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Ma davvero Google ci rende più stupidi?

Dall'innovazione tecnologica alla ricerca, vogliamo trattare in particolar modo i temi legati all'ambiente ed alla energia, non solo pero' con uno sguardo puramente tecnico ma anche con quello politico, piu' ampio, di respiro strategico

Ma davvero Google ci rende più stupidi?

Messaggioda annalu il 27/06/2008, 15:22

Da La Repubblica questo articolo:

TECNOLOGIA & SCIENZA

E' un timore che circola tra gli esperti. Secondo Nicholas Carr
il nostro modo di leggere cambia con l'uso continuo di Internet

Troppe nozioni, pochi pensieri
"Google ci fa diventare più stupidi"


Molti studiosi di varie materie ritengono che sia diminuita la loro
capacità di apprendimento: "Siamo diventati meri decodificatori"
di PAOLO PONTONIERE

SAN FRANCISCO - Che Google ci stia facendo diventare tutti più stupidi? Pensiero imbarazzante, domanda controversa. Mormorata a mezza bocca da più di un ricercatore ma mai formulata esplicitamente, la tesi è stata avanzata di recente da una storia di copertina del mensile The Atlantic Monthly, uno dei maggiori periodici progressisti statunitensi ed ha immediatamente fatto il giro delle prime pagine dei media americani.

Ripresa tra gli altri dal Washington Post, dal rotocalco online News. com di CNet e da ValleyWag, la si potrebbe definire (parafrasando una delle metafore formulate da Nicholas Carr, autore dell'articolo), una sorta di 'Sindrome di 2001 Odissea nello Spazio'. I lettori familiari con il film di Stanley Kubrick ricorderanno che Dave Bowman, astronauta e protagonista della storia, verso la fine del film stacca i contatti di HAL, il supercomputer che controllava la nave spaziale sulla quale viaggiava con i suoi colleghi. Bowman si era appena salvato da un attentato orchestrato dallo stesso HAL e i suoi compagni di avventura erano tutti morti. "Dave fermati", invocava HAL, cercando di convincere un Bowman mortalmente determinato a metterlo fuori uso. "Ti puoi fermare Dave?... Ti puoi fermare?... La mia mente se ne sta andando, Dave", concludeva fiocamente HAL.

Nel suo articolo Carr, che è anche autore di "The Big Switch", "Our New Digital Destiny", "Rewiring the World from Edison to Google", confessa di sentirsi proprio come HAL. Che il suo avere sempre a portata di polpastrello tutto lo scibile umano, un sapere che per raccoglierlo una volta gli ci sarebbero voluti anni di ricerca, sta in qualche modo compromettendo la sua capacità di pensare e di criticare. E per sua sorpresa ha scoperto di non essere l'unico a sentirsi in questa maniera. Docenti Universitari, giornalisti, muscisti anche medici gli hanno scritto a decine confessandogli di non riuscire più a leggere un libro, di scorrere solo tra le righe di un articolo e di essere difficilmente in grado di andare al di la del secondo o terzo paragrafo di un blog, non importa quanto bene o male questo si stato scritto.

E' come se per queste persone il sapere fosse improvvisamente diventato un universo a due dimensioni. Immenso lungo gli assi orizzontale e verticale ma senza profondità. Perché l'altro dato preoccupante che li accomuna è l'incapacità di assorbire concetti complessi e teorie evolute, se non nella forma di piccoli frammenti per volta, nella forma cioè di piccole manciate di bit.

La conferma che il suo sospetto fosse fondato, che l'uso costante dell'Internet e di Google stesse riconfigurando in qualche maniera l'assetto neuronale del cervello dei webnauti, Carr lo ha trovato in una serie di ricerche. Una della University College London.

Di durata quinquennale e condotta sugli utenti online della British Library e quelli di un consorzio di istituzioni educative inglesi, la ricerca Britannica denota che gli user non leggono i materiali in una maniera tradizionale. Che una nuova forma di lettura sta emergendo e che è fatta dal veloce scorrimento orizzontale degli articoli alla ricerca di parole chiave. "Pare quasi che vadano in linea per evitare di leggere", concludono i ricercatori inglesi. Un'altra fu condotta un paio di anni fa dal mensile scientifico Discover e stabilì che le e-mail riescono ad anestetizzare il cervello in maniera più profonda di quella della marijuana.

