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Verso un biocombustibile sostenibile

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

Verso un biocombustibile sostenibile

Messaggioda franz il 28/06/2008, 20:38

Dalla rete:

Fonti alternative
Verso un biocombustibile sostenibile


I ricercatori stanno ora cercando di sperimentare nuove biomasse per
alimentare i microrganismi che dovrebbero fermentare gli zuccheri in
etanolo: il materiale più conveniente è la biomassa lignocellulosica che
include i residui del legno, la carta ricicla
ta e i materiali di scarto di coltivazioni dedicate alla produzione di
energia

Il principale biocombustibile attualmente sul mercato è l’etanolo,
prodotto per la maggior parte negli Stati Uniti a partire dalla
fermentazione degli zuccheri del mais. Questo tipo di produzione è ora
oggetto di aspre critiche per l’aumento dei prezzi dei
beni alimentari che determina.

I ricercatori stanno ora cercando di sperimentare nuove biomasse per
alimentare i microrganismi che dovrebbero fermentare gli zuccheri
producendo etanolo.

Il materiale più conveniente è la biomassa lignocellulosica, che include i
residui del legno, la carta riciclata e i materiali di scarto di
coltivazioni dedicate alla produzione di energia (come i tutoli del mais
coltivato per produrre biocombustibili).

In questo caso il problema è che gli zuccheri necessari per la
fermentazione sono intrappolati all’interno della cellulosa del legno.
Govind Nadathur e colleghi dell’Università di Puerto Rico stanno cercando
ecosistemi inusuali dotati di organismi rari in
grado di produrre enzimi che consentono di estrarre questi zuccheri.

"Il legno finisce nell’oceano: che cosa degrada tutta questa biomassa?
Abbiamo trovato che alcuni molluschi che consumano il legno sono in grado
di farlo con l’aiuto di batteri che vivono nel loro stomaco, che producono
enzimi in grado di scindere le molec
ole di cellulosa. E si trova qualcosa di analogo anche nelle termiti", ha
commentato Nadathur. L’obiettivo pertanto è quello di utilizzare questi
enzimi come passo fondamentale per costruire sistemi chiusi e integrati
che potrebbero produrre etanolo.

La ricerca è cominciata cercando di sfruttare la canna da zucchero e i
fiori di ibisco che cresce nelle coltivazioni locali di Puerto Rico, che
producono grandi quantità di biomassa. Utilizzando diversi enzimi,
Nadathur e i suoi colleghi ritengono di poter
estrarre gli zuccheri contenuti nella biomassa e di farli fermentare per
ottenere etanolo, intrappolando il biossido di carbonio che viene
prodotto nel corso del processo. (fc)
----------------------------------------------------
Ripensare il riciclaggio del combustibile nucleare
Le Scienze, luglio 2008, n. 479
Gli USA sono pronti a riprocessare il combustibile esausto, ma i vantaggi
di questa tecnologia impallidiscono a confronto con i pericoli. Di Frank
N. von Hippel
Il combustibile nucleare esausto contiene plutonio, che si può estrarre e
usare in nuovo combustibile. Per ridurre la perdita radioattiva a lunga
emivita, lo U.S. Department of Energy ha proposto di riprocessare il
combustibile esausto in questo modo e poi
«bruciare» il plutonio in speciali reattori. Il riprocessamento è
un'operazione molto costosa. Inoltre il combustibile esausto emette
radiazione letale, mentre il plutonio si può maneggiare facilmente. Quindi
il riprocessamento lascia aperta la possibili
tà che gruppi terroristici possano sottrarre plutonio per costruire una
bomba. L'autore è contrario al riprocessamento, ed è favorevole allo
stoccaggio in fusti a secco finché sarà disponibile un deposito geologico
per le scorie.
------------------
Sulla rivista “Science”
Rischio ecologico anche per il ciclo dell'azoto

La produzione massiccia di fertilizzanti e l'uso di combustibili fossili
ha immesso nell’ambiente un'enorme quantità di composti reattivi
dell’azoto


Due nuovi articoli firmati da importanti studiosi pubblicati sull’ultimo
numero della rivista “Science” discutono dell’impatto che le attività
umane, tra cui la produzione di cibo e di energia, stanno determinando
sull’accumulo di azoto nel suolo, nelle ac
que, nell’atmosfera e nelle zone costiere degli oceani, contribuendo
all’effetto serra, all’inquinamento, alle piogge acide, alle zone morte
lungo le coste e all’impoverimento dell’ozono nella stratosfera.

