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Renzi: altro che Senato, il problema è questo

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Renzi: altro che Senato, il problema è questo

Messaggioda franz il 23/07/2014, 13:03

Secondo l’ultimo rapporto della “The Heritage Foundation”, redatto insieme al Wall Street Journal, l’Italia si posiziona al 86esimo posto per libertà economica, dietro alla Repubblica del Kirghizistan e solamente quattro posizioni prima dell’Uganda, primo paese della classifica che rientra nella categoria “Paesi non del tutto liberi”.

Index of Economic Freedom – Come tutti gli anni il Wall Street Journal supporta le ricerche effettuate dalla “The Heritage Foundation”, associazione che annualmente stila l’Index of Economic Freedom, mettendo a confronto la libertà economica di 186 nazioni. A parte i soliti risultati scontanti – Nord Corea all’ultimo posto oppure Hong Kong e Singapore stabilmente in testa da anni – se ci si sofferma sul nostro paese si può osservare un giudizio molto negativo: l’Italia si classifica, con 60,9 punti, solamente all’86esimo posto, davanti alla Croazia ma dietro a paesi come Kirghizistan, Arabia Saudita, Thailandia, Rwanda e Albania. Insomma, un risultato che dovrebbe far riflettere.

Paese “moderatamente libero” – Rispetto agli ultimi due anni, 2012 e 2013, il nostro “score” è migliorato. +0,3 punti confrontando il rapporto 2013 con quello dell’anno in corso. Nel 2012, il nostro paese risultava addirittura inserito nella categoria “Paesi non del tutto liberi”, categoria oggi guidata dall’Uganda.

La classifica tiene conto di molti fattori che variano dall’esercizio del potere pubblico, all’apertura del mercato, passando per l’efficienza delle regole e interferenza dello stato nell’economia. Leggendo ogni analisi, l’Italia non riesce proprio ad uscire vittoriosa e si classifica 35esima su 43 paesi Europei. Siamo un paese moderatamente libero ed in un mondo sempre più interconnesso la “ricerca della libertà” non può fermarsi solamente ad un “faremo” come ormai troppo spesso e troppo frequentemente la politica italiana ci ha abituato.

Index of economic freedomEconomia stagnante - Il rapporto (qui) è molto chiaro: “Nel corso degli 20 anni di storia dell’Indice, l’economia Italiana è sempre rimasta stagnante. Piccoli guadagni in termini di apertura dei mercati e di politica fiscale del governo sono stati compromessi da diminuzioni significative in materia di diritti di proprietà, libertà dalla corruzione, e libertà del mercato del lavoro. Fin dalle prime rilevazioni, l’Italia è stata sempre valutata un’economia “moderatamente libera” . Il suo punteggio 2014 risulta essere il più alto da quattro anni a questa parte. Nonostante i tentativi di riforme strutturali – mai veramente avviati -, le riforme legislative a breve termine non sono mai state attuate in modo efficace e l’economia è gravata da forti interferenze politiche, dalla corruzione, da alti livelli di tassazione, e da un mercato del lavoro rigido. A causa della complessità del quadro normativo e l’alto costo di condurre gli affari, una notevole quantità di attività economica rimane nel settore informale”.

Esercizio del potere pubblico – “La corruzione e una cultura di illegalità e di evasione fiscale restano le questioni centrali. Nel 2012, un tribunale ha condannato l’ex premier Silvio Berlusconi per frode fiscale. Egli sta facendo appello la sentenza. Il sistema legale è vulnerabile a interferenze politiche. I diritti di proprietà ed i contratti sono al sicuro, ma le procedure giudiziarie sono estremamente lente. Molte aziende scelgono di risolvere le procedure in via extragiudiziale. La protezione della proprietà intellettuale è al di sotto delle norme comunitarie”.

Stato nell’economia - “L’aliquota dell’imposta sul reddito individuale è superiore al 43% mentre e il tasso di imposta sulle società è superiore al 27,5%. Altre imposte includono l’imposta sul valore aggiunto (IVA) e imposta di successione. L’onere fiscale complessivo è del 43% del PIL. La spesa pubblica è pari a circa il 50 per cento dell’economia nazionale. L’Italia continua a lottare per raggiungere gli obiettivi di bilancio per tenere a freno il suo pesante debito pubblico, che ha superato il 130% del PIL”.

Efficienza della regolamentazione – “Ottenere i requisiti di licenza richiede più di 200 giorni e costa più del livello di reddito medio annuo. Gravi rigidità del mercato del lavoro frenano la crescita occupazionale. Il mercato del lavoro “informale” risulta essere molto sviluppato ed attrae una grande percentuale di occupazione. La stabilità monetaria è stata relativamente ben mantenuta mentre il governo ha ridotto i sussidi per le fonti energetiche rinnovabili”.