Marianne Wolf, una psicologa evolutiva della Tuft University e autrice di "Proust and the Squid: The Story and Science of the Reading Brain", ritiene che noi non siamo solo quello che leggiamo ma "siamo come leggiamo".

Secondo la Wolf, Internet pone l'efficienza e l'immediatezza al di sopra di qualsiasi altra cosa, indebolendo di conseguenza la nostra capacità di leggere profondamente, come facevamo invece quando la carta stampata aveva fatto delle opere letterarie prodotti di largo consumo tra i lettori di tutti gli strati sociali. "Siamo diventati meri decodificatori di informazioni", conclude la Wolf.

Per quelli che tendono a liquidare la tesi di The Atlantic in maniera sommaria, classificandola come sospetto vecchio e mai provato, Carr indica uno studio di James Olds, professore di neuroscienza e direttore del Karsnow institute for Advanced Study della George Mason University. Olds sostiene che il cervello adulto è molto malleabile. Fino a pochi anni fa si pensava che le connessioni neuronali delle persone fossero tutte stabilite tutte durante l'infanzia e che rimanessero immutate nel corso della vita, adesso abbiamo le prove che i neuroni rompono continuamente le vecchie connessioni per formarne delle nuove. "Il cervello" asserisce Olds, "ha la capacità di riprogrammarsi al volo, modificando la maniera in cui funziona".

Così Carr fa notare che se si coniuga questo postulato con quello formulato da Daniel Bell, sociologo della Harvard University, si deve concludere che in breve finiremo tutti col pensare come Google, conversare come le e-mail e parlare come Twitter. Secondo Bell le persone finiscono inevitabilmente con l'assumere le qualità delle tecnolgie intellettuali che utilizzano. Le tecnologie intellettuali sono quelle che, come fa l'internet, estendono le nostre capacità mentali ma non quelle fisiche.

La prova che questo possa veramente avvenire? Carr la trova nel carteggio che correva tra Friedrich Nietzsche e un suo amico compositore. Oramai vecchio e debole di vista, Nietzsche acquista una macchina per scivere. All'amico che gli fa notare che questa sta cambiando il suo stile Nietzsche risponde: "E' vero, gli strumenti con i quali scriviamo prendono parte alla formazione dei nostri pensieri". La prosa di Nietzsche era passata dalla retorica allo stile telegrafico, dagli argomenti agli aforismi e dal ragionamento alla battuta.

(27 giugno 2008)
annalu
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Re: Ma davvero Google ci rende più stupidi?

Messaggioda annalu il 27/06/2008, 15:50

annalu ha scritto:
[...]
Secondo la Wolf, Internet pone l'efficienza e l'immediatezza al di sopra di qualsiasi altra cosa, indebolendo di conseguenza la nostra capacità di leggere profondamente, come facevamo invece quando la carta stampata aveva fatto delle opere letterarie prodotti di largo consumo tra i lettori di tutti gli strati sociali. "Siamo diventati meri decodificatori di informazioni", conclude la Wolf.

Per quelli che tendono a liquidare la tesi di The Atlantic in maniera sommaria, classificandola come sospetto vecchio e mai provato, Carr indica uno studio di James Olds, professore di neuroscienza e direttore del Karsnow institute for Advanced Study della George Mason University. Olds sostiene che il cervello adulto è molto malleabile. Fino a pochi anni fa si pensava che le connessioni neuronali delle persone fossero tutte stabilite tutte durante l'infanzia e che rimanessero immutate nel corso della vita, adesso abbiamo le prove che i neuroni rompono continuamente le vecchie connessioni per formarne delle nuove. "Il cervello" asserisce Olds, "ha la capacità di riprogrammarsi al volo, modificando la maniera in cui funziona".

Così Carr fa notare che se si coniuga questo postulato con quello formulato da Daniel Bell, sociologo della Harvard University, si deve concludere che in breve finiremo tutti col pensare come Google, conversare come le e-mail e parlare come Twitter. Secondo Bell le persone finiscono inevitabilmente con l'assumere le qualità delle tecnolgie intellettuali che utilizzano. Le tecnologie intellettuali sono quelle che, come fa l'internet, estendono le nostre capacità mentali ma non quelle fisiche.
[...]


Interessante articolo, però a me ricorda qualcosa.

Prima di tutto, è vero che il cervello sa continuamente riprogrammarsi a tutte le età, ma la struttura di base si organizza nei primi anni di vita (entro il terzo anno circa, quando si completa la mielinizzazione) e poi via via la plasticità neuronale rallenta.