"L’opinione pubblica non è molto informata sull’azoto, ma per molti
aspetti si tratta di un problema grave quanto quello del carbonio, in
virtù anche delle interazioni tra i due elementi, dal momento che la loro
produzione è intrinsecamente collegata alla
produzione di cibo e di energia. E anch'essa pone anche notevoli problemi
dal punto di vista ambientale globale”, ha spiegato James Galloway,
docente di scienze ambientali dell’Università della Virginia, coautore di
entrambi gli articoli.

"Stiamo accumulando azoto reattivo nell’ambiente con una velocità
preoccupante, ponendo un rischio per l’ambiente simile a quello del
biossido di carbonio. Aspetto unico e sconvolgente è il fatto che un solo
atomo di azoto rilasciato nell’ambiente possa ca
usare una cascata di eventi che produce come risultato una perturbazione
dell’equilibrio naturale dell’ecosistema e in definitiva anche un rischio
per la nostra salute", Galloway.

Nella sua forma inerte, l’azoto è innocuo ed estremamente abbondante, dal
momento che costituisce il 78 per cento dell’atmosfera terrestre. A
cominciare dal secolo scorso tuttavia, la produzione massiccia di
fertilizzanti a base di azoto e la combustione s
u larga scala di combustibili fossili ha fatto sì che un enorme quantità
di composti reattivi dell’azoto, come l’ammoniaca, siano entrati
nell’ambiente.

Un atomo di azoto inizialmente parte di un composto che finisce
nell’atmosfera può in seguito depositarsi nei laghi e nelle foreste come
acido nitrico, nocivo sia per i pesci sia per gli insetti. In seguito,
trasportato verso le coste, lo stesso atomo di a
zoto può contribuire al fenomeno della fioritura algale e a quello delle
“zone morte”, in cui un forte deficit di ossigeno porta a un notevole
depauperamento delle forme di vita. Infine l’azoto viene riportato
nell’atmosfera come parte del gas serra ossid
o di di azoto, che distrugge l’ozono atmosferico.

Nell’ambito dello studio oggetto del secondo articolo, firmato da autori
della Texas A&M University e dell'Università dell’East Anglia (UEA) si è
calcolato che circa il 30 per cento dell’azoto che entra negli oceani di
tutto il pianeta dall’atmosfera deriv
a dalle attività umane.

Ciò ha importanti conseguenze per il cambiamento climatico globale poiché
l’azoto aumenta l’attività biologica marina e l’assorbimento del CO2, che
a sua volta produce ossido di azoto. Al fine di ridurre l’impatto del
problema gli autori auspicano che si a
rrivi a un maggior controllo dell’uso di fertilizzanti in agricoltura e
del consumo dei combustibili fossili per la produzione energia e per il
traffico veicolare.
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Re: Verso un biocombustibile sostenibile

Messaggioda mauri il 28/06/2008, 23:08

franz ha scritto:Dalla rete:

Fonti alternative
Verso un biocombustibile sostenibile


I ricercatori stanno ora cercando di sperimentare nuove biomasse per
alimentare i microrganismi che dovrebbero fermentare gli zuccheri in
etanolo: il materiale più conveniente è la biomassa lignocellulosica che
include i residui del legno, la carta ricicla
ta e i materiali di scarto di coltivazioni dedicate alla produzione di
energia

Il principale biocombustibile attualmente sul mercato è l’etanolo,
.


l'unico biocombustibile è la merda, si ricava gas pulito e non affama i popoli per l'approvigionamento delle biomasse che tolgono terra coltivabile per l'alimentazione
tutte le citta ne sono piene, anche le aziende agricole ne sono piene, di merda, fognature e depuratori enormi e inesauribili da riconvertire in digestori per la produzione di biogas
notte, mauri
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Re: Verso un biocombustibile sostenibile

