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L’ACCORDO INTERCONFEDERALE SENZA LA CGIL

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L’ACCORDO INTERCONFEDERALE SENZA LA CGIL

Messaggioda ranvit il 27/01/2009, 12:53

Dal sito http://www.pietroichino.it

E’ STATA DAVVERO UNA TRAPPOLA AI DANNI DELLA CONFEDERAZIONE DI EPIFANI? QUALI EFFETTI PRODURRA’ SUI LIVELLI RETRIBUTIVI? QUALE CAM BIAMENTO PORTERA’ NELLA STRUTTURA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA?

26 gennaio 2009

Sulla Repubblica di domenica Eugenio Scalfari sostiene che nell’incontro tra Governo e parti sociali del 22 gennaio Epifani è stato colto di sorpresa: gli si è chiesto, senza preavviso, un “sì” o un “no” sull’accordo interconfederale al termine di una riunione dedicata ad altro. Era dunque inevitabile che il leader della Cgil facesse quel che ha fatto: abbandonare il tavolo. È andata veramente così?

Non esattamente: tutti gli addetti ai lavori - compresi noi parlamentari - sapevano da almeno due settimane che il 22 gennaio si sarebbe svolta la seduta finale del negoziato sulla riforma della struttura della contrattazione collettiva; e si sapeva pure che la Confindustria aveva ormai deciso di arrivare alla firma almeno con Cisl, Uil e Ugl, anche se la Cgil avesse insistito nel rifiuto. E’ vero, però, che quel giorno è stato proposto un testo contenente alcune novità rispetto al penultimo testo di cui si era discusso prima di Natale, tra le quali le più rilevanti sono l’estensione del nuovo assetto al settore pubblico e la nuova formulazione della clausola sulla derogabilità del contratto collettivo nazionale da parte del contratto aziendale. Il punto è che la Cgil aveva già deciso di non firmare, anche senza queste aggiunte: non mi sembra corretto, dunque, dire che la causa dello “strappo” sia questa scorrettezza procedurale, se di scorrettezza si è trattato.

Il motivo principale per cui la Cgil ha rifiutato l’accordo è la prospettiva che nei futuri rinnovi nazionali esso produca una riduzione degli adeguamenti retributivi rispetto all’inflazione. La Confindustria e gli altri sindacati firmatari negano questa prospettiva. Come stanno realmente le cose?

L’accordo istituisce un meccanismo di aumento triennale dei minimi tabellari nazionali destinato esplicitamente a ridurne la dinamica rispetto a quanto accaduto in passato, proprio per lasciare più spazio allo sviluppo della contrattazione al livello aziendale. L’accordo, però, prevede anche che i contratti nazionali di settore istituiscano un “elemento retributivo di garanzia” (ERG), destinato a scattare nelle imprese dove la contrattazione di secondo livello di fatto non si attivi. È sostanzialmente una generalizzazione del meccanismo già da tempo previsto dal contratto collettivo dei metalmeccanici (dove è chiamato “assegno perequativo”). Non si può ragionevolmente affermare che il risultato di queste nuove norme-quadro sarà una riduzione dei livelli retributivi complessivi garantiti dai contratti collettivi nazionali, prima di conoscere l’entità dell’ERG che verrà stabilita da ciascun contratto nazionale.
Ma, soprattutto, occorre considerare che il nuovo accordo prevede esplicitamente il diritto dei lavoratori al premio di produzione al livello aziendale: il sindacato avrà dunque un vero e proprio diritto di intavolare la trattativa in tutte le aziende in cui il nuovo sistema si applicherà. Questa è una novità che, se il sindacato saprà utilizzarla bene, può cambiare faccia al nostro sistema di relazioni industriali. Ed è evidente che, se non si tiene conto di questo
dato, tutti i confronti fra vecchio e nuovo sistema sono inattendibili.

Il timore espresso dalla Cgil è che, nei settori in cui il sindacato è più debole, l’ERG di fatto non venga contrattato, o venga determinato in misura troppo bassa.

