di Daniela Minerva
Sono 43 gli ospedali finanziati per trovare nuove cure e fare scienza.
Ma più della metà non lo fa. Colpa di soldi dati a pioggia e senza trasparenza
Duecentocinquanta milioni di euro, milione più milione meno. È quanto ogni anno il ministero del Welfare versa nelle casse dei 43 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) perché facciano ricerca biomedica di qualità. A buon fine? In parte certamente sì: almeno una decina dei magnifici 43 sono realmente magnifici. Ma per il resto, davvero no. È quanto si può leggere nell'analisi della produttività dei 43 super ospedali preparata dal ministero.
LA PAGELLA: I 43 istituti di eccellenza
Dalla quale emerge chiaramente che più della metà degli istituti pubblici e privati a carattere scientifico, di scientifico ha veramente poco: hanno ottenuto l'ambito riconoscimento grazie alla politica (a darlo sono il ministero e la regione), si sono messi in tasca i finanziamenti alla ricerca corrente, ovvero quelli che comunque arrivano a pioggia agli Ircss, e anche un po' di soldi riservati alla ricerca finalizzata. Ma di risultati scientifici nemmeno l'ombra: a valutarli è il cosiddetto impact factor, ovvero la misura delle pubblicazioni e della loro utilità basata in buona parte sul prestigio della rivista su cui sono pubblicate e sul numero degli scienziati che le utilizzano per costruire altra ricerca scientifica.
Oggi meno della metà degli Irccs arriva alla soglia minima dei 500 punti, sotto la quale si fa davvero fatica a parlare di ricerca. Ma per parare le obiezioni di chi un po' sorprendentemente non ritiene che l'eccellenza scientifica possa essere l'unico parametro su cui valutare un istituto scientifico, il ministero è andato anche a vedere quante sperimentazioni si fanno e quanti nuovi protocolli terapeutici si sperimentano: gli happy few, però, rimangono tali. E allora, per estendere ancora di più l'ambito valutativo, ecco la conta delle innovazioni assistenziali (nuovi metodi di applicazione di tecniche e terapie e miglioramenti dal punto di vista del paziente e dell'efficacia): così entrano tra gli innovatori anche alcuni istituti dal basso impact factor, come il Medea di Lecco specializzato in riabilitazione, o il cardiologico Monzino di Milano. Rimane però una pletore di centri che, stando alle valutazioni ministeriali, innovano poco o niente. Eppure ricevono finanziamenti, e nemmeno pochi. Perché?
La risposta è scritta in un rapporto del Cergas-Bocconi ('Analisi del sistema di finanziamento della ricerca sanitaria in Italia'): i 200 milioni spesi per la ricerca corrente sono dati senza definizione delle priorità, con meccanismi "che lasciano ampio spazio alla discrezionalità" e "senza trasparenza"; i denari sono distribuiti in buona parte a "pioggia", tanto da garantire la sopravvivenza anche a chi non produce nulla. Non solo: anche per i circa 50 milioni distribuiti a progetti specifici (ricerca finalizzata) il rapporto Bocconi annota la mancanza di un sistema di valutazione efficace. E andando a spulciare i progetti del 2007 finanziati si scopre che gli acchiappatutto sono il Gaslini di Genova (3,4 milioni) e il San Raffaele di Don Luigi Verzé (3,3 milioni), istituti dalla grande produttività. Ma che la gran parte dei denari arrivano su 38 istituti, a pioggia. L'Istituto per la diagnostica nucleare di Napoli (If 95) ad esempio ottiene progetti per quasi 2 milioni; la Casa di cura Multimedica (If 252,5), il cui amministratore Daniele Schwarz fu condannato (pena sospesa) per aver gonfiato i rimborsi presentati in regione e che ottiene 900 mila euro; e il Policlinico San Donato di Giuseppe Rotelli (If 275) con una ricerca da 300 mila. E la domanda che tutti si fanno è: dato che i soldi sono pochi, perché non concentrarli e favorire la nascita di centri di eccellenza capaci di produrre innovazione?
A questo dovevano servire gli Irccs. Ma la pratica di dare il riconoscimento sulla base delle ragioni della politica, per favorire un territorio o un imprenditore amico, insieme, per quanto riguarda gli istituti pubblici, al malcostume di nominare direttori scientifici dallo scarso curriculum scientifico ne hanno spuntato le armi. Per questo uno scienziato come Silvio Garattini non si stanca di ripetere che il riconoscimento andrebbe tolto a chi non produce scienza. Ottima idea ma difficilmente praticabile. Diversa è invece la partita che si apre in questi giorni e che offre al viceministro Ferruccio Fazio un'occasione per far cambiare rotta almeno agli Irccs pubblici: nel giro di un anno scadrà la maggior parte dei direttori scientifici. A partire da luglio, quando dovranno essere nominati i direttori dei tre grandi istituti lombardi: l'Istituto nazionale dei tumori e il neurologico Besta di Milano, e il Policlinico San Matteo di Pavia. Dove è in corso la partita più calda tra l'attuale direttore Carlo Alberto Redi, scienziato di fama internazionale che ha fatto dell'istituto pavese un gioiello di livello internazionale, e il cardiochirurgo Mario Viganò, noto e valente superbisturi, costretto alla pensione dai limiti di età.
(18 giugno 2009)
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