Messaggioda mario il 28/06/2008, 23:39

L’importante che non si facciano coltivazioni per produrre biocarburanti.
Sottrarrebbero superfici alla produzione di derrate alimentari a tutto danno dei poveri del mondo.
Sono favorevole al biogas ottenuto da materiale di scarto e da deiezioni.
Per ulteriori fabbisogni di energia si dovrà puntare sul solare termico, sull’eolico e sul fotovoltaico.
Bisognerebbe proibire, nella maniera più assoluta, la concessione di contributi in conto capitale per la realizzazione di impianti di produzione di biocombustibili da biomasse appositamente coltivate.
E invece..... li stanno concedendo.
mario
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Il sacro graal delle energie alternative

Messaggioda pagheca il 30/06/2008, 10:01

La questione etanolo rivela ancora una volta la complessita' del problema energetico. Si tratta di un settore dove bisogna muoversi con la massima cautela, senza pensare che esista un Sacro Graal in grado di risolvere il problema una volta per tutte, e senza lasciarsi convincere facilmente dalla faciloneria di chi cerca di vendere una soluzione come semplice ed efficace senza averla prima testata per decadi.

A me sembra sorprendente come tutte le tecnologie individuate in linea teorica si scontrano prima o poi con la dura realta'. A partire dal primo reattore nucleare, forse la prima tecnologia moderna in grado di produrre energia in singoli impianti da una sorgente diversa da quella dei combustibili fossili, il processo e' sempre lo stesso: all'inizio si pensa di avere individuato la soluzione finale del problema, ma poi la complessita' del mercato dell'energia prevale e impone un ridimensionamento di quella soluzione. E' successo con il nucleare, ma e' successo anche con l'eolico, se si pensa all'impatto ambientale dei grandi campi di generatori, sia in termini estetici che, per esempio, sulla fauna avicola migratoria. E' successo con i sistemi fotovoltaici, quando si e' visto il costo anche ambientale di distese sterminate di pannelli. E succede anche, in maniera anche piu' drammatica, con le biomasse. Ricordo chiaramente come fino a pochi anni fa c'era tra gli ambientalisti di grido chi vantava la semplicita' della soluzione etanolo. Oggi ci troviamo con un problema di dimensioni enormi, quello della cresccita del costo dei prodotti agricoli di base.

Questo non e' un invinto a immaginarsi un teorema del tipo "qualsiasi soluzione alternativa e' destinata a fallire", o che una soluzione vale l'altra: l'impatto ambientale di un generatore eolico e di uno a carbone sono diversi qualitativamente e quantitativamente. Voglio solo dire che bisogna imparare a muoversi con estrema e inusitata cautela nel campo delle energie alternative. Perche' la storia ha dimostrato che le conseguenze a lungo termine di certe tecnologie sono difficili da prevedere prima che quella tecnologia sia stata effettivamente provata a larga scala sul campo. E inoltre che non esistono soluzioni "magiche": prima provare, e poi giudicare. Non fidarsi mai di chi cerca di venderci una soluzione per quella definitiva. E' sicuro, a questo punto, che il problema potra' essere risolto solo con un sistema integrato ma flessibile di soluzioni diverse, magari controintuitive, perche' no. Soluzioni la cui validita' andra' verificata periodicamente e il cui peso sul mercato mondiale dell'energia andra' aggiustato nel corso del tempo.

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Re: Verso un biocombustibile sostenibile

Messaggioda trilogy il 01/07/2008, 15:19

MILANO (MF-DJ)--La politica dell'Europa e degli Usa per al produzione di biofuel "e' una scelta folle". Lo ha affermato il presidente di Barilla Holding Guido Barilla sottolineando "l'enorme inefficienza e quantita' di acqua utilizzata" per la produzione di biocarburanti dai cereali.
Barilla ha sottolineato come negli ultimi 18 mesi ci sia stata un'impennata dei costi delle materie prime e ha evidenziato l'incremento del grano dai 150 euro per tonnellata a 550 euro e l'attuale prezzo di 350 euro, comunque piu' che raddoppiato rispetto ai valori iniziali. Uno scenario questo che impatta su tutta la filiera alimentare. Per quanto riguarda Barilla, il 2008, a causa della situazione sui mercati dei cereali, e' stato un anno molto difficile, ma la societa' ha dimostrato solidita' e reattivita' e ha "dato prova di grande attenzione e professionalita' gestendo l'aumento dei prezzi in modo corretto ed equilibrato". Fonte: MF-Dow Jones News Srl. July 01, 2008
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Biofuels, la Banca Mondiale accusa ...