Quando era bambina, c'era chi diceva che la lettura astraeva la mente dei giovani dal contatto con la realtà.
In seguito, veniva imputata ai fumetti la colpa opposta, di rendere i giovani incapaci di letture complesse.
Poi via via, le colpe sono diventate della TV, poi del computer ed ora di Google.

Che gli adulti abbiano difficoltà ad adattarsi ad un mondo nel quale tutto si svolge e si esaurisce ad una velocità alla quale eravamo impreparati, mi sembra naturale. Quindi mi sembra naturale che avere moltissime informazioni a portata di mano possa rendere difficile l'elaborazione delle informazioni stesse.

Ma cosa sappiamo della mente dei giovani, delle generazioni che ora stanno avvicinandosi alla maggiore età, e che sono cresciuti con internet e google?

Sono nonna di due ragazzi, ed ho potuto seguire il loro sviluppo confrontandolo coi ricordi miei di infanzia (ovviamente sono ricordi parziali) ma soprattutto con l'infanzia dei miei figli, ora genitori.
Il modo di ragionare, ma anche di muoversi e di prendere decisioni sembra mutato.
I giovani, almeno quelli che ho frequentato di più, compresi i miei studenti universitari, hanno via via, con l'aumentare delle informazioni e della velocità di trasmissione delle stesse, rallentato i loro tempi di reazione.
Là dove noi agivamo con relativa rapidità, loro rapidissimamente consultano un elevato numero di dati, poi si muovono ... piano. E' il loro modo per elaborare le informazioni raccolte, e non lasciarsene travolgere.

Ad ogni generazione, la quantità di dati a disposizione è aumentata, e di conseguenza è aumentata la capacità del nostro cervello di elaborarli.
Se si cresce un bambino in una situazione di povertà di stimoli, le sue capacità cerebrali si svilupperanno meno, e in seguito le possibilità di recupero sono ridotte.
Un tempo, i neonati di stimoli ne ricevevano pochi, si riteneva che avessero bisogno di tranquillità.
Adesso i bimbi ricevono molti più stimoli, hanno maggiori libertà di movimento ed una alimentazione migliore sin dalla più tenera età.
Tutto questo si risolve in bambini generalmente più sani e più precoci per molti aspetti.
Quanto a portarli a diventare adulti migliori, questo è da vedere, ma dipenda da noi.

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Re: Ma davvero Google ci rende più stupidi?

Messaggioda franz il 27/06/2008, 18:51

articolo interessante; mi chiedo se forse gli scrittori potrebbero essere un caso lampante delle esattezza della loro stessa teoria. :-)
sicuramente noi pensiamo oggi in modo diverso rispetto a 100'000 anni fa e l'invenzione della scrittura prima, del libro poi ed infine l'avvento della scolarità di massa hanno modificato culture pensieri, filosofie. Pare pero' del tutto assente nelle considerazioni degli articolisti il fatto che la rete interner sia piena di contributi in gran parte fatti dagli internauti stessi.
Non solo milioni di siti autogestiti ma anche forum e blog, con comunità vastissime. Oggi è di moda il temine Network.
Certo è una "babele" in cui il rapporto segnale rumore è spesso pessimo e bisogna quindi imparare a filtrare (le bufale per esempio) e capire quando una informazione è vera o falsa (o una via di mezzo fatta di mezze verità).
La presenza di tanta informazione (che prima andava trovata con fatica in una biblioteca) come tutte le cose puo' avere aspetti positivi e negativi. Ogni strumento umano ne ha (non saperlo sarebbe si' un indicatore di ingenuità) ma il problema non è nello strumento ma nell'uso che ne facciamo e come veniamo abituati (anche a scuola?) ad usarlo.

Ciao,
Franz
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Re: Ma davvero Google ci rende più stupidi?

Messaggioda mario il 27/06/2008, 23:18

Marianne Wolf, una psicologa evolutiva della Tuft University e autrice di "Proust and the Squid: The Story and Science of the Reading Brain", ritiene che noi non siamo solo quello che leggiamo ma "siamo come leggiamo".
Parafrasando si potrebbe dire noi non siamo solo quello che scriviamo ma siamo anche come scriviamo.
Internet e le tecnologie moderne stanno portando gli uomini a leggere diversamente ed a scrivere di più e in modi nuovi.
Nel leggere uno può essere passivo. Nello scrivere mai. Anche se scrivere volesse dire SMS.
Internet ci porta tutti ad essere più attivi. Molto di più di quanto non lo siano stati i nostri genitori.
Google fa parte di questo nuovo modo di essere. Informazioni veloci, sintetiche, molteplici che richiedono capacità di selezione ed un intelligenza critica ed attiva.
E ben venga Google.
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Re: Ma davvero Google ci rende più stupidi?

