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Prodi: Banche e crisi economica, la lezione da apprendere

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Prodi: Banche e crisi economica, la lezione da apprendere

Messaggioda franz il 28/01/2009, 9:39

Banche e crisi economica: la lezione da apprendere
Intervento su Il Messaggero del 25 gennaio 2009

di Romano Prodi

E’ opinione ormai scontata che i comportamenti del mondo finanziario e bancario (soprattutto nei paesi anglosassoni) siano all’origine dell’attuale grave crisi economica.

L’incoraggiamento ai consumi oltre ogni ragionevolezza, la creazione di titoli di valore almeno dubbio, l’opposizione ad ogni controllo pubblico e la caduta del senso etico nei comportamenti dei responsabili del settore sono certamente alla base di una crisi finanziaria che con una rapidità davvero senza precedenti ha infettato tutta l’economia reale.
Nonostante questo mi dichiaro senza alcuna esitazione a favore dei salvataggi bancari che con una varietà di strumenti vengono messi in atto in diversi paesi.
Non vi è alcuna contraddizione tra la condanna dei comportamenti di molti protagonisti del sistema bancario e la politica dei salvataggi, perché quando la crisi si estende a tutto il sistema economico, il primo obiettivo deve essere quello di evitare che un panico diffuso nei confronti della solidità delle banche spinga i risparmiatori a ritirare i depositi e a portarli “sotto il materasso”, bloccando in questo modo tutta la vita economica.

Un elemento che ha aggravato il precipitare della crisi è stato infatti il comportamento delle autorità americane che, dopo aver tenuto senza briglia e senza controllo le banche, ha poi fatto fallire la Lehman Brothers, lasciando con questo intendere che nessuna banca poteva ritenersi sicura.

L’ondata di paura provocata da questo fallimento è stata solo parzialmente tamponata dalle decisioni di molti governi di dedicare cospicue risorse a sostegno del sistema bancario.

Ed è inutile, a questo proposito, lamentare l’eccessiva ingerenza dello Stato nell’economia, perché essa è stata resa indispensabile da questi eventi. Dobbiamo invece chiederci perché tanti politici, tanti operatori economici e anche tanti economisti alla moda ci hanno raccontato per quasi un paio di decenni che il mercato doveva essere il solo perfetto regolatore di se stesso e non aveva bisogno di nessun controllo.

Sappiamo invece tutti che, perché il mercato funzioni occorrono regole e comportamenti rigorosi. Occorre cioè che le regole siano rispettate e che ci sia una autorità che le faccia rispettare.

Opportuni quindi gli aiuti a favore delle banche, ma nel rispetto di alcune precise condizioni.

La prima è che anche i loro dirigenti diano il proprio contributo al risanamento del sistema.
Non si può tollerare una situazione in cui essi sono premiati (a volte in modo indecente) se le cose vanno bene, non sono puniti se le cose vanno male e, addirittura ricevono benefici copiosi se vengono mandati via in conseguenza dei loro errori.

In secondo luogo i “salvataggi” bancari hanno un senso se le banche provvedono con il massimo sforzo al finanziamento del sistema produttivo (soprattutto delle piccole e medie imprese) e delle famiglie.
Se dobbiamo sostenere le banche perché sono le arterie del sistema economico, bisogna che il sangue lo portino davvero a tutti gli organi e quindi anche alle periferie del mondo economico. E, ripeto, soprattutto alle imprese di minori dimensioni che, anche quando sono sane, non hanno alternative al credito bancario.

Invece non solo l’esperienza quotidiana di molti imprenditori e consumatori ci parla di forti restrizioni al flusso del credito, ma lo stesso messaggio è contenuto nelle indagini di Confindustria, della Confederazione Nazionale Artigiani e di altri autorevoli organismi.

Ancora più incisivo è, a questo proposito, quanto scrive l’ultimo bollettino della Banca d’Italia, e cioè che le Banche italiane partecipanti all’indagine sul credito bancario (Bank Lending Review) hanno esse stesse ammesso di aver inasprito i criteri adottati per l’erogazione dei prestiti alle imprese.
E sottolinea l’irrigidimento dei criteri di erogazione anche nei confronti del credito alle famiglie, sia nel settore del consumo, sia nei mutui per l’acquisto di abitazioni.
Lo stesso bollettino sottolinea poi che “il rallentamento del credito è più intenso nei confronti delle piccole imprese”. E questa frase, purtroppo, non ha bisogno di commenti.

