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Riflessione sulla deflazione

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Riflessione sulla deflazione

Messaggioda flaviomob il 26/06/2014, 18:32

http://keynesblog.com/2014/06/26/boldrin-deflazione/

Non c’è più la buona deflazione di una volta, signora mia!
Pubblicato da keynesblog il 26 giugno 2014


La deflazione fa male? Se lo chiede un articolo di Michele Boldrin, Giovanni Federico e Giulio Zanella pubblicato su NoisefromAmerika. Secondo i tre economisti non si può giungere a questa conclusione, e quindi gli allarmi delle banche centrali sarebbero eccessivi, perché non vi sarebbero evidenze empiriche né una solida teoria alle spalle. Ma le cose stanno davvero così?

Le presunte evidenze empiriche

Boldrin, Federico e Zanella, per dimostrare che la deflazione non è generalmente associata alla contrazione dell’attività economica, riportano alcuni grafici nei quali sono plottati gli indici dei prezzi all’ingrosso e il PIL di alcuni paesi avanzati tra il 1850 e il 1900. Un’epoca in cui l’econometria neppure esisteva e le cui serie sono state ricostruite a posteriori, a partire dagli anni ’60, sulla base di notizie frammentarie circa la produzione del grano o l’estensione delle ferrovie. I grafici in effetti sembrano dare ragione agli autori.


Possiamo fidarci di questa ricostruzione? Ben poco. Il periodo che va dal 1873 al 1879 viene chiamato “Lunga Depressione” (non lunga espansione!) e durò, secondo i dati del National Bureau of Economic Research, ben 65 mesi (per fare un confronto, la “Grande Depressione” iniziata nel 1929 ne durò “solo” 43). Essa originò dal panico finanziario del 1873, partito da Vienna e poi contagiato in tutto il mondo industrializzato — tanto per ricordarci che la finanziarizzazione e la globalizzazione dell’economia non sono un’invenzione recente. Nel 1893 un secondo panico finanziario riportò l’economia in recessione.

Che le cose non andassero per il verso giusto ce lo dicono i dati del mercato del lavoro. Il secondo panico del 1893 portò il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti oltre il 12% (Romer, 1986; stime precedenti parlano anche del 18%). La disoccupazione tornò sotto il 10% solo nel 1899. Le stime sulla disoccupazione post-1873 sono a dir poco nebulose (e in effetti solo da allora si incominciò a tenere il conto dei disoccupati) e variano dall’8% al 20% a livello nazionale con punte del 25% nelle grandi città industriali. Sicuramente la disoccupazione doveva essere un problema fortemente sentito in queste ultime, dove le manifestazioni richiamarono secondo le cronache decine di migliaia di lavoratori a New York e Chicago. E’ comunque indubbio che i numerosi fallimenti di industrie, ferrovie e banche abbiano creato una disoccupazione di massa.

La crisi non fu solo americana, ma coinvolse tutto il mondo occidentale. Solo per fare un esempio, il Regno Unito istituì del 1885 una apposita commissione, la “Royal Commission on the Depression in Trade and Industry”. Una curiosità: la commissione ascoltò