La sfida del bicentenario: chi era più grande tra Darwin e Lincoln?
Scritto da: Alessio Altichieri alle 01:50
Tags: Abraham Lincoln, Barack Obama, Charles Darwin, Simon Jenkins
Due secoli fa, il 12 febbraio 1809, un giorno straordinario per l’umanità, nacquero due persone che avrebbero fatto il mondo così com’è oggi, Charles Darwin e Abraham Lincoln. Non avevo mai saputo di questa stupefacente coincidenza, che ho appreso leggendo sul “Guardian” un articolo di Simon Jenkins, uno di migliori columnist d’oggi. Di Darwin, naturalmente, ChelseaMia ha già scritto, quando s’aprì al National History Museum di Londra la prima delle molte mostre che celebrano i due secoli dalla nascita dell’uomo che, dimostrando come la vita s’evolva attraverso la selezione naturale, Blog_Lincoln_Darwin.jpgabolì la Creazione della Bibbia e fondò la biologia. E di Abramo Lincoln, il sedicesimo presidente americano che vinse la guerra civile e abolì lo schiavismo, facendo degli Stati Uniti le terra di libertà e uguaglianza che ancora oggi sono, malgrado i ben noti sbandamenti, ha parlato ripetutamente il primo presidente nero, Barack Obama, che evidentemente vede in Lincoln un antenato putativo.
Darwin e Lincoln, nati a distanza di un oceano, erano anche lontani per origine sociale. Nipote di uno scienziato che già aveva studiato l’evoluzione animale, figlio di una Wedgwood della dinastia manifatturiera giunta fino ai nostri giorni, Darwin stava agiatamente al centro dell’universo – Londra, il Kent – quando l’impero britannico e la rivoluzione industriale avevano fatto dell’Inghilterra la nazione guida del mondo, tanto da potersi dedicare alla scienza con occhio disincantato. Lincoln, figlio di un agricoltore quasi analfabeta del Kentucky, estrema periferia del mondo in espansione verso le praterie, dovette farsi da sé, prima avvocato, poi eletto alla Camera dei Rappresentanti, quindi presidente in virtù di un’oratoria che era pari solo alle sue convinzioni morali, e nel contempo forgiare la nazione che gl’imponeva la morale dei pionieri. Praticamente agnostico lo scienziato, religioso a modo suo lo statista, il primo morto nel suo letto, il secondo assassinato da un fanatico, hanno fatto a quattro mani il mondo.
Chi era il più grande? Jenkins pone una domanda impossibile, visto che non è lecito paragonare due mondi paralleli ed estranei, scienza e politica, come non si possono confrontare pere e mele. Eppure, nel giungere a una risposta, fa un percorso che è ricco d’insegnamenti. La scienza, cioè Darwin, ha sbaragliato gli avversari: è vero, c’è ancora tanta gente che crede che il mondo sia stato fatto in sette giorni, ma c’è pure una moltitudine convinta che Elvis sia ancora vivo, o che le Twin Towers di New York siano state abbattute dalla Cia. In realtà, mentre la teoria dell’evoluzione attraverso la selezione naturale vive quotidiane conferme, i creazionisti non sono stati in grado di scrivere un solo libro che s’opponga alla biologia. Le offensive degli oscurantisti sono di retroguardia: faziose, testarde, ma senza prospettiva di vittoria. La scienza cresce su se stessa, inesorabilmente, e piuttosto spaventa per l’accelerazione difficile da controllare.
Invece la politica non è andata avanti. Sì, lo schiavismo è stato superato, almeno a parole, perché non c’è più una società al mondo che l’ammetta o lo pratichi apertamente. E tuttavia assistiamo all’esodo di enormi masse di diseredati che, profughi o emigranti clandestini, patiscono uno sfruttamento che nemmeno i confederali americani avrebbero tollerato. Il più celebre discorso di Lincoln, quello che pronunciò nel 1863 al cimitero di Gettysburg, dove settemila uomini erano morti nella battaglia culminante della guerra civile americana, era certo alto e nobile, perché prometteva “il governo del popolo, da parte del popolo, per il popolo”, ma avrebbe potuto essere già attuale nell’età di Pericle, e resta ancora oggi una promessa. Se la scienza avanza in linea retta, la politica gira intorno a se stessa, e spesso si ritrova al punto di partenza. Diciamo così: la scienza cresce in progressione geometrica, mentre la politica è la fatica di Sisifo, costretto in eterno a riportare al monte la pietra che rotola a valle.
Jenkins fa la sua scelta: proprio perché la scienza non ha contenuto etico (come l’arte, se Auden diceva che “nessuna poesia ha salvato un solo ebreo dalle camere a gas”), tocca alla politica farsi carico del mondo. Simbolicamente, infatti, Darwin morì nel suo letto, mentre Lincoln fu ammazzato prima che finisse il mandato. “Ecco perché Darwin ha la mia ammirazione, ma Lincoln ha il mio voto”, conclude Jenkins. Davvero? Forse vale anche la tesi opposta: poiché la politica non è in grado di risolvere definitivamente alcun problema (la democrazia, come sappiamo, va difesa ogni giorno), almeno la scienza ci dà risultati concreti. C’è materia di riflessione, no?
Pubblicato il 15.02.09 01:50
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