Messaggioda franz il 28/06/2008, 8:51

mario ha scritto:Nel leggere uno può essere passivo. Nello scrivere mai. Anche se scrivere volesse dire SMS.
Internet ci porta tutti ad essere più attivi. Molto di più di quanto non lo siano stati i nostri genitori.
Google fa parte di questo nuovo modo di essere. Informazioni veloci, sintetiche, molteplici che richiedono capacità di selezione ed un intelligenza critica ed attiva.
E ben venga Google.

Grazie per avere detto molto meglio e piu' compiutamente quello che ho cercato di dire io prima.
In effetti pero' anche leggere (ed ascoltare) a meno che non sia fatto distrattamente (e allora qui io direi "non leggere" e "non ascoltare") richiede attività (quindi non passività).
Si dice che il processo comunicativo non avvenga mai al 100% delle possibilità.
Io non riesco mai a dire (o scrivere) il 100% delle cose che so su un certo argomento.
Ma fatto 100 quello che riesco a dire non è detto che tutto sia capito e compreso dall'ascoltatore.
Anche se il 10% arrivasse a destinazione, questa parte si fissa nella mente dell'interlocutore, viene memorizzata (se era attento).
Non interessa qui discutere il meccanismo di questa memorizzazione (nuove sinapsi? legami chimici?) ma interessa invece un concetto fondamentale: dopo aver ascoltato l'interlocutore, dopo aver letto un testo, anche questo, il vostro cervello non è piu' lo stesso di prima. E questo vale per ogni forma di comunicazione, visiva, musicale, scritta, orale.

Internet e la rete su questo pero' rappresentano una sorta di rivoluzione.
È da quando l'uomo ha inventato la scrittura (e prima ancora le pitture rupestri) che è partito il concetto di "memoria esterna". Non siamo piu' obbligati ad immagazzinare le informazioni nella nostra mente e trasmetterle oralmente, con tutto il processo distorsivo che questo comporta. L'uso di supporti esterni rende possibile la comunicazione asincrona (leggiamo un concetto scritto secoli fa) e qui un libro, uno spartito, un giornale, un disco, un CD, un file PDF, sono tutti supporti semplici, che permettono solo la memorizzazione esterna e lo scambio. Le ricerche per ottenere una informazione in questi grandi archivi esterni erano attività umana, fatta al massimo usando indici contenuti nel singolo oggetto (libro, disco) o chiedendo a sapienti bibliotecari. Internet invece, con il motore di ricerca "esternalizza" una attività che prima era interna. Non sappiamo quali altre attività mentali saranno esternalizazte in futuro ma oggi oltre ai dati (una mole sempre piu' enorme) abbiamo esternalizzato (alienato?) anche la ricerca stessa.
Puo' darsi che questo ci renda piu' stupidi, ... o che anche uno stupido possa fare una ricerca che prima solo un essere molto preparato riusciva a fare. E ritengo probabile che le due persone faranno verosimilmente un uso diverso di quanto reperito. Ma è senza dubbio una rivoluzione positiva.

Ciao,
Franz
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Re: Ma davvero Google ci rende più stupidi?

Messaggioda annalu il 28/06/2008, 11:44

Forse la storia dei motori di ricerca farebbe meno effetto, se ne aveste seguito l'evoluzione, all'interno di un laboratorio di ricerca.

Dunque, metà anni '60, io da poco laureata lavoro in un laboratorio biologico. Un giorno a settimana passo alcune ora a sfogliare un opuscoletto (il Current Content) di poche pagine edito dell'ISI, Institut for Scientific Information, dove sono raccolti tutti gli indici delle principali riviste scientifiche pubblicate durante la settimana. la lettura è noiosa, ma porta a trovare uno o due articoli importanti per la ricerca che stiamo conducendo, e che poi noi stessi, o meglio gli studenti, andranno a leggere e fotocopiare nelle varie biblioteche. Intanto, su un supercomputer che occupa un intero locale termostatato, i fisici fanno i loro calcoli, introducendo i loro dati mediante schede perforate.