Apertura del mercato – “Gli Stati membri dell’UE hanno un tasso di tariffa medio molto bassa, pari all’1,1% ed, in generale, poche barriere non tariffarie ostruisticono il libero commercio tra i paesi europei. Gli investimenti in alcuni settori dell’economia in Italia sono controllati dal governo. Il settore finanziario offre una gamma piuttosto ampia di servizi ma rimane soggetta ad interferenze politiche. Il settore bancario è stato messo a dura prova dalla crisi del debito sovrano europeo”.

Conclusione – Il rapporto redatto dalla “The Heritage Foundation” è molto negativo e dimostra l’incapacità dell’Italia – soprattutto della sua classe dirigente – di cambiare. Nel corso di questi ultimi 20 anni poco o nulla è stato fatto e le riforme, continuano ad essere posticipate. I cittadini, e soprattutto la classe media, sono i grandi sconfitti. Il tempo delle parole è assolutamente finito e se l’Italia vorrà tornare a crescere le riforme sono indispensabili. Le riforme strutturali producono crescita nel medio-lungo periodo (come anche ieri ci ha ricordato Confindustria) perché tendono a migliorare il “sistema paese”, riducendo le inefficienze, migliorando il mercato del lavoro, rendendo il fisco meno oppressivo e la giustizia più snella. Gli Italiani nel corso di questi ultimi anni hanno dovuto subire manovre finanziarie molto dure senza vedere però alcun risultato. Perché? Semplicemente perché i governi che si sono succeduti non hanno avuto modo di lavorare e perché sono mancate le riforme strutturali. Guardiamo alla Germania di Schröeder, solito esempio banale, che da essere il “grande malato d’Europa” nel 1999-2000, a partire dal 2005-2006 si è trasformata nel paese più forte del vecchio continente. La verità, a volte, fa molto male ma evitare di guardarla in faccia è ancora peggio.

http://www.europinione.it/italia-cercas ... oundation/
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Re: Renzi: altro che Senato, il problema è questo

Messaggioda Iafran il 24/07/2014, 11:23

franz ha scritto:Index of economic freedomEconomia stagnante - Il rapporto (qui) è molto chiaro: “Nel corso degli 20 anni di storia dell’Indice, l’economia Italiana è sempre rimasta stagnante.

La situazione della economia la conoscono sulla loro pelle gli italiani che non vivono di politica (60 – 1 = 59 milioni).
Le "griglie" che utilizzano gli economisti per redigere queste classifiche possono solo confermarla.

Questo, invece, dovrebbe dare una bella scossa al nostro mondo politico buono (non certamente ai "renzisti" che si accordano con un condannato per fare le riforme costituzionali):

franz ha scritto:“La corruzione e una cultura di illegalità e di evasione fiscale restano le questioni centrali. Nel 2012, un tribunale ha condannato l’ex premier Silvio Berlusconi per frode fiscale. Egli sta facendo appello la sentenza. Il sistema legale è vulnerabile a interferenze politiche. (...) Il rapporto redatto dalla “The Heritage Foundation” è molto negativo e dimostra l’incapacità dell’Italia – soprattutto della sua classe dirigente – di cambiare.


anche senza aspettare questa grande scoperta ufficiale:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07 ... e/1070221/

Pil, Cantone: “Italia a crescita zero? Tutta colpa della corruzione”

Mentre il ristagno dell'economia è al centro delle preoccupazioni del governo Renzi, il magistrato che presiede l'Autorità anticorruzione firma un'analisi sul blog economico della società di ricerca Roubini Global Economics. E individua in mazzette e scambi di favori i veri freni alla crescita. Perché disincentivano gli investimenti esteri, distorcono la concorrenza in favore delle imprese disoneste e favoriscono la fuga dei cervelli
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Re: Renzi: altro che Senato, il problema è questo

Messaggioda trilogy il 24/07/2014, 16:21

"Se tutto quel che hai è un martello, tutto sembra un chiodo"
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Re: Renzi: altro che Senato, il problema è questo

Messaggioda Iafran il 24/07/2014, 21:13

trilogy ha scritto:"Se tutto quel che hai è un martello, tutto sembra un chiodo"

Non penso sia una massima cinese, forse appartiene a quei personaggi che vogliono sentirsi martello, almeno fino a quando non incappano in un martello più grosso ... (l'Italia l'ha "fatta sua" da 153 anni).
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Re: Renzi: altro che Senato, il problema è questo

