Nasce"Yahoogle", un monopolio invisibile
Inviato: 13/06/2008, 20:13
L'accordo di Yahoo! con Google, dopo la rottura con Microsoft, lega il "primo nome di internet" a una partnership vincolante per il futuro. Ma quanti dubbi...
di VITTORIO ZAMBARDINO
Poche domande sul Monopolio Invisibile
Non è solo l’autorevole TechCrunch, che nella tecnologia americana è un punto di riferimento, ad avere dubbi sulla “Yahoogle”. Cioè l’accordo con Google, che segue alla rottura con Microsoft da parte di Yahoo!, e che lega il “primo nome di internet” a un contratto pubblicitario da 800 milioni di dollari e a una partnership vincolante per il futuro. Dubbi che dovrebbero prendere anche chi è molto lontano dalla California, da internet e dal business. Dubbi che dovebbero prendere anche il singolo utente della rete.
Cosa dice Arrington?
Cosa dice Michael Arrington, fondatore di Techcrunch? Dice: “Abbiamo sostenuto che un mercato competitivo della ricerca è importante per la salute della rete internet”. Sì, è gergale, non si capisce cosa Arrington intenda se uno non sta proprio dentro tutti i discorsi sulla rete. Il guaio delle questioni internet è che si presentano avvolte dentro questo involucro di tecnicismo, che non si scioglie certo se poi uno usa termini come “grande fratello” e “controllo totale”. E però poi del controllo del mercato della conoscenza nel mondo si tratta. Della “tua” conoscenza, dei tuoi occhi e dei tuoi processi di apprendimento, informazione, espressione. Di cose molto poco tecniche.
La posta in gioco
Perché Bill Gates voleva Yahoo? Perché nel campo della pubblicità online, che cresce a ritmi sconosciuti per gli altri media, che risentono molto più duramente del ciclo economico, sta costituendosi un polo unico e predominante: quello di Google. Su cosa è fondato questo potere? Sul fatto che la ricerca è diventata per la mente delle persone ciò che la metropolitana è per i loro corpi. Il veicolo insostituibile per portare se stessi da una attività vitale all’altra. Leggere notizie, comprare viaggi o libri, comunicare con le persone e - scusate se è poco - lavorare. Tutto ciò si fa oggi con la ricerca che conferisce all’individuo il senso di un nuovo potere, proprio e personale, contrapposto alle tradizionali agenzie della conoscenza - dai giornali alla scuola.
Lo sposamento conoscitivo.
C’è chi ha parlato di uno spostamento dei paradigmi conoscitivi, di una nuova antropologia, e non è andato lontano da ciò che sta avvenendo. Tanti anni fa, agli albori di internet, gli scettici chiedevano agli entusiasti: ma chi paga Internet? Ora la domanda ha una risposta: paga l’umanità che vi è presente, che respira l’aria della conoscenza e spende il denaro della propria attenzione. Quel “denaro” si concretizza nella pubblicità. La linfa vitale che dai giornali, dalle radio e televisioni va spostandosi verso la rete. Lì ci sono gli occhi e le teste. Questo voleva Bill Gates: partecipare, come già fa, del grande business della conoscenza e della pubblicità mettendo le sue aziende e i suoi software che studiano il consumatore al posto degli altri. Ha fallito. E capire perché serve a capire di cosa preoccuparsi.
La sensazione di invincibilità
Aggiudicarsi parte di quella torta richiede potenza tecnologica e grandi disponibilità di denaro. Le ha Microsoft? Sì, le ha. E allora perché ha perso? Ci sono le ragioni contingenti del denaro, forse, ma Arrington spiega quale danno devastante abbiano subito gli azionisti di Yahoo! col salto dell’accordo. E allora bisogna considerare questa sensazione di invincibilità che oggi Google trasmette all’intero mondo internet. La sensazione di avere insieme gli algoritmi giusti e la filosofia migliore per il mondo di domani. Il management di Yahoo! aveva poche certezze, una però sopravviveva: nel caso di “merge” con Microsoft il gigante avrebbe cominciato subito a digerirli e annullarli. Con Google tutti pensano di essere saliti sul carro del vincitore mantenendo intatta, anzi potenziata, la propria libertà.
Come la vede il signor X, l’ideologia-Google
Dal punto di vista delle persone che usano internet, il fatto che Google “attacchi” i diversi business della conoscenza è una buona notizia. Molti in internet pensano di sapere di più perché con la ricerca possono verificare che un giornalista ha scritto un’inesattezza oppure possono costruirsi il proprio menù di informazione, saltando la gerarchia conoscitiva data dai giornali. Nel senso di onnipotenza che viene sentito come proprio dagli utenti del web, c’è molta ideologia-Google.
