma difendendo l’importanza dell’istruzione pubblica, potremmo cominciare, serenamente, a picconare l’indotto economico della scuola. Non consumare più. Proprio mentre ci invitano da più parti a spendere per rimettere in piedi il grande carosello che si è inceppato, potremmo, beffardamente, dire no. Supponiamo, ad esempio, che un gran numero di scuole in Italia decida di non effettuare viaggi di istruzione. Quelli dei grandi albergoni che servono menù di bassa qualità ideati proprio ‘per le gite’, quelli dei pullman, dei tour operator, delle visite guidate. Non sarebbe un bel guaio? E supponiamo anche che molte scuole medie e superiori organizzino una efficiente banca del libro, invitando tutte le famiglie a non acquistare i libri di testo, ma a passarseli di anno in anno. Altro grosso guaio. Anzi, grossissimo. E, solo per ipotesi, immaginiamo che le forme di protesta dilaghino, che le persone, i ragazzi, i genitori, decidano di non comprare diari griffati, o quaderni con le fatine e i super-eroi… Uscire dal nostro ruolo di consumatori onnivori sembra impossibile. Ma è una strada interessante. Mi viene da pensare ad una bella pagina di Martin Heidegger, quella del martello e del chiodo. Mentre sto martellando per piantare un chiodo, il martello in quanto tale non esiste. E’ dato per scontato, non è riconosciuto esplicitamente in quanto oggetto. Ma se si rompe, o cade, o piega il chiodo, ecco che allora il martello diventa presente, si stacca da me e acquista la sua ‘martellità’, la sua autonomia ontologica. Ecco, in un certo senso oggi siamo tutti martelli, nelle mani del Mercato. Non esistiamo, l’importante è che acquistiamo. Allora, la proposta potrebbe essere questa: smettiamo di funzionare, rompiamoci. Non è un boicottaggio, è un modo per esserci. Per diventare presenti. Uomini, donne, ragazzi e ragazze. Non comprare vale molto più di mille megafoni. E’ una forma di potere. In molte scuole italiane se ne sta parlando. In particolare, il provvedimento blocca-gite sta girando l’Italia. E oggi, amareggiata dalla finta marcia indietro del Ministro, e da questo continuo nascondere i nodi veri delle cose, mi viene veramente da pensare che l’unica speranza sia nel martello che si rompe.
Giovanna Cepparello
insegnante, membro del comitato di difesa e vigilanza della scuola pubblica
del Liceo Scientifico “F. Enriques”, Livorno
richiede "solo" una presa di coscienza della forza del consumatore, della sua "martellità".
da comitatoscuola.it
Se la scuola non compra più
di Giovanna Cepparello (scritto il 15/12/2008)
Se la scuola non compra più…
Riflessioni su tagli e martelli
Nel tardo pomeriggio di ieri apprendo casualmente, in rete, che la riforma per le superiori slitterà di un anno, che il maestro unico sarà ‘facoltativo’, che per la scuola è comunque pronta una svolta storica. Come mi accade spesso ultimamente, non capisco. Aspetto i telegiornali. E capisco ancora meno. La Gelmini ha fatto marcia indietro? Oppure i suoi tecnici si sono solo resi conto della impossibilità di far partire tutta la riforma entro l’anno prossimo? E cosa vuol dire ‘maestro unico facoltativo’? Detto così, mi pare, non ha molto senso. Cerco qualcosa di ufficiale su internet. E trovo la circolare n. 100, prodotta oggi dal Ministero, e il verbale dell’incontro tra Governo e sindacati sulla scuola. E finalmente qualcosa capisco. Capisco che alcune cose vengono solo rimandate. Per esempio l’aumento degli alunni per classe, ovviamente improponibile senza riorganizzare e riqualificare l’edilizia scolastica (eppure questo mi sembrava così ovvio!!). Così come, senza grandi sorprese, viene rimandata la riorganizzazione dei percorsi di studio per la secondaria. Sul maestro unico leggo che le famiglie potranno scegliere tra 24, 27, 30 o 40 ore (ma non lo sapevamo già?), che si terrà conto delle richieste delle famiglie (cioè?), e che il tempo pieno funzionerà con due insegnanti (non essendo ancora disponibile la maestra bionica). Non mi sembra che ci siano grossi ripensamenti, se non quelli dettati dalla non fattibilità di alcuni provvedimenti. Ma capisco anche un’altra cosa, importante. I tagli restano, e restano tutti. C’è scritto a chiare lettere: la scuola verrà privata di una fetta rilevante delle risorse che attualmente ha a disposizione. E’ questo il nodo della questione.
Al di là del grembiulino, del maestro unico, del voto in condotta ecc…, il principio che sta dietro alle attuali politiche scolastiche è molto chiaro. La scuola vale poco. La scuola è un peso per la società, un onere che la finanza pubblica deve sostenere. E’ esattamente questo il distillato della ‘riforma’ Gelmini, anche dopo gli ultimi ritocchi. Basta riflettere sul fatto che, nell’Italia della crisi, il Governo ha deciso di risparmiare in primo luogo sull’istruzione. Il piano programmatico del Miur ‘di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze’ è molto chiaro in proposito: 8 miliardi di euro in quattro anni. Non è una previsione, una stima. Sono le indicazioni, precise, tassative, ufficiali, del Governo. Confermate in modo preciso, tassativo, ufficiale, anche oggi, nell’incontro con i sindacati. Sembra quasi che la scuola, fino ad ora, abbia dilapidato i denari dei contribuenti. La scuola!
