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Imposte retroattive: un fallimento morale ed economico

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Imposte retroattive: un fallimento morale ed economico

Messaggioda franz il 07/12/2014, 20:14

Nulla di nuovo. Anche quest’anno ci saremmo aspettati di poter commentare la manovra economica con queste tre brevi, semplici e rassegnate parole. La realtà, invece, è ben diversa e grottesca e, per il 2015, il poter esprimere con quella frase il piattume legislativo nostrano diviene tragicamente un desiderio cui anelare, un privilegio che vorremmo avere. L’ex finanziaria, dal 2009 legge di stabilità, che ci attende per il nuovo anno prevede, infatti, oltre all’introduzione di nuovi aumenti d’imposta a partire dall’anno prossimo, anche la retroattività d’alcune tasse. In particolare, l’IRAP tornerà al 3,9% dal gennaio 2014 (mentre le deduzioni legate alle nuove assunzioni partiranno solo da gennaio 2015) e la tassazione sui proventi percepiti dai fondi pensione aumenterà dall’11,5% al 20%, anch’essa da gennaio dell’anno in corso.

Nonostante la frustrazione che un annuncio del genere può provocare, la retroattività delle tasse è un tema importante e scomodo che va analizzato con attenzione. La tassazione, infatti, non è che il risultato di leggi, ed è sull’interpretazione di queste ultime e della filosofia che le sottende che bisogna analizzarla. La realtà, d’altro canto, ci dimostra con copiosità d’esempi come il concetto di «giustizia» e quello di «legge» non siano sempre coincidenti.

Una prima affermazione del fatto che, generalmente, le leggi non possano essere retroattive ci viene fornita da Giustiniano I, che raccolse i princípi piú importanti del diritto romano all’interno del Corpus juris civilis. In particolare, troviamo due affermazioni molto incisive al riguardo. La prima asserisce: «Quotiens de delicto quaeritur, placuit non eam poenam subire quem debere, quam condicio eius admittit eo tempore, quo sententia de eo fertur, sed eam, quam sustineret, si eo tempore esset sententiam passus, cum deliquisset». Se una persona è trovata colpevole d’un delitto, non dev’essere giudicata usando la legge presente al momento della sentenza, bensí quella relativa al momento nel quale aveva commesso il delitto. La seconda, invece, enuncia: «Leges et constitutiones futuris certum est dare formam negotiis, non ad facta praeterita revocari, nisi nominatim etiam de praeterito tempore adhuc pendentibus negotiis cautum sit». Le leggi regolano il futuro e non possono influenzare il passato, tranne che in casi precisamente espressi riguardanti il passato ma che hanno ancora un’influenza sul presente.

Come sappiamo, il diritto romano non s’è mai estinto totalmente, ma ha continuato a vivere nelle leggi delle singole nazioni occidentali. Di conseguenza, la stessa avversione di base a una retroattività della legge ha trovato anche nei secoli successivi importanti sostenitori. Uno di questi fu Hobbes, il quale affermò che «la punizione inflitta per un’azione precedente all’emanazione della legge che considera tale atto colpa è un vero e proprio atto d’ostilità». Cogliendo l’eredità di Hobbes, Blackstone chiarifica meglio il pensiero del filosofo affermando il principio del rifiuto delle leggi ex post facto, la cui azione è anteriore al momento della loro approvazione. Anche se questi princípi ci forniscono una solida base sulla quale basare la nostra denuncia, esse sono ancora troppo generiche e non contestualizzate.

Un esempio piú incisivo ci viene fornito da William Pratt Wade, che nel 1880 centra uno dei punti fondamentali che rendono una legge retroattiva un’aberrazione e un sopruso nei confronti dei cittadini. Leggi aventi questa caratteristica, spiega, modificano lo scenario sul quale i cittadini si basano per prendere le proprie decisioni. Ognuno di noi, infatti, agisce considerando il contesto nel quale si trova a operare, o quantomeno lo scenario piú probabile. Ebbene, una legge retroattiva non è che una frode, il cambiare le carte in tavola durante una partita, un’azione «ripugnante» non dissimile dal barare. Le persone vengono prima incentivate a operare in un determinato modo, per poi essere danneggiate sulla base di quelle stesse azioni che erano state loro consentite. Se uno Stato è fondato s’un implicito contratto fra cittadini e istituzioni, s’un rapporto che potremmo dire di fiducia reciproca, qui questo presupposto viene a mancare, e lo Stato si tramuta in despota, agendo contrariamente a ogni senso di giustizia.

Oltre a questo, anche il diritto italiano è consapevole dell’ingiustizia insita nelle leggi retroattive. In particolare, l’art. 11 disp. prel. c.c. tratta il tema stabilendo che le leggi dispongono solo per l’avvenire, cosí da garantire la certezza del diritto. In particolare, leggi come quelle tributarie retroattive sono da considerarsi parte della fattispecie delle leggi retroattive improprie, poiché si collegano a fatti che hanno prodotto i loro effetti nel passato e che non si protrarranno nel futuro. Lo statuto del contribuente, poi, è ancor piú drastico sul punto dell’efficacia temporale delle norme. All’articolo 3, comma 2, viene ribadito che, «salvo quanto previsto dall’articolo 1, comma 2 [nel quale si parla di casi eccezionali], le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo». A questo punto risulta difficile riconciliare le affermazioni del governo, che parla di ripresa, coll’eccezionalità degli eventi che consentirebbero la promulgazione di leggi retroattive. Ancor una volta, in un caso o nell’altro, ci troviamo di fronte a un tradimento della fiducia dei cittadini per scopi personali.

Oltre all’aspetto legale, data la natura delle norme, bisogna prolungarsi anche sugli aspetti economici delle leggi retroattive. In particolare, in un mondo nel quale gl’investimenti sono dettati dalla fiducia nel sistema giuridico delle nazioni nelle quali s’investe, una norma retroattiva non è sicuramente un indicatore di stabilità. Inoltre, con la norma sull’IRAP non si colpiscono solo le imprese che non vogliono assumere, ma anche quelle che semplicemente non possono farlo perché in difficoltà. Fattore aggravante è anche la natura dell’imposta, che grava sul fatturato e non sui profitti, e che quindi colpisce indiscriminatamente anche le aziende con un utile molto basso, portandole alle volte, grottescamente, verso delle perdite in conto economico.

Le leggi retroattive, dunque, sono l’ennesimo escamotage d’uno Stato che non sa piú che cosa tassare, con una pressione fiscale folle, e che quindi finisce per volere anche aggredire i risultati passati, anziché ridimensionare i propri apparati e ammodernarsi. Le imposte retroattive risultano quindi l’ennesimo tentativo di posporre i problemi, di non affrontarli, coll’unico possibile risultato d’affamare ulteriormente una nazione imprigionata in una bolla di soli slogan elettorali.

02 dicembre 2014, di G. Barone
http://thefielder.net/02/12/2014/impost ... economico/
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