Questo accadrà, presumibilmente, nei settori economicamente più deboli, dove si prevedono gli aumenti di produttività più bassi; ma in questi settori è inevitabile che la dinamica salariale sia più contenuta rispetto a quelli più forti. Il vecchio sistema, fondato sull’accordo del luglio 1993, prevedeva una parte maggiore della retribuzione complessiva legata all’inflazione, secondo un criterio uguale per tutti i settori, lasciando uno spazio molto ridotto alla parte di retribuzione legata agli aumenti di produttività o redditività effettivi; quel sistema finiva, così, col sacrificare le retribuzioni delle aziende più dinamiche, ancorandole a quelle dei settori più deboli. Anche questo ha contribuito a tenere il livello generale delle nostre retribuzioni nettamente più basso rispetto a quelli di tutti i nostri maggiori partner europei. Dobbiamo convincerci che l’unico modo per far aumentare stabilmente le retribuzioni consiste nel rendere più produttivo il lavoro; questo è possibile soltanto attraverso l’innovazione; e l’innovazione che più conta, quella che sovente è portata dall’imprenditore straniero, la si contratta al livello aziendale, non a quello nazionale. Sindacati e lavoratori italiani finora hanno fatto troppo poco questo mestiere; il nuovo accordo interconfederale apre maggiori spazi per svolgerlo.

Qualcun altro osserva che l’ERG dovrà necessariamente essere di entità molto ridotta, se non si vuole che ne derivi, al livello nazionale, una “retribuzione-base di fatto” troppo alta per le aziende con andamento meno positivo.

I primi visitatori di questo sito ricorderanno che nel maggio scorso avevo proposto una formulazione della clausola relativa all’ERG suscettibile di offrire una “garanzia” assai efficace, pur mantenendo uno stretto collegamento di questa voce retributiva con l‘andamento aziendale (si trattava di un’idea originariamente proposta da Tito Boeri e Pietro Garibaldi: un premio di produttività “di default” collegato al margine operativo lordo di ciascuna azienda). Ho ragione di ritenere che, se la Cgil, nella trattativa svoltasi nel corso del 2008, avesse sostenuto un meccanismo di questo genere, la Confindustria non avrebbe opposto un rifiuto pregiudiziale. E’ vero che questo meccanismo non avrebbe prodotto aumenti retributivi nelle aziende che più soffrono l’attuale fase di crisi; ma questo non è affatto un male: la flessibilità della retribuzione in relazione all’andamento aziendale favorisce la continuità dell’occupazione, evita le sospensioni del lavoro e i licenziamenti.

Come funzionerà il nuovo sistema nel settore pubblico?

Questo è un problema di non piccolo conto. Fino a che non sarà stato attivato il sistema di valutazione indipendente e trasparente delle performances degli uffuci pubblici non vedo proprio come la contrattazione decentrata possa svolgere bene, in questo settore, la funzione di collegamento delle retribuzioni all’andamento gestionale.

Quali sono le altre innovazioni più rilevanti portate dall’accordo?

Innanzitutto, la previsione di un accordo ulteriore, da stipularsi entro tre mesi, per la definizione dei criteri di misurazione della rappresentatività dei sindacati, al livello nazionale e a quello aziendale.

Come può funzionare un sistema di regole sulla rappresentanza se non lo firma anche la confederazione sindacale maggiore?

Mi sembra difficile che la Cgil possa sottrarsi alla negoziazione e stipulazione di questo secondo accordo, essendo stata sempre la stessa Cgil a chiederlo ed essendoci già, fin dal maggio scorso, un accordo abbastanza ben definito fra le tre confederazioni maggiori sulle regole da istituire.

Questo secondo accordo sulla rappresentanza non potrebbe, allora, essere l’occasione per ricucire lo “strappo” tra le confederazioni?