Certo la crisi economica porta sempre con sé l’aumento delle sofferenze dei crediti ed è evidente che le banche debbano essere più prudenti nelle loro decisioni, ma il passaggio dalla prudenza all’adozione di criteri automaticamente più selettivi non si giustifica in alcun modo.
Ancora più non si giustifica in quanto le banche italiane appaiono in generale meno colpite dalla tempesta che ha travolto le consorelle degli altri paesi.

Quindi sì al sostegno alle banche ma solo se esse sostengono l’economia. Tuttavia non solo il sistema bancario, ma anche la pubblica amministrazione è chiamata con i propri comportamenti a dare un contributo positivo al sostegno dell’economia.
Non mi riferisco in questo caso a comportamenti di carattere generale, ma al fatto specifico (che costituisce una patologia esclusivamente italiana) del ritardo dei pagamenti nel caso dell’acquisto di beni e servizi e del ritardo dei rimborsi fiscali nei confronti di imprese e privati cittadini.

Si tratta di situazioni patologiche esistenti da tempo, situazioni patologiche che in molti settori e in molte regioni si vanno ulteriormente aggravando. Ciò deprime ancora di più il ciclo economico e rende allo stesso tempo più costoso l’acquisto di beni e servizi.
Il primo aiuto dello Stato all’economia in crisi sta quindi nella vecchia ed elementare regola che i debiti vanno pagati e vanno pagati nel tempo dovuto.

ROMANO PRODI
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Re: Prodi: Banche e crisi economica, la lezione da apprendere

Messaggioda franz il 29/01/2009, 9:00

World Economic Forum, dura requisitoria dei leader cinese e russo
Wen Jabao: "Tempesta perfetta sull'economia provocata dagli Stati Uniti

Davos, la Cina sfida Obama
"La crisi, colpa degli Usa"

dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI

DAVOS - In un silenzio contrito i Vip del capitalismo mondiale hanno ascoltato la dura requisitoria dei leader cinese e russo contro le colpe del capitalismo occidentale e i disastri che la nostra malafinanza infligge al mondo intero. Assenti gli esponenti dell'Amministrazione Obama - trattenuti a Washington per i piani d'emergenza antirecessione - il summit dell'establishment globale è stato aperto d'imperio da Wen Jiabao e Vladimir Putin. Nessuno dei due ha fatto degli sconti all'Occidente. Il premier cinese ha avuto parole severe contro "l'eccessiva espansione delle istituzioni finanziarie, il fallimento di chi doveva regolare i mercati, il prevalere della finanza sull'economia reale". Una frecciata particolare Wen l'ha scagliata contro l'America, le sue "politiche macroeconomiche sbagliate" che hanno provocato "insufficienza di risparmio e gravi squilibri mondiali". Putin ha rincarato la dose, sfoderando il suo sarcasmo feroce: "Un anno fa qui a Davos i leader americani continuavano a rassicurarci sulla stabilità del loro sistema. Oggi la maggior parte delle banche di Wall Street di fatto non esistono più, le loro perdite in dodici mesi hanno cancellato gli utili di 25 anni. Non troveremo la terapia giusta per uscirne, se non abbiamo chiare le cause di questa tempesta perfetta".

Il leader cinese era il più atteso al World Economic Forum, per l'importanza della Repubblica Popolare nell'economia globale e per il ruolo che potrebbe svolgere nel rilanciare la crescita mondiale. Wen non ha deluso. Ha promesso che la Cina farà la sua parte, "da grande attore responsabile", per aumentare i suoi consumi e quindi aiutare anche l'Europa e gli Stati Uniti. Ma ha lanciato un avvertimento a Obama: guai se sceglierà la strada del protezionismo. "A trent'anni dal riallacciamento dei rapporti con l'America - ha detto il premier - la storia dimostra che la cooperazione è benefica per ambedue i paesi, la contrapposizione è distruttiva per tutti. Nell'interesse del mondo intero, è imperativo che affrontiamo questa crisi insieme".

A una settimana dall'uscita del neosegretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, che ha accusato Pechino di manipolare la sua valuta per agevolare l'export made in China, Wen Jiabao ha usato il World Economic Forum per lanciare un altolà. Nel suo discorso c'era un'allusione alla Grande Depressione degli anni Trenta, che fu aggravata dalla spirale dei protezionismi commerciali.

