da pierodm il 24/08/2010, 19:35
Manuela - una svolta in senso profondamente riformista e modernizzatore del paese
Io avevo detto - Lo scenario, tuttavia, che tu descrivi non s'improvvisa, né si ricava con due o tre botte di riforma ben assestate: richiede una trasformazione profonda
Vorrei sapere che differenza c'è tra quello che io ho detto e quello che hai detto tu, Manuela.
A me sembra nessuna, e mi sembra curioso affermare che è troppo facile dire che sono cose che non si improvvisano, che hanno bisogno di lunghe transizioni, giusto per non affrontare quello di cui ci sarebbe un gran bisogno: a fare i semplicisti, a fare quelli che s'infervorano sul "presto e bene" e che vedono dappertutto conservatori e parassiti ci vuole poco - e si fa bella figura (?) con poco.
Le transizioni possono non essere lunghe, ma hanno comunque bisogno di un'elaborazione assai ben studiata e di una chiara volontà politica: questo è ciò che sostengo, in sostanza, da tempo, in relazione alla assai male studiata elaborazione che da anni affligge questo centro-sinistra e alla sua scombiccherata e talvolta incomprensibile volontà.
Il problema è che in Italia mancano, come si dice, i fondamentali, ossia che non c'è un valore o un settore sul quale fare leva per cominciare a risolvere gli altri problemi: discettare di un programma, disegnare una bella riformina tutta linda e pinta, a chiacchiere è relativaente facile, mettendo da parte tutti quegli aspetti della realtà che ostacoleranno o degraderanno i risultati che ci si attende.
Potremmo studiare bene il fenomeno dei tassisti romani, per esempio, per capire come e perché una liberalizzazione sacrosanta voluta dalla giunta di centro-sinistra abbia dato luogo non solo ad un nulla di fatto nel settore, ma abbia contribuito al disastro elettorale successivo. E si tratta pur sempre di un esempio relativamente "stupido", in un settore tutto sommato marginale.
Quanto al discorso sul "merito" ci sarebbero tante cose da dire: sul principio, come dici tu, si fa presto ad essere d'accordo.
Il fatto è che si fa presto anche a parlare di merito e di demerito, ma poi bisogna andare a vedere le carte.
In gran parte dei casi - nel pubblico impiego ministeriale e d'ufficio, ma anche in molte aziende private - si tratta di lavori di talmente basso livello professionale e culturale che c'è davvero poco spazio per un'effettiva gamma di "meriti".
Si tratta piuttosto di buona volontà, quando non è la sola e semplice presenza sul posto di lavoro.
Altra cosa sono i settori dove serve una reale capacità, oltre che la buona volontà: qui sì che deve valere il merito, ma con meccanismi che consentano di formare dirigenti che siano in grado di giudicare tale merito e meccanismi che non trasformino il giudizio in un atto arbitario.
Il problema, però, che rimane è quello del demerito, o meglio, di che cosa fare di chi non mostra particolari meriti, o di chi non riesce nemmeno ad arrivare ad un posto di lavoro per dimostrare se merita o non merita.
Voglio dire che è abbastanza semplice parlare, togliendo di mezzo i capitoli scomodi, quelli cioè di problematica soluzione, o afidandosi per questi a meccanismi ipotetici, o anche lasciando intendere che di quei problemi ce ne possiamo fregare.
Un po' come fare le statistiche, considerando la povertà, il disagio sociale, l'emarginazione, l'assistenza, la disoccupazione,etc, come un inevitabile "danno collaterale", e basarsi per valutare un sistema solo sul terzo o i due terzi che hanno la testa e magari tutto il busto fuori dall'acqua.
La destra, specialmente quella aziendalista, lo può fare, la sinistra no: per questo è assai più difficile il compito della sinistra, e allo stesso tempo più grave quando la sinistra rinuncia a porsi il problema sociale nella sua totalità.