Ed è un fatto che l’entità creata da Brin e Page non venga avvertita con quel senso di oppressione autoritaria che si riservava alla Ibm o alla Microsoft (ve lo ricordate lo spot di Apple del 1984 con il Grande Fratello che viene distrutto dal martello della ragazza liberatrice?). Ora il Grande Fratello è arrivato, è invisibile e funziona bene. Soprattutto ti dà in cambio molto, non l’illusione ma l’esercizio reale di un potere. Il Grande Fratello non solo ti ama, ma ti vuole indipendente perchè ti conosce. Che dietro di questa conoscenza ci siano alcune pratiche assai dubbie, al “cittadino della rete” non interessa nulla. E’ affare di chi il danno lo subisce. Ma si sbaglia.
Qualche esempio in forma di domanda al cittadino elettronico:
1) Il meccanismo con il quale Google vende la propria pubblicità, quella in forma di risultati di ricerca, è opaco. Nessuno sa quanti altri concorrenti ci siano in quel momento, come tutti pensano e pochi dicono: questo danneggia solo chi la pubblicità la paga o anche chi la riceve?
2) La pubblicità “profilata” (una indubitabile comodità) arriva perfino nelle mail private: è un argomento che dovrebbe turbare prima il cittadino elettronico che i dinosauri dei media. O no?
3) Se Google arriverà - e l’accordo di ieri è un passo in questo senso - a dettare regole, condizioni e prezzi della pubblicità online, questo sarà un vantaggio o uno svantaggio per il cittadino elettronico? In altre parole: ci guadagni da un monopolio?
Si potrebbe andare avanti a lungo, per esempio sulla correttezza delle pratiche di Google verso chi produce e veicola contenuto editoriale, ma non aiuterebbe e permetterebbe a chi non è d’accordo di dire che questo è solo il lamento di chi si sente minacciato. Di certo c’è che queste pratiche godono oggi di un consenso generalizzato nel popolo della rete. Contro questo nuovo conformismo c’è chi ha scelto la strada dell’apocalisse, come Andrew Keen, nel suo “The cult of amateur“, ovvero “come internet sta distruggendo la nostra industria e la cultura”. Altri, gli editori del Belgio, hanno pensato di far causa a Google per il servizio di Google News: si sentivano derubati. E’ come far causa all’energia elettrica. Non c’è un tribunale o un’autorità che possa decidere contro il Monopolio Invisibile. C’è la coscienza della gente. Che al momento manca, anzi va dalla parte sbagliata.
www.repubblica.it
di VITTORIO ZAMBARDINO
Poche domande sul Monopolio Invisibile
Non è solo l’autorevole TechCrunch, che nella tecnologia americana è un punto di riferimento, ad avere dubbi sulla “Yahoogle”. Cioè l’accordo con Google, che segue alla rottura con Microsoft da parte di Yahoo!, e che lega il “primo nome di internet” a un contratto pubblicitario da 800 milioni di dollari e a una partnership vincolante per il futuro. Dubbi che dovrebbero prendere anche chi è molto lontano dalla California, da internet e dal business. Dubbi che dovebbero prendere anche il singolo utente della rete.
Cosa dice Arrington?
Cosa dice Michael Arrington, fondatore di Techcrunch? Dice: “Abbiamo sostenuto che un mercato competitivo della ricerca è importante per la salute della rete internet”. Sì, è gergale, non si capisce cosa Arrington intenda se uno non sta proprio dentro tutti i discorsi sulla rete. Il guaio delle questioni internet è che si presentano avvolte dentro questo involucro di tecnicismo, che non si scioglie certo se poi uno usa termini come “grande fratello” e “controllo totale”. E però poi del controllo del mercato della conoscenza nel mondo si tratta. Della “tua” conoscenza, dei tuoi occhi e dei tuoi processi di apprendimento, informazione, espressione. Di cose molto poco tecniche.
La posta in gioco
Perché Bill Gates voleva Yahoo? Perché nel campo della pubblicità online, che cresce a ritmi sconosciuti per gli altri media, che risentono molto più duramente del ciclo economico, sta costituendosi un polo unico e predominante: quello di Google. Su cosa è fondato questo potere? Sul fatto che la ricerca è diventata per la mente delle persone ciò che la metropolitana è per i loro corpi. Il veicolo insostituibile per portare se stessi da una attività vitale all’altra. Leggere notizie, comprare viaggi o libri, comunicare con le persone e - scusate se è poco - lavorare. Tutto ciò si fa oggi con la ricerca che conferisce all’individuo il senso di un nuovo potere, proprio e personale, contrapposto alle tradizionali agenzie della conoscenza - dai giornali alla scuola.
Lo sposamento conoscitivo.