Messaggioda Iafran il 25/07/2014, 6:04

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07 ... o/1070744/

Corruzione: senza fiducia non c’è sviluppo di Fabio Sabatini

(...) Ecco, questi sono i piccoli disastri quotidiani di vivere in un posto, Roma nel mio caso, dove nessuno è affidabile e tutti cercano di fregarti appena possibile. Prima di fare ogni piccola cosa, soprattutto le transazioni, devi pensarci cento volte. Devi raccogliere informazioni su quale sia un venditore onesto e un meccanico onesto, per esempio. ... Nel dubbio, non compri.
Immaginate ora di fare a Roma transazioni più grandi o più delicate, che implicano dosi maggiori di fiducia e/o informazioni più dettagliate come l’affitto o l’acquisto di un appartamento, una visita specialistica, un piccolo intervento in una struttura sanitaria privata. E pensate come sarebbe farle in un posto più civile. E parliamo “solo” di decisioni di consumo. Mettetevi adesso nei panni di un’azienda alle prese con decisioni di investimento del valore di milioni di euro.
In fondo, questo è l’argomento su cui si basa la letteratura empirica su coesione sociale, fiducia, e crescita economica. A parità di condizioni, un paese (o una regione, o una città) dove è difficile o impossibile fidarsi degli estranei è condannato a una crescita lenta e stentata.
Nelle scienze sociali, l’Italia è considerata il caso di studio per eccellenza della relazione tra fiducia e crescita. Nel 1958 il politologo statunitense Edward Banfield inventò il termine “familismo amorale” per spiegare le ragioni del sottosviluppo del Mezzogiorno: ciascuno pensa solo al benessere della sua famiglia, al cui perseguimento si è pronti a sacrificare qualsiasi principio morale. Non c’è alcun rispetto per la cosa pubblica, per la collettività, o per gli estranei, che sono considerati soltanto allocchi da sfruttare all’occorrenza, per esempio con la richiesta di una raccomandazione.
Il clima sociale e morale del paese non sembra cambiato molto dai tempi di Banfield. E da allora gli economisti hanno accertato l’esistenza di correlazioni significative e robuste tra fiducia e crescita economica (un elenco di letture si trova sul mio sito, qui.
La mancanza di fiducia non danneggia solo le transazioni commerciali e gli investimenti (soprattutto quelli con rendimenti incerti e lontani nel tempo, per esempio per ricerca, sviluppo e innovazione). Disincentiva anche la formazione del capitale umano, altro elemento essenziale non solo per la crescita ma anche per il progresso sociale e culturale di un paese. Se tutti, dal meccanico al politico, sono disposti a ingannare gli altri per perseguire i propri interessi, se la posizione e la ricchezza di ciascuno dipendono solo da rendite, truffe e raccomandazioni, che senso ha studiare? Meglio dedicarsi ad attività più proficue, come il corteggiamento delle persone giuste nei posti giusti.
Non sorprende quindi che Brunello Rosa, ricercatore presso Roubini Global Economics, e Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, abbiano individuato nella corruzione, conseguenza “estrema” del familismo amorale, uno dei principali freni alla crescita del nostro paese in un articolo pubblicato su EconoMonitor opportunamente segnalato da ilfattoquotidiano.it. Già nel 1995 uno studio di Paolo Mauro (economista del Fondo Monetario Internazionale) mostrava l’esistenza di una correlazione negativa tra corruzione e crescita economica: paesi con un più elevato indice di corruzione (come Haiti, Indonesia e Thailandia) sperimentano a parità di condizioni un tasso di crescita più basso di paesi con burocrazie tradizionalmente più trasparenti (per esempio Singapore, Olanda e Norvegia).
Dobbiamo rassegnarci dunque? Non proprio. Mauro sostiene che migliorare l’integrità e l’efficienza della burocrazia sia un modo efficace per aumentare gli investimenti a beneficio della crescita. Come ho spiegato in un articolo su Rivista di Politica Economica, istituzioni pubbliche più efficienti migliorano la fiducia dei cittadini. Ciò vale non solo per governi e assemblee, ma anche per gli organismi che garantiscono l’amministrazione della burocrazia e della giustizia e la fornitura dei servizi pubblici.
Soprattutto a livello locale, l’intervento dello Stato esercita un’influenza decisiva sulle attitudini degli individui. Dove la qualità dei servizi pubblici è elevata, le persone saranno più propense a coordinarsi tra loro per risolvere i problemi della comunità. Quando è nota la scorrettezza dei funzionari pubblici, invece, gli individui sono generalmente tentati di trarne vantaggio. La diffidenza nei confronti dell’imparzialità dei burocrati si proietta sugli estranei, presso i quali, grazie anche al cattivo funzionamento delle istituzioni, è mediamente più elevata la probabilità di comportamenti opportunistici. Se invece i casi di parzialità e corruzione sono rari ed efficientemente sanzionati, è molto più facile avere fiducia nella disponibilità altrui a tenere comportamenti cooperativi. (...)
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