Ma nella scuola vivono molte persone. Maestri, professoresse, dirigenti, bidelli, tecnici. E bambini, ragazzi, genitori. E molte di queste persone, molte veramente, hanno provato a spiegare, con fantasia e civiltà, che la scuola è un valore enorme. Che sull’istruzione si costruisce il futuro di un paese. Che nella scuola nascono un sacco di cose importanti, tipo la cittadinanza, la legalità, la creatività, la cultura. Molte di queste persone si sono incontrate dopo cena, hanno costituito comitati, hanno organizzato manifestazioni, hanno scritto documenti e preparato mozioni, riunioni, slogan e blog. Per affermare che la scuola non è un onere, ma un’occasione. E’ nato un movimento importante, che ha guadagnato molte prime pagine, molti consensi dalla gente. Poi la ‘vita liquida’ di cui siamo tutti vittime, ha spazzato via la protesta dal palcoscenico. E il Governo non si è fermato, non ha ascoltato il paese reale. Perché? La risposta è semplice: parliamo due linguaggi incommensurabili tra loro. Il movimento grida che la scuola è importante. E prontamente la Gelmini risponde che il Governo la sta migliorando. Il movimento rivendica la professionalità degli operatori scolastici. E ‘loro’ rispondono che infatti premieranno i migliori. Gli insegnanti chiedono più risorse per affrontare il bullismo, l’abbandono scolastico, il calo motivazionale dei giovani. Ed ecco, avvolto dall’aura del buon tempo antico, il voto in condotta. E non serve argomentare. Neanche l’obiezione più ovvia: come si può migliorare la scuola italiana tagliando 8 miliardi di euro?
Non si può argomentare. Serve un linguaggio diverso, un confronto su un terreno altro. L’idea è semplice. Viviamo nel grande villaggio delle veline e dei briatore. Dove si misurano le persone da ciò che hanno, da ciò che possono comprare. Anche le cose si misurano dai soldi che gravitano attorno ad esse. La Metafisica di Aristotele è poco, perché se ne vendono poche copie. Il Guinness dei primati 2009 è molto, perché se ne vendono molte copie. Il Grande Fratello è molto. Le veline sono molto. I calciatori. I telefonini. Gli Ipod. Le scarpe sportive. Ma, sorpresa, anche la scuola è molto. Non ha (per ora) sponsor, ma vale molto lo stesso, proprio nel senso che molti soldi gravitano attorno al fare scuola. Zaini, diari, quaderni, GREMBIULINI, libri di testo, dizionari, atlanti. E gite. Le mamme e i babbi italiani spendono ogni anno grosse somme di denaro per mandare il loro figli a scuola. E spendono senza protestare neanche tanto, perché la scuola smuove un sacco di emozioni, di ricordi, di speranze, e perché molti genitori mettono l’istruzione dei propri figli in cima alla lista delle loro priorità. Ecco perché, forse, anziché parlare con un muro di gomma difendendo l’importanza dell’istruzione pubblica, potremmo cominciare, serenamente, a picconare l’indotto economico della scuola. Non consumare più. Proprio mentre ci invitano da più parti a spendere per rimettere in piedi il grande carosello che si è inceppato, potremmo, beffardamente, dire no. Supponiamo, ad esempio, che un gran numero di scuole in Italia decida di non effettuare viaggi di istruzione. Quelli dei grandi albergoni che servono menù di bassa qualità ideati proprio ‘per le gite’, quelli dei pullman, dei tour operator, delle visite guidate. Non sarebbe un bel guaio? E supponiamo anche che molte scuole medie e superiori organizzino una efficiente banca del libro, invitando tutte le famiglie a non acquistare i libri di testo, ma a passarseli di anno in anno. Altro grosso guaio. Anzi, grossissimo. E, solo per ipotesi, immaginiamo che le forme di protesta dilaghino, che le persone, i ragazzi, i genitori, decidano di non comprare diari griffati, o quaderni con le fatine e i super-eroi… Uscire dal nostro ruolo di consumatori onnivori sembra impossibile. Ma è una strada interessante. Mi viene da pensare ad una bella pagina di Martin Heidegger, quella del martello e del chiodo. Mentre sto martellando per piantare un chiodo, il martello in quanto tale non esiste. E’ dato per scontato, non è riconosciuto esplicitamente in quanto oggetto. Ma se si rompe, o cade, o piega il chiodo, ecco che allora il martello diventa presente, si stacca da me e acquista la sua ‘martellità’, la sua autonomia ontologica. Ecco, in un certo senso oggi siamo tutti martelli, nelle mani del Mercato. Non esistiamo, l’importante è che acquistiamo. Allora, la proposta potrebbe essere questa: smettiamo di funzionare, rompiamoci. Non è un boicottaggio, è un modo per esserci. Per diventare presenti. Uomini, donne, ragazzi e ragazze. Non comprare vale molto più di mille megafoni. E’ una forma di potere. In molte scuole italiane se ne sta parlando. In particolare, il provvedimento blocca-gite sta girando l’Italia. E oggi, amareggiata dalla finta marcia indietro del Ministro, e da questo continuo nascondere i nodi veri delle cose, mi viene veramente da pensare che l’unica speranza sia nel martello che si rompe.
Giovanna Cepparello
insegnante, membro del comitato di difesa e vigilanza della scuola pubblica
del Liceo Scientifico “F. Enriques”, Livorno