Messaggioda franz il 05/07/2008, 9:01

Il 'Guardian' divulga un rapporto riservato dell'organismo internazionale
"I carburanti di origine vegetale pesano per il 75% nel boom dei prezzi"
Biofuels, la Banca Mondiale accusa
"Causano i rincari degli alimentari"

Il documento tenuto nel cassetto per non creare attriti con gli Stati Uniti
Secondo la Fao, rispetto al 2007 soffrono la fame 50 milioni di persone in più

LONDRA - I biocarburanti hanno provocato un'impennata fino al 75% dei prezzi alimentari mondiali. La cifra, ben più elevata di quella inizialmente stimata, è stata resa nota dal quotidiano inglese The Guardian, ed è contenuta in un rapporto riservato della Banca Mondiale.

Il dato riportato dal Guardian, che cita fonti di "alto livello", contraddice le affermazioni del governo Usa, che ha sempre sostenuto che la produzione di biocarburanti è all'origine di meno del 3% degli incrementi dei prezzi. Il giornale britannico, invece, sostiene che il rapporto della Banca Mondiale non è stato reso pubblico proprio per evitare di irritare il presidente americano George Bush.

Secondo il rapporto citato dal quotidiano, le politiche di incentivo dei biocarburanti hanno causato una diminuzione degli stock mondiali di grano e mais ad uso alimentare, senza il quale gli incrementi dei costi dovuti ad altri fattori sarebbero stati stati molto più contenuti. Nello studio della Banca Mondiale i prezzi sotto esame sono cresciuti del 120% tra il 2002 e il febbraio 2008. Secondo il rapporto, scrive il Guardian, "la produzione dei biocarburanti ha distorto i mercati alimentari almeno in tre modi: in primo luogo deviando l'utilizzo dei cereali dall'alimentazione ai carburanti con oltre un terzo del granturco statunitense destinato alla distillazione di etanolo e circa la metà degli olii vegetali dell'Ue diretti alla produzione di biodiesel".

"In secondo luogo, gli agricoltori sono stati indotti a dedicare parte dei propri campi alla produzione di biocombustibili e, in terzo luogo - conclude il quotidiano britannico - tutto questo ha portato la speculazione finanziaria a concentrarsi sul mercato dei cereali, facendo decollare i prezzi".

La notizia è stata pubblicata a pochi giorni dall'avvio del G8 che si aprirà lunedì prossimo a Hokkaido. Anche a Bruxelles la discussione è molto accesa, tanto che in agenda domina proprio la questione dei prezzi. La stessa Commissione Europea, finita sul banco degli imputati per aver fissato come obiettivo per il 2020 la quota di carburanti di origine vegetale al 10%, nelle ultime settimane ha cercato di correggere il tiro, chiarendo che quando parla di biocombustibili si riferisce solo a quelli "sostenibili" (guarda la fotoclassifica redatta dall'Università di Bologna per l'Italia).

E nelle stesse ore arriva la denuncia della Fao: a seguito dell'aumento dei prezzi dei generi alimentari soffrono la fame oltre 50 milioni di persone in più rispetto al 2007.

In questa situazione Gianluca Susta, capo della delegazione italiana del Partito democratico all'Europarlamento, ha annunciato che presenterà un'interrogazione a Strasburgo "per chiedere di bloccare gli investimenti sui biocarburanti di prima generazione, quelli cioè ottenuti da mais o grano". Citando il rapporto della Banca mondiale, Susta aggiunge: "Chiediamo che l'Unione europea indirizzi i suoi investimenti esclusivamente sui biocarburanti di seconda generazione". Solo in Italia, conclude l'esponende del Pd, "la disponibilità di biomasse residuali corrisponde a circa 66 milioni di tonnellate di sostanze secche all'anno, equivalente a 27 mtep, ovvero ben 27 milioni di tonnellate di petrolio".

