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Scorta a Bentivogli, minacciato di morte. La politica non nasconda la testa sotto la sabbia
L’assegnazione della scorta al sindacalista “eretico” dei metalmeccanici della Cisl non è una novità, ma un pessimo inizio della campagna elettorale. E un monito: misuriamo le parole, occupiamoci dei problemi senza dietrologie. E non schiviamoli come stanno facendo tutti i leader con l'Ilva
di Francesco Cancellato
15 Dicembre 2017 - 07:45
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«Il clima di rancore e odio sta coltivando il germe di una violenza diffusa a cui occorre mettere argine. Sono saltati i freni al senso di responsabilità che dovrebbe essere la precondizione di qualsiasi dibattito pubblico». Bisogna leggerle e rileggerle, le dichiarazioni che Marco Bentivogli, segretario della Fim-Cisl, ha rilasciato a commento della decisione delle forze dell’ordine di assegnargli la scorta, a seguito di numerose minacce di morte ricevute.
Per chi non lo conoscesse - su Linkiesta è di casa da anni, ormai - Marco Bentivogli, quarantasette anni da Conegliano, è un sindacalista eretico, che si discosta dal clichè ideologico e conservatore cui ci hanno abituato altri suoi colleghi. Riformista vero, curioso, Bentivogli è soprattutto una persona capace di pensieri eterodossi. Ad esempio, è favorevole all'alternanza scuola-lavoro, molto critico nei confronti del modo in cui il sindacato sta interpretando il suo ruolo, qui e ora, soprattutto nella sua difesa di supposti diritti acquisiti, che assomigliano pericolosamente a privilegi. E invece che biasimare acriticamente le nuove tecnologie e l’automazione industriale, è uno che se la studia e che ne sa parlare con cognizione di causa.
Proviamo fin da ora a concentrare l'attenzione sui problemi, anziché fare battute infelici o alimentare sospetti e dietrologie - dai sindacati che si vendono per un piatto di lenticchie, ai ministri in cerca di occupazione. E soprattutto, a non schivarli, preferendo parlare del nulla, come stanno facendo tutti i grandi leader politici nazionali con l'Ilva e con Taranto
Se pensate che questo faccia di lui un paria, vi sbagliate di grosso. La Fim è il primo sindacato per delegati e voti nel gruppo FCA e in molte altre realtà industriali del Paese, in forte crescita pressoché ovunque, a dimostrazione che a volte il riformismo paga, che incaponirsi nel muro contro muro affinché tutto rimanga com’è a volte non è nemmeno la strada più semplice e più popolare.
Il riformismo e l'eterodossia però hanno un prezzo, e lo conosciamo bene, perché l’abbiamo già vissuto. È il prezzo, per citare le parole dello stesso Bentivogli, del «metterci la faccia per modernizzare il Paese». Ed è un prezzo altissimo, che priva della libertà e della sicurezza. Non siamo qui a indicare mandanti morali. Non ve ne sono, e non vogliamo nemmeno metterci a fare l’esegesi degli eccessi di retorica. Contribuiremmo solamente al gioco di chi la spara più grossa, che è tutto fuorché quel che serve ora.
Piuttosto - lo sappiamo, siamo banali - proviamo fin da ora a concentrare l'attenzione sui problemi, anziché fare battute infelici o alimentare sospetti e dietrologie - dai sindacati che si vendono per un piatto di lenticchie, ai ministri in cerca di occupazione. E soprattutto, a non schivarli, preferendo parlare del nulla, come stanno facendo tutti i grandi leader politici nazionali con l'Ilva e con Taranto, lasciando rogne e riflettori a ministri, amministratori locali e sindacalisti, nel contesto di una questione che ha rilevanza nazionale, sia da un punto di vista industriale e ambientale, sia da quello simbolico. Pensiamoci, siamo ancora abbondantemente in tempo. Più del clima d'odio, a Taranto, è l'indifferenza a essere velenosa.