Il premier cinese ha ammesso che la crisi sta colpendo il suo paese con durezza. "Le esportazioni si riducono, molti settori industriali soffrono eccessi di capacità produttiva, la disoccupazione è in crescita". Ha riconosciuto che all'estero affiorano dubbi sulla capacità della Cina di continuare a crescere. Tuttavia ha confermato un obiettivo ambizioso: una crescita dell'8% nel 2009. Un traguardo difficile, visto che l'ultimo trimestre del 2008 si è chiuso con aumento del Pil del 6,8% e gli indicatori puntano verso un ulteriore rallentamento.

"Siamo fiduciosi - ha detto Wen - perché i fondamentali della nostra economia sono sani. Le finanze pubbliche sono in ordine, il risparmio privato raggiunge i 5.000 miliardi di euro, i nostri vantaggi strutturali rimangono: una vasta manodopera qualificata e poco costosa, un buon sistema scolastico, infrastrutture moderne, e una capacità collettiva di affrontare le avversità".

Wen ha esposto il massiccio piano di spesa pubblica (600 miliardi di dollari) varato per stimolare la crescita: nuovi investimenti in infrastrutture e la costruzione di uno Stato sociale che provveda ai cittadini una rete di sicurezza, indispensabile perché i consumatori cinesi spendano di più. La messa in atto di questo piano sarà un test cruciale per la Cina e per il mondo. Se Pechino riuscirà a spendere presto e bene quelle risorse - come in passato ha dimostrato di saper fare nel settore delle infrastrutture - ne uscirà consolidato il suo modello di capitalismo autoritario. Altrimenti si aprono scenari di instabilità sociale che possono indebolire il regime, ma anche provocare contraccolpi per l'economia globale. Su quest'ultima Wen ha spiegato le ricette cinesi: "Rilanciare il commercio multilaterale, la liberalizzazione degli scambi e degli investimenti. Riformare le istituzioni della governance come il Fondo monetario, che devono rappresentare meglio i paesi emergenti".

La Repubblica Popolare è pronta quindi ad assumersi più responsabilità e un profilo da superpotenza nella cabina di regìa che dovrà guidare il mondo fuori da questa crisi. "Noi - ha promesso Wen alla ossequiente platea dei Vip - possiamo contribuire a ricostruire la fiducia mondiale. Possiamo aumentare le nostre importazioni, e investire di più nei vostri paesi". Il tocco finale all'apertura del summit lo ha dato Putin che è salito in cattedra per somministrare alla platea dei capitalisti occidentali le sue considerazioni su "etica del management e trasparenza dei bilanci societari": una beffa grottesca, ma ben meritata.
(29 gennaio 2009)
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Re: Prodi: Banche e crisi economica, la lezione da apprendere

Messaggioda mario il 02/02/2009, 21:54

Una quota crescente delle ricchezza annualmente prodotta sta andando a compensare il capitale a discapito del lavoro.
Buona parte di tale ricchezza in mano ai capitalisti non viene spesa e giace nelle banche.
A causa di ciò ci sono beni prodotti che non vengono comprati.
La crisi in atto è crisi del capitalismo,
L’accumulazione progressiva della ricchezza non può andare oltre un certo limite.
Fino a qualche mese fa la mancata spendita delle somme da parte dei capitalisti veniva compensata dall’indebitamento dei lavoratori con le società finanziarie e con mutui subprime.
Non appena i lavoratori americani hanno esaurito ogni possibilità di ulteriore indebitamento è scoppiata la crisi.
Se si vuole rimediare bisogna costringere banche e capitalisti a mettere in movimento i capitali fermi.
A questo proposito non ci starebbe male l’annuncio con preavviso di sei mesi di un prelievo straordinario dell’1% a carico delle banche detentrici di un esubero di depositi sì da costringerle a prestare dette somme.
Bisognerebbe altresì bloccare il meccanismo perverso dell'accumulo progressivo della ricchezza nelle mani di pochi, reintroducendo la tassa sulle successioni per le somme che superano un certo limite ed incentivando l’aumento dei salari per lo meno in quei settori dove si fanno più utili.
mario
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Re: Prodi: Banche e crisi economica, la lezione da apprendere

Messaggioda franz il 03/02/2009, 0:01

mario ha scritto:Una quota crescente delle ricchezza annualmente prodotta sta andando a compensare il capitale a discapito del lavoro.
Buona parte di tale ricchezza in mano ai capitalisti non viene spesa e giace nelle banche.

