...
3. Qualche esempio concreto
Mario è un operaio di 58 anni: da otto anni lavora ai telai della “Paola Textile” di Montemurlo, vicino Prato. Durante un periodo di malattia dovuto ad un grave problema cardiaco, Mario chiede, in vista del rientro, di cambiare mansione; l'azienda, per tutta risposta, lo licenzia adducendo un giustificato motivo soggettivo. Mario fa ricorso contro la sentenza e il giudice, avendo riconosciuto l'illegittimità del licenziamento, condanna l'azienda alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento di tutte le mensilità e i contributi dovuti dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione. Mario potrebbe scegliere di prendere 15 mensilità, oltre a quelle già dovute dall'azienda, e di non rientrare, ma è lontano dalla pensione, non è riuscito a trovare un altro lavoro ed ha bisogno di continuare a versare i contributi pensionistici, quindi sceglie di rientrare in fabbrica. La norma di riferimento è l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Domenico è un operaio della Fiat di Pomigliano d'Arco, vicino Napoli. La Fiat lo licenzia in seguito ad una manifestazione durante la quale Domenico, in qualità di RSU, aveva esposto striscioni contro la precarietà e per la sicurezza sul posto di lavoro, facendo anche un intervento al megafono. Il giudice ha stabilito che il licenziamento era sproporzionato, quindi illeggitimo, e ha condannato la FIAT alla riassunzione a alla corresponsione di tutte le mensilità e i contributi intercorsi dal licenziamento alla riassunzione. La norma di riferimento è l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Piero è un impiegato dell'Atla srl. Un giorno manda una mail a un collega con giudizi poco lusinghieri sul lavoro di un particolare settore (“Parlare di pianificazione nel gruppo Atti è come parlare di psicologia con un maiale”), la mail finisce sulla scrivania del titolare dell'azienda che lo licenzia in tronco, senza preavviso, per “giusta causa”. Il giudice ridimensiona il fatto a un comportamento non particolarmente offensivo, considera dunque spropositata la sanzione e condanna l'azienda alla reintegrazione, fatta salva la scelta di Piero di avere, in alternativa, 15 mensilità. La norma di riferimento è l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Mario, Domenico e Piero sono persone realmente esistenti (solo il primo nome è inventato). Le loro storie sono prese dalle cronache degli ultimi anni. Che cosa sarebbe successo alle loro vite se, al momento del licenziamento, fosse stato già in vigore il contratto a tutele crescenti di Renzi?
Mario: il licenziamento è stato riconosciuto illegittimo, ma non è annullabile (il fatto addotto dall'azienda, forse la prolungata assenza del lavoratore e l'impossibilità di rimpiegarlo con una nuova mansione, sussiste). Mario viene mandato a casa con circa 20000 euro, a 58, con scarse o nulle possibilità di ricollocarsi (data l'età e la patologia)
Domenico: il licenziamento è stato riconosciuto illegittimo in quanto sproporzionato, ma non é annullabile (il fatto contestato dalla Fiat, cioè la manifestazione, sussiste). Domenico viene mandato a casa con un indennizzo massimo di poco meno di 30000 euro.
Piero: il licenziamento è stato riconosciuto illegittimo in quanto sproporzionato, ma non è annulabile (il fatto contestato dall'azienda, cioè la mail, sussiste). Piero, come Domenico, viene mandato a casa con un indennizzo massimo di poco meno di 30000 euro.
Questo è ciò che succederà a lavoratrici e lavoratori che, ad un certo punto della loro carriera, vengono licenziati e fanno ricorso davanti al giudice. Ma che dire di tutti gli altri?
Maria è un'addetta alle pulizie e lavora in un Ateneo. Assunta da un anno, un giorno lascia incustodite le attrezzature e i prodotti per la pulizia, che vengono rubati. Maria viene licenziata. Il giudice riconosce l'illegittimità del licenziamento – il contratto di categoria prevede una multa per questa dimenticanza, non il licenziamento - ma non può ordinare la reintegrazione: Maria viene mandata a casa con meno di 2000 euro di indennizzo.
Adriana è un'operatrice di call center. Lavora da due anni senza problemi, finché l'azienda non decide di ristrutturare, ridimensionando il personale, e la licenzia adducendo come motivo l'aver perso una commessa da un cliente di grandi dimensioni. Il giudice riconosce l'illegittimità del licenziamento, in quanto l'azienda avrebbe potuto ricollocare Adriana in un altro settore, ma il fatto – la perdita della commessa – sussiste, per cui non può ordinare la reintegrazione: Adriana va a casa con meno di 4000 euro di indennizzo.
...
http://www.sinistrainrete.info/lavoro-e ... cnico.html
Articolo sul Jobs Act scritto da Clash City Workers