Sì. E a quel punto, anche la riforma della struttura della contrattazione collettiva potrebbe decollare: una volta stabilito il criterio di misurazione della rappresentatività, settore per settore sarà la coalizione sindacale maggioritaria a decidere se applicare o no le nuove regole. Così avremo, per esempio, a seconda della maggioranza sindacale operante in ciascun settore, quello tessile e quello chimico che applicheranno le nuove regole, il settore metalmeccanico e quello del commercio che non le applicheranno; e ci sarà la possibilità di misurare e verificare gli effetti dell’uno e dell’altro assetto della contrattazione collettiva. A ben vedere, un vero pluralismo sindacale significa proprio questo: possibilità di modelli diversi di relazioni industriali di confrontarsi e competere tra di loro, in modo che i lavoratori possano compiere la loro scelta a ragion veduta, in modo pragmatico e non soltanto sulla base di opzioni ideologiche. Apprezzo molto, poi, che nell’accordo sia stata inserita una disposizione che applica il principio di democrazia sindacale anche per la proclamazione degli scioperi nei servizi pubblici: disposizione che ricalca perfettamente lo schema proposto nel mio disegno di legge sullo sciopero nei trasporti pubblici.

Le altre novità rilevanti contenute nell‘accordo?

Una importantissima è costituita dalla previsione della possibilità che il contratto aziendale – se stipulato dalla coalizione sindacale maggioritaria – deroghi al contratto nazionale, sia in materia retributiva, sia in materia “normativa”; e questo sia in situazioni di difficoltà economica, dove sia necessaria una riduzione dello standard economico, sia, al contrario, nelle situazioni in cui la deroga è necessaria per introdurre una innovazione nell’organizzazione del lavoro non compatibile con il modello fissato dal contratto nazionale. Chi ha letto quanto ho scritto su questo punto (in particolare, il libro A che cosa serve il sindacato e il saggio Che cosa impedisce ai lavoratori di scegliersi l’imprenditore), oppure anche solo le proposte programmatiche presentate in campagna elettorale, sa perché considero indispensabile questo ampliamento dello spazio della contrattazione aziendale per aprire maggiormente il nostro sistema all’innovazione e agli investimenti stranieri, che sono il solo modo per ottenere un forte aumento delle nostre retribuzioni.

Certo, tutti questi contenuti innovativi dell’accordo interconfederale presuppongono una visione complessivamente nuova del sistema di relazioni industriali e della strategia di promozione dei redditi di lavoro. Comprendo che per la Cgil sia difficile oggi far propria questa strategia; ma - per i motivi che ho spiegato altrove - sono convinto che questo passo sia necessario.
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: L’ACCORDO INTERCONFEDERALE SENZA LA CGIL

Messaggioda Robyn il 29/01/2009, 14:37

Se l'accordo sui contratti non viene modificato la Cgil deve portare i lavoratori in piazza.Questo accordo và modificato nella parte riguardante il livello di contrattazione nazionale.Si stabilisce 15,75 euro di aumento ogni punto d'inflazione anziche i 18 attuali.Addirittura viene calcolata l'inflazione non solo depurata dall'energia ma anche tagliata di un 15%.Questa storia della produttività è una malattia mentale.La produttività cresce se crescono le innovazioni tecnologiche e diminuisce il costo del lavoro.Esiste un'equilibrio tra tempi di realizzazione di un bene e la sua qualità pena il danneggiamento degli ordinativi.Infatti il cliente la prima volta l'ordine lo rimanda indietro ,la seconda cambia direttamente cliente.Legare ad un'incremento di produzione il salario si può fare perche lo prevede la costituzione ma non è quello che risolve il problema .Bisogna portare i lavoratori in piazza con la richiesta di riduzione delle tasse sui redditi,efficaci ammortizzatori sociali,adeguamento dei salari all'inflazione reale Ciao Robyn
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Re: L’ACCORDO INTERCONFEDERALE SENZA LA CGIL

Messaggioda Robyn il 29/01/2009, 20:58

L'ERG non si può solo riservare alle aziende in cui il secondo livello non scatta ,ma dev'essere generalizzato e deve recuperare per intero l'inflazione reale.Quando si fà una riforma bisogna sempre guardare lontano.Diminuire i redditi ,significa comprimere ancora la domanda a danno dei consumi e del risparmio.La CGIL faccia avere un depliants a tutti i lavoratori in cui si spieghi nei minimi particolari la riforma.Solo dà lì si potrà capire bene quali effetti avrà la riforma.Evidentemente il nostro è un paese che conta solo sulla domanda estera trascurando quella interna.Ma così un paese non può vivere a lungo perche non siamo mica un paese coloniale Ciao Robyn
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