Non so su quale pianeta tu viva.
In questi mesi la metà dei capitali si è volatilizzata. Anche i redditi diminuiscono ma non altrettanto.
La ricchezza che non viene spesa, viene investita.
Nelle banche non si sono depositi ma prestiti al sistema delle aziende, sotto forma di azioni, obbligazioni, o allo Stato, sotto forma di BOt e simili. E facendo cosi' si produce molta piu' ricchezza di quando viene spesa.
E quando gli investimenti vanno male, va male per tutti, anche e soprattutto per chi non ne ha.
Possibile che nel 2009 ci sia ancora chi a sinistra (ammesso sia tale) è rimasto al conflitto capitale-lavoro di due secoli fa? :(

Ciao,
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Re: Prodi: Banche e crisi economica, la lezione da apprendere

Messaggioda mario il 03/02/2009, 4:31

Caro Franz
E’ un fatto che una quota crescente della ricchezza prodotta sta andando a remunerare il capitale a discapito del lavoro.
E’ un fatto che a livello mondiale ci sia un eccesso di produzione che non viene acquistata. Questo significa che nel processo della distribuzione della ricchezza c’è qualcosa che si è inceppato.
Il capitale si è volatilizzato proprio perché ce n’era una quantità eccessiva, non investita, che era finita in giochi speculativi tipo derivati.
In molte banche locali del nostro paese ci sono tuttora esuberi di depositi non investiti, ma soprattutto nelle banche dei famosi paradisi fiscali.
Io non ce l’ho col capitale. Faccio solo un discorso tecnico. Ce l’ho col capitale che non viene investito.
Se il capitale venisse totalmente (o giù di lì) investito non avrei nulla da dire. Se una parte consistente non viene investita occorre trovare degli accorgimenti perché lo sia.
Tra i provvedimenti che il governo dovrebbe prendere troverei opportuno che quel prelievo dell' 1% di cui ho parlato venisse destinato ad alimentare i fondi dei consorzi fidi per la concessione di garanzie dirette al 100%sì sì da facilitare le banche nella concessione dei crediti.
mario
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Re: Prodi: Banche e crisi economica, la lezione da apprendere

Messaggioda franz il 03/02/2009, 9:19

mario ha scritto:Caro Franz
E’ un fatto che una quota crescente della ricchezza prodotta sta andando a remunerare il capitale a discapito del lavoro.

Non basta dire che è un fatto per dimostrarlo. È prassi almeno indicare dei dati. Vedendo l'esplosione del lavoro nei paesi emergenti (il BRIC = Brasile, Russia, India e Cina, costituito da miliardi di abitanti) io direi che invece avviene il contrario.
La crescita del PIL mondiale è crescita di lavoro è nelle medie di lungo periodo è in linea con la redditività dei capitali.
mario ha scritto: E’ un fatto che a livello mondiale ci sia un eccesso di produzione che non viene acquistata. Questo significa che nel processo della distribuzione della ricchezza c’è qualcosa che si è inceppato.

No, questo significa che si è spezzato qualcosa nel processo di consumo. Sono i consumatori che consumano meno.
Quanto al fatto degli investimenti, a parte la normale scorta di liquidità, ogni investitore finanzia tramite azioni, obbligazioni o fondi il sistema produttivo. Il sistema dei derivati costituisce, mi pare, solo il 4% del totale della massa investita ma per l'investitore sono anche essi un investimento (piu' rischioso, ma sono fatti suoi). Quindi magari puo' non piacerci come vengono investiti ma tutti i capitali lo sono. Forse in un momento come questo alcuni hanno disinvestito, mesi fa, per mettersi al riparo dalla bufera, ma sono pronti a reinvestire appena torna il vento buono.

L'idea del prelievo dell'1% è sbagliata se si stratta di un prelievo forzoso. Sistemi del genere si basano sulla volontarietà e sul fatto che la cifra prestata per il fondo di garanzia deve essere rimunerata, non rapinata.

Ciao,
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Re: Prodi: Banche e crisi economica, la lezione da apprendere