(4 luglio 2008)
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Re: Verso un biocombustibile sostenibile

Messaggioda mauri il 17/07/2008, 22:56

non credo che la causa sia delle coltivazioni per ottenere biocarburanti
il mais poi serve prevalentemente per l'alimentazione dei bovini
andrebbe visto quanto terreno è stato sottratto all'alimentazione umana per i carburanti ma non lo dicono
io sostengo che sia la solita storia della domanda offerta
è aumentata la domanda per i cereali e i prezzi aumentano di conseguenza e perchè?
perchè ci sono 2miliardi di persone che stanno cambiando regime alimentare, parlo di cina e india
sono stufi del riso
credo crolleranno i prezzi del riso e ce lo mangeremo noi a buon prezzo
incollo le ultime sul discorso cambiamenti climatici e carestie
diventiamo tutti vegetariani e diminuiamo i gaserra del 20 x 100, scoregge vegetali per produrre biogas? hahahah
ma come tutte le notizie possono essere delle belle bufale
bella serata, mauri


Una mucca salverà la terra
La produzione di carne è responsabile delle carestie e del cambiamento del clima...
13-07-2008 - Fonte: L'Espresso


Una mucca salverà la terra
(di Jeremy Rifkin)
La produzione di carne è responsabile delle carestie e del cambiamento del clima. Ecco perché le popolazioni più ricche dovrebbero cambiare dieta

L'impressionante aumento dei prezzi energetici dello scorso anno ha determinato un aumento altrettanto impressionante dei prezzi dei generi alimentari in tutto il mondo. La crisi è stata esacerbata dalle ripercussioni 'in tempo reale' che il cambiamento del clima sta avendo sull'agricoltura, in primis siccità, alluvioni e altri cataclismi climatici che hanno pesantemente inciso sulla produzione degli alimenti di base in molte aree del mondo. Le proteste di piazza ormai dilagano in oltre 30 Paesi e i leader politici paventano che gli ulteriori aumenti dei prezzi dei generi alimentari e l'escalation della rabbia e della disperazione dell'opinione pubblica possano esautorare i governi di buona parte del mondo in via di sviluppo e condurre a preoccupanti quanto difficili conseguenze per l'umanità. Inopinatamente, la crisi alimentare è stata trasformata da sfida umanitaria in una questione di sicurezza planetaria. Nelle scorse settimane sono stati organizzati in tutta fretta vari vertici internazionali sulla crisi alimentare globale per analizzare in particolare il rapporto di causa-effetto tra l'aumento dei prezzi energetici, l'impennata dei generi alimentari e le ripercussioni del cambiamento del clima sulla produzione agricola.

Al vertice della Fao di giugno si sono dati appuntamento oltre quattromila rappresentanti di oltre 180 paesi, tra i quali capi di Stato, uomini d'affari, esponenti delle più importanti organizzazioni della società civile, con l'intento di discutere della crisi alimentare, del cambiamento del clima e dei problemi energetici. Alla fine della conferenza, tuttavia, nemmeno uno tra i rappresentanti politici ha detto alcunché sulle cause sottaciute della crisi e su come le politiche agricole abbiano un impatto profondo sul cambiamento del clima.

Ciò che tutti hanno sotto gli occhi e nessuno pare essere disposto ad ammettere e tanto meno a segnalare all'attenzione altrui è una mucca. L'industria mondiale delle carni si è divorata fino al 40 per cento delle terre coltivabili del pianeta e ha trangugiato ingenti quantità di riserve di carburanti fossili affinché un'esigua percentuale della popolazione terrestre possa banchettare con gli alimenti più in alto nella catena alimentare globale mentre centinaia di milioni di altri esseri umani si trovano a dover far fronte a malnutrizione, carestia e morte.

Mentre il prezzo del petrolio continua a salire - ci stiamo avviando ormai al picco della produzione globale di greggio - il baratro tra ricchi ipernutriti e poveri sottonutriti non potrà che allargarsi a sua volta, portando, senza mezzi termini, a un mondo di ingordi assediati da popoli nella morsa della carestia. Ad acuire ancor più il problema è il fatto che la produzione della carne è la seconda più importante causa del cambiamento del clima e neanche Al Gore ne parla. L'umanità non sopravviverà se i più ricchi del pianeta non attueranno una drastica inversione di rotta nella loro alimentazione. Questa è la realtà.

Tanto per cominciare, lo strabiliante aumento del prezzo del petrolio sui mercati internazionali ha avuto l'anno scorso un ruolo eloquente nell'escalation dei prezzi dei cereali. L'agricoltura moderna dipende in ogni sua fase di produzione dei generi alimentari dal petrolio e dai derivati dei combustibili fossili. Nei fertilizzanti, nei pesticidi, negli imballaggi si usano sostanze petrolchimiche, e per far funzionare i macchinari agricoli e trasportare i prodotti in mercati anche molto lontani serve naturalmente la benzina. Il risultato è che l'impennata dei prezzi dei carburanti ha inciso assai sulla coltivazione dei cereali in tutto il mondo: in media negli ultimi 12 mesi i prezzi sono aumentati del 54 per cento. Quelli dei cereali, in particolare, in quello stesso arco di tempo sono saliti del 92 per cento; il riso e il grano costano il doppio rispetto all'anno scorso.