C’è chi ha parlato di uno spostamento dei paradigmi conoscitivi, di una nuova antropologia, e non è andato lontano da ciò che sta avvenendo. Tanti anni fa, agli albori di internet, gli scettici chiedevano agli entusiasti: ma chi paga Internet? Ora la domanda ha una risposta: paga l’umanità che vi è presente, che respira l’aria della conoscenza e spende il denaro della propria attenzione. Quel “denaro” si concretizza nella pubblicità. La linfa vitale che dai giornali, dalle radio e televisioni va spostandosi verso la rete. Lì ci sono gli occhi e le teste. Questo voleva Bill Gates: partecipare, come già fa, del grande business della conoscenza e della pubblicità mettendo le sue aziende e i suoi software che studiano il consumatore al posto degli altri. Ha fallito. E capire perché serve a capire di cosa preoccuparsi.
La sensazione di invincibilità
Aggiudicarsi parte di quella torta richiede potenza tecnologica e grandi disponibilità di denaro. Le ha Microsoft? Sì, le ha. E allora perché ha perso? Ci sono le ragioni contingenti del denaro, forse, ma Arrington spiega quale danno devastante abbiano subito gli azionisti di Yahoo! col salto dell’accordo. E allora bisogna considerare questa sensazione di invincibilità che oggi Google trasmette all’intero mondo internet. La sensazione di avere insieme gli algoritmi giusti e la filosofia migliore per il mondo di domani. Il management di Yahoo! aveva poche certezze, una però sopravviveva: nel caso di “merge” con Microsoft il gigante avrebbe cominciato subito a digerirli e annullarli. Con Google tutti pensano di essere saliti sul carro del vincitore mantenendo intatta, anzi potenziata, la propria libertà.
Come la vede il signor X, l’ideologia-Google
Dal punto di vista delle persone che usano internet, il fatto che Google “attacchi” i diversi business della conoscenza è una buona notizia. Molti in internet pensano di sapere di più perché con la ricerca possono verificare che un giornalista ha scritto un’inesattezza oppure possono costruirsi il proprio menù di informazione, saltando la gerarchia conoscitiva data dai giornali. Nel senso di onnipotenza che viene sentito come proprio dagli utenti del web, c’è molta ideologia-Google.
Ed è un fatto che l’entità creata da Brin e Page non venga avvertita con quel senso di oppressione autoritaria che si riservava alla Ibm o alla Microsoft (ve lo ricordate lo spot di Apple del 1984 con il Grande Fratello che viene distrutto dal martello della ragazza liberatrice?). Ora il Grande Fratello è arrivato, è invisibile e funziona bene. Soprattutto ti dà in cambio molto, non l’illusione ma l’esercizio reale di un potere. Il Grande Fratello non solo ti ama, ma ti vuole indipendente perchè ti conosce. Che dietro di questa conoscenza ci siano alcune pratiche assai dubbie, al “cittadino della rete” non interessa nulla. E’ affare di chi il danno lo subisce. Ma si sbaglia.
Qualche esempio in forma di domanda al cittadino elettronico:
1) Il meccanismo con il quale Google vende la propria pubblicità, quella in forma di risultati di ricerca, è opaco. Nessuno sa quanti altri concorrenti ci siano in quel momento, come tutti pensano e pochi dicono: questo danneggia solo chi la pubblicità la paga o anche chi la riceve?
2) La pubblicità “profilata” (una indubitabile comodità) arriva perfino nelle mail private: è un argomento che dovrebbe turbare prima il cittadino elettronico che i dinosauri dei media. O no?
3) Se Google arriverà - e l’accordo di ieri è un passo in questo senso - a dettare regole, condizioni e prezzi della pubblicità online, questo sarà un vantaggio o uno svantaggio per il cittadino elettronico? In altre parole: ci guadagni da un monopolio?
Si potrebbe andare avanti a lungo, per esempio sulla correttezza delle pratiche di Google verso chi produce e veicola contenuto editoriale, ma non aiuterebbe e permetterebbe a chi non è d’accordo di dire che questo è solo il lamento di chi si sente minacciato. Di certo c’è che queste pratiche godono oggi di un consenso generalizzato nel popolo della rete. Contro questo nuovo conformismo c’è chi ha scelto la strada dell’apocalisse, come Andrew Keen, nel suo “The cult of amateur“, ovvero “come internet sta distruggendo la nostra industria e la cultura”. Altri, gli editori del Belgio, hanno pensato di far causa a Google per il servizio di Google News: si sentivano derubati. E’ come far causa all’energia elettrica. Non c’è un tribunale o un’autorità che possa decidere contro il Monopolio Invisibile. C’è la coscienza della gente. Che al momento manca, anzi va dalla parte sbagliata.
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