Messaggioda mario il 03/02/2009, 15:54

Buona parte del lavoro creato in Cina era lavoro che prima veniva svolto nei paesi sviluppati a costi superiori.
Non è vero che tutti i risparmi sono investiti
Quando dico capitale investito, intendo investito in economia reale, in costruzioni, in fabbriche, in strade, in mezzi di produzione, ecc.
Se guardi i bilanci delle banche (soprattutto delle piccole banche e presumo anche in quelle dei paradisi fiscali) scoprirai che c’è un eccesso di depositi giacenti nelle casseforti, proprie o della banca centrale.
Buona parte dei soldi affluiti in borsa negli ultimi anni non hanno dato luogo a investimenti reali ma unicamente ad aumento di quotazioni oltre misura.
Buona parte dei soldi investiti in bot cct bond americani ecc vengono remunerati con interessi che non provengono da investimenti reali (in fabbriche, mezzi di produzione, ecc.).
Quando ho parlato di prelievo dll’1% con un preavviso di 6 mesi accompagnato da finanziamenti ai consorzi fidi per la concessione alle banche di garanzie dirette al 100% alludevo a meccanismi che inducessero le banche a smobilizzare i capitali fermi.
prova ad immaginare cosa succederebbe se solo una parte dei depositi giacenti, o dei capitali che sono andati ad alimentare l'aumento delle quotaqzioni di borsa fosse realmente investito in fabbriche, strade, mezzi di produzione.
Il calo di consumi che tu consideri come causa della crisi è per me effetto di mancati investimenti.
Bisogna far sì, con accorgimenti più che con interventi forzosi, che i soldi risparmiati vadano realmente a finanziare fabbriche (ecc.) Così darai lavoro, avrai una ripresa dei consumi e della produzione di ricchezza
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Re: Prodi: Banche e crisi economica, la lezione da apprendere

Messaggioda franz il 03/02/2009, 18:50

mario ha scritto:Buona parte del lavoro creato in Cina era lavoro che prima veniva svolto nei paesi sviluppati a costi superiori.
Non è vero che tutti i risparmi sono investiti
Quando dico capitale investito, intendo investito in economia reale, in costruzioni, in fabbriche, in strade, in mezzi di produzione, ecc.
Se guardi i bilanci delle banche (soprattutto delle piccole banche e presumo anche in quelle dei paradisi fiscali) scoprirai che c’è un eccesso di depositi giacenti nelle casseforti, proprie o della banca centrale.
Buona parte dei soldi affluiti in borsa negli ultimi anni non hanno dato luogo a investimenti reali ma unicamente ad aumento di quotazioni oltre misura.

Mi sembra che le tue informazioni siano sbagliate o come minimo sommarie.
Come prima cosa avresti ragione solo se la crescita del BRIC fosse costituita solo da esportazioni.
Ma non è cosi': esiste anche un crescente mercato interno. Dovuto al fatto che le centianai di milioni di lavoratori in quei paesi che prima facevano la fame, oggi guadagnao, spendono, consumano, risparmiano, investono.
Ma potremmo anche pensare che "chi se ne frega degli altri lavoratori". O No?

In secondo luogo non ho detto che tutti i risparmi sono investiti, ma che lo è la maggior parte. Parlo del mondo, non del caso italiano.
In terzo luogo se guardo i bilanci delle grandi banche mondiali, certo che è tutto investito, tranne le scorte di liquidità obbligatorie. È chiaro che devo esaminare i capitali delle banche che fanno investiment e privat bancking, non la Cassa di Risparmio di Poggibonsi Est.
I bilanci delle banche dei paradisi fiscali nessuno puo' guardarli, altrimenti che paradisi fiscali sarebbero :-)
Comunque anche chi ha i soldi in un paradiso fiscale li investe, perché nessuno è cosi' imbecille da avere milioni in un conto corrente quando gli asset borsistici danno in media rendimenti maggiori.

Stabilire poi cosa è investimento "reale" è difficile. Solo finanziare le imprese industriali? E compare una casa? E comprare oro 2 anni fa e rivenderlo oggi? E comprare una macchina? Anche prestare soldi ad altri che faranno investimenti in una startup tecnologica nel settore Internet è un investimento.
Non esiste solo la "produzione" (il mitico settore secondario) ma oggi il PIL è fatto al 70% dal terziario!
Ovvio quindi che gli investimenti ed il capital venture puntino li'.
C'è anzi un grave impedimeento. Oggi ci sono in giro (ok, fino a pochi mesi fa) un mucchio di capitali da investire che non trovavano alcuna forma di investimento. Questo era un segno che la voglia di investire (offerta di capitali) era superiore alla domanda (richiesta di investimenti). Oggi con la crisi c'è uno stop nell'offerta dei capitali e nella domanda, ma non per questo stiamo meglio. Bella la decrescita, vero?

Comunque alla fine se non si perde il capitale e si guadagna pure, è un investimento. Sia che lo faccia in una fabbrica o in un terreno, in una casa, in una partita di stoffe, o semplicemente salvaguardando il capitale con operazioni di compa vendita di oggetti che non perdono valore e che anzi ne guadagnano.
Che poi qualcuno reputi immorale che i soldi facciano soldi, è noto ma lascio questa visione al Corano ed alla parte piu' obsoleta del mondo cristiano.

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