Per i 2,7 miliardi di persone che guadagnano meno di due dollari al giorno aumenti di questa portata fanno vacillare gli equilibri: per loro scatta l'instabilità che li spinge dalla sopravvivenza alla fame fino addirittura alla morte. Jacques Diouf, direttore generale della Fao, l'organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, afferma che attualmente sono circa 862 milioni gli esseri umani privi di adeguato accesso al cibo.

Molti esperti imputano l'aumento dei prezzi degli alimenti alla conversione dei terreni agricoli, passati a produrre biocarburanti. L'idea di fondo di questa teoria è che aumentando le terre coltivabili destinate ai biocarburanti si faccia decollare il costo dei cereali destinati all'uomo. In altre parole, la questione si riassume in un interrogativo: è meglio alimentare le automobili o sfamare gli esseri umani?

Mentre i biocarburanti rivestono un ruolo indiscusso nell'aumento dei prezzi dei generi alimentari, e potrebbero tuttora continuare a farlo salire, il loro impatto di fatto è ancora marginale: nel 2007 meno del 3,5 per cento dell'intera produzione alimentare mondiale è stata convertita alla produzione di biocarburanti.

Tutto ciò ci conduce di conseguenza al nocciolo della questione, rimasta per ora in secondo piano e senza soluzione. Il problema infatti non si riduce a un insolito dilemma - alimentare le automobili o sfamare gli esseri umani - né semplicemente nell'aumentare a breve termine la produzione di petrolio. Il vero problema, nel momento in cui il prezzo del petrolio continua a salire innescando aumenti dei generi alimentari negli anni a venire, è capire se dovremmo usare i cereali per nutrire le bestie o per sfamare gli uomini. Ed è proprio questo ciò di cui nessun leader pare preparato a parlare.

La Fao delle Nazioni Unite ha affrontato questo tema in uno studio pubblicato nel 2006 e intitolato 'Livestock's Long Shadow: Environmental Issues and Options'. Da tale rapporto risulta che nel solo 2002 sono diventati mangimi per il bestiame 670 milioni di tonnellate di cereali, pari più o meno a un terzo della produzione globale di cereali.

Il punto è che sempre più terra coltivabile del pianeta è adibita alla coltivazione di mangimi per gli animali, il che significa che di conseguenza sempre meno terra è riservata alla produzione di cereali per l'alimentazione umana e tutto ciò influisce negativamente sul prezzo degli alimenti accessibili ai più poveri del pianeta. A peggiorare le cose, la Fao ha stimato che la produzione di carne raddoppierà entro il 2030, a discapito dei terreni coltivabili che in futuro produrranno mangimi per animali in percentuale sempre crescente.

Ma la crisi nata dalla contrapposizione di cereali per l'alimentazione umana e mangimi per animali ('food versus feed') non si ferma alle centinaia di milioni di persone affamate. Altrettanto importante, infatti, è il rapporto di causa-effetto tra mangimi, aumento della produzione di carne, consumi e riscaldamento globale, anche se a quanto pare nessuno al summit mondiale si è sentito di parlarne apertamente. In verità la carne (ottenuta da bovini cresciuti a mangimi) che portiamo in tavola è la seconda causa per importanza di riscaldamento globale dopo gli impianti di riscaldamento delle case. Rajendra Kumar Pachauri, presidente dell'Intergovernmen tal Panel on Climate Change (che ha ricevuto il premio Nobel 2007 della Pace insieme ad Al Gore) ha invitato i consumatori di tutto il mondo a ridurre il loro consumo di carne, primo passo per affrontare il cambiamento del clima.