Negli anni '70, in un altro laboratorio, comincio ad usare un computer da tavolo, finalmente programmabile in basic. Certo, il programmino me lo sono dovuto inventare e scriverlo da sola, ma così posso misurare rapidamente aree e circonferenze di strutture irregolari, come le immagini di cellule fotografate al microscopio elettronico. Quanto alla videoscrittura, siamo agli albori.
Per la bibliografia, i Current Content ora sono ora su dischetto, ed è possibile anche ricercare gli articoli più rapidamente, mediante "parole chiave" che caratterizzano l'argomento ricercato. Poi ovviamente, si continua con la ricerca per biblioteche.

Anni '90: adesso la ricerca bibliografica si fa tutta in rete per parole chiave o indici di riviste, Addirittura ormai le parole chiave (5 per l'esattezza) le deve indicare lo stesso autore quando pubblica un articolo. Cominciano le prime riviste informatizzate, per cui almeno alcuni articoli sono raggiungibili in rete.
Accanto agli strumenti classici editi dall'ISI, compaiono i primi motori di ricerca, molto parziali e disorganizzati, ma pur sempre utili.

E infine, GOOGLE!!!
Gli inventori di Google devono aver seguito l'evoluzione dei criteri di catalogazione e ricerca dell'ISI, e godono ormai dell'ausilio di computer davvero potenti.
Le informazioni che riescono a raccogliere e catalogare sono un numero immane, troppo vasto per poter semplicemente rispondere ad una ricerca per parole chiave. Così elaborano un algoritmo, che consente di ordinare le fonti raccolte mediante "parole chiave" sulla base della frequenza con la quale vengono consultate (ed altro, ovviamente, dato che l'algoritmo è segreto).

Ora la ricerca bibliografica non è più una specializzazione da ricercatori, chiunque può trovare moltissimo su qualsiasi argomento.
Il problema ora non è trovare informazioni, ma - come dice Franz - imparare a selezionarle, verificarne l'attendibilità, confrontare le diverse fonti. E questo è ancora l'uomo che deve farlo, e sarebbe importantissimo che QUESTO venisse insegnato in tutte le scuole. Del resto, è qualcosa della cui esistenza siamo consci da tempo, e si chiama SPIRITO CRITICO.

C'è qualche pericolo in Google?
Secondo me sì, ma ormai siamo troppo avanti per poter cambiare le cose, temo.
Il pericolo sta nel famoso algoritmo segreto, col quale vengono scelte le risposte da mostrare in prima pagina, e qelle da mettere agli ultimi posti.
Si tratta di un potere enorme, che influenzerà tutta l'umanità, soprattutto se qualcuno introducesse nel sistema qualche piccola modifica - le famose minor modifications, teoricamente insignificanti - che faccia scomparire misteriosamente (anche solo ponendole in ultima posizione) alcune informazioni importanti.

Quanto all'ossrvazione di Carr su Nietzsche e la sua maccina da scrivere:
annalu ha scritto: La prova che questo possa veramente avvenire? Carr la trova nel carteggio che correva tra Friedrich Nietzsche e un suo amico compositore. Oramai vecchio e debole di vista, Nietzsche acquista una macchina per scivere. All'amico che gli fa notare che questa sta cambiando il suo stile Nietzsche risponde: "E' vero, gli strumenti con i quali scriviamo prendono parte alla formazione dei nostri pensieri". La prosa di Nietzsche era passata dalla retorica allo stile telegrafico, dagli argomenti agli aforismi e dal ragionamento alla battuta.

non sarebbe più semplice pensare che se Nietzsche aveva difficoltà a scrivere a mano per l'età e gli acciacchi, forse aveva anche difficoltà a scrivere in generale, e quindi scriveva in stile telegrafico? Oppure anche solo che si sentiva in difficoltà davanti alla macchina da scrivere?
Mio nonno ultrasettantenne preferiva dettare a me bambina, piuttosto che mettersi lui alla macchina da scrivere ... come accade anche adesso a molti nonni coi loro nipotini, nei riguardi del computer.

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Re: Ma davvero Google ci rende più stupidi?

Messaggioda trilogy il 01/07/2008, 10:41

google e i vari motori di ricerca di difetti ne hanno tanti, in particolare in tema di privacy, non offrono alcuna garanzia in proposito e la situazione è in continuo peggioramento.

Sul tema, l'analisi di privacy international

http://www.privacyinternational.org/iss ... nkings.pdf

per aggirare il cookie tracciante di google

http://www.scroogle.org/
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