Dico anch'io la mia opinione, su un argomento sul quale sono molto sensibile, perché il "principio invalicabile" di alcuni si scontra con la sofferenza di altri.
Comincio con una immagine:

In a) una blastocisti umana vista da un lato, in b) in sezione mediana; sotto le immagini al microscopio, sopra i relativi disegni schematici. La blastocisti misura poco più di un decimo di millimetro di diametro. Il futuro embrione si svilupperà dalle otto cellule scure all'interno della blastocisti in b.
Ho cominciato con l'immagine, perché mi farebbe piacere si sapesse di cosa si sta parlando, per chiarezza.
Tornando a noi, gli embrioni sono senz’altro vite, come del resto lo sono anche le amebe (o per restare nella nostra specie, gli spermatozoi). Ma qui non si tratta di embrioni. Il problema è: un ovulo fecondato o una blastocisti può essere considerato una vita umana? Se vogliamo disquisire di teoria, è noto che dalla partizione di un ovulo fecondato o di una blastocisti possono derivare più di un embrione, cioè più di una persona umana, infatti è così che si generano i gemelli monozigoti. Ed è anche grazie a questo meccanismo che è possibile isolare una cellula per la diagnosi reimpianto, senza danneggiare il futuro sviluppo dell’embrione, quindi del feto ed infine del bambino.
Così abbiamo a che fare con un “vivente” (una vita) ma definire “persona umana” un grumo di cellule, solo perché ha un genoma umano, non è molto diverso dal considerare “persona” un organo malato da asportare chirurgicamente: i geni delle cellule che lo compongono sono genoma umano completo.
Certo, le cellule di quell’organo malato non hanno la “potenzialità” di dare origine ad una persona umana, mentre la blastocisti sì. L’oggetto del dibattito è tutto qui: un ovulo fecondato, una blastocisti (Rita Levi Montalcini li ha definiti pre-embrioni) ha la “potenzialità” di diventare un embrione e poi una persona(o due o talvolta anche più), ma non è (ancora) un embrione.
Concordo che una struttura che rappresenta un essere umano potenziale rappresenti un valore maggiore rispetto a qualsiasi essere che questa potenzialità non la possiede, però io credo che non si possa mettere sullo stesso piano una “potenziale persona” con una persona in carne ed ossa, fornita di un sistema nervoso e in grado di provare dolore.
Perché questo è il punto. Per la chiesa cattolica un tempo era molto grave lasciar morire un neonato senza battesimo. Quindi, in caso che si dovesse scegliere tra la sopravvivenza della madre o quella del nascituro (in alcuni casi di parto cesareo la scelta era quella, fino a meno di un secolo fa) la chiesa raccomandava di sacrificare la madre.
Adesso il problema in questi termini non si pone più, ma ugualmente si tende a considerare le sofferenze delle potenziali madri (o meglio, dei potenziali genitori) meno rilevanti rispetto a quelle di una blastocisti!
Infatti la legge 40 in origine poneva molte limitazioni che potevano danneggiare la salute della madre (come il divieto di congelare gli ovuli, costringendo così la donna a ripetute stimolazioni ormonali, notoriamente pericolose), oppure mettere a rischio i nascituri, come l’obbligo di produrre sino a tre ovuli fecondati ed impiantarli tutti e tre, col rischio di gravidanze trigemellari (che spesso terminano con parti prematuri, con rischio che i neonati non sopravvivano o riportino menomazioni). Questi eccessi sono stati rimossi negli anni da varie sentenze, man mano che le norme sono apparse in tutta la loro gravità e assurdità.
Quest’ultima norma, il divieto della diagnosi preimpianto, è stata giudicata incongrua dalla Corte europea: si vieterebbe la diagnosi preimpianto per patologie per le quali è consentito l’aborto terapeutico. Si preferirebbe quindi che una coppia che volesse avere figli sani (pur essendo portatrice di gravi patologie) rinunciasse ad avere figli propri, oppure concepisse e poi, a gravidanza avanzata, debba ricorrere alla misura estrema dell’aborto. Terribile e crudele.
La scienza deve continuare a cercare di curare tutte le patologie note e consentire a tutti una vita il più possibile sana, ma intanto che le cure non sono disponibili?
Quale logica crudele può imporre coscientemente grandi sofferenze a genitori e futuri bambini, in nome di un principio assoluto, che non tutti condividono?
E poi, questa ‘crudeltà’ si manifesta in tutta la sua durezza solo nei confronti delle famiglie meno abbienti; chi può infatti compie il cosidetto ‘turismo procreativo’ e va a praticare la fecondazione assistita all’estero, dato che quasi ovunque la diagnosi reimpianto è la regola. Molte cliniche spagnole si stanno arricchendo, grazie a queste nostre norme.
Qui mi fermo. So bene che questo discorso sarà ascoltato solo da chi è già pronto a farlo. Perché, come diceva Einstein, è più facile rompere un atomo che un pregiudizio.
annalu