Da uno studio Fao delle Nazioni Unite pubblicato nel 2006 risulta che il bestiame produce il 18 per cento delle emissioni di gas serra, ovvero complessivamente più di tutti i mezzi di trasporto. Il bestiame, soprattutto i bovini, è responsabile del 9 per cento dell'anidride carbonica prodotta dalle attività umane, ed è responsabile altresì di una percentuale nettamente superiore di gas serra ancora più dannosi. Al bestiame si deve infatti il 65 per cento delle emissioni di protossido d'azoto rilasciato dalle attività umane: il protossido d'azoto ha un effetto sul riscaldamento terrestre pari a 300 volte quello dell'anidride carbonica. La maggior parte delle emissioni di protossido d'azoto è dovuta al letame. Inoltre il bestiame emette il 37 per cento di tutto il metano riconducibile alle attività umane, gas che rispetto all'anidride carbonica incide nella misura di 23 volte sul riscaldamento del pianeta.

Mentre deploriamo l'inefficienza energetica e lo spreco dovuto alla scelta di automobili che consumano molta benzina, l'inefficienza energetica e lo spreco legati allo spostamento verso un regime alimentare a base di carne è infinitamente peggiore. Si consideri infatti che un ettaro coltivato a cereali produce il quintuplo delle proteine di un ettaro utilizzato per la produzione di carne. I legumi producono dieci volte quelle proteine, e i vegetali a foglia 15 volte le proteine per ettaro di terreni di pari dimensioni destinato alla produzione di carne.

Per produrre mezzo chilo di carne cresciuta negli Stati Uniti a base di mangimi, l'industria del bestiame utilizza l'equivalente di quattro litri di benzina. Per sostenere le esigenze annuali in termini di consumo di carne di una famiglia media di quattro persone - più o meno 118 chili - sono necessari oltre mille litri di combustibile fossile. Allorché si brucia questa quantità di carburante, si rilasciano nell'atmosfera altre 2,5 tonnellate di anidride carbonica, quasi quanto un'automobile di media cilindrata rilascia in sei mesi di utilizzo normale.

Le implicazioni del rapporto della Fao sono palesi: è giunta l'ora di porre un drastico limite e fissare una soglia per le emissioni di metano e di protossido d'azoto nel settore agricolo, per incoraggiare l'industria dell'allevamento del bestiame a introdurre nuove modalità atte a tagliare le emissioni. Dovremmo altresì prendere in considerazione l'idea di approvare una tassa sui mangimi e sulle carni per incentivare una forte riduzione dei consumi, proprio come oggi si applica un prelievo fiscale sulla benzina per perseguire il medesimo scopo. Una tassa sui mangimi e le carni determinerebbe quasi sicuramente un ritorno alla produzione di cereali destinati all'alimentazione umana e affrancherebbe buona parte delle vaste terre agricole attualmente usate per produrre cereali destinati al bestiame e ad altri animali come mangimi.

Dovremmo altresì incoraggiare gli sforzi miranti a disincentivare le pratiche agricole che ricorrono a combustibili fossili e a prodotti chimici pesanti, ivi compresa la tecnologia di produzione degli Ogm, indirizzando di preferenza al ricorso a pratiche più biologiche e agro-ecologiche: a quel punto i costi legati alla coltivazione di cereali destinati all'alimentazione umana scenderebbero ulteriormente.

La nostra determinazione a ridurre sensibilmente lo spreco di energia e il nostro impatto sul riscaldamento globale, dovuto al riscaldamento degli edifici e all'alimentazione dei mezzi di trasporto, dovrebbe essere eguagliata dall'altrettanto aggressivo impegno a seguire lo stesso l'esempio nelle nostre pratiche agricole. In definitiva il passaggio dalla produzione di mangimi alla produzione di alimenti destinati all'uomo e il passaggio da un'agricoltura sostenuta da sostanze chimiche a un'agricoltura biologica sostenibile sono gli unici mezzi ai quali possiamo ricorrere a lungo termine per affrontare la duplice sfida della crisi alimentare globale e del cambiamento del clima. I consumatori ricchi e benestanti del mondo dovranno effettuare una scelta ponderata in fatto di regime alimentare, a beneficio dei loro consimili e del pianeta che tutti abitiamo. I governi dovranno fare altrettanto. Il tempo a disposizione si sta esaurendo.

*Jeremy Rifkin
presiede la Foundation on Economic Trends, Stati Uniti.
Ha scritto 17 libri, tra i quali 'Ecocidio:
ascesa e caduta della cultura della carne'
traduzione
di Anna Bissanti

Fonte: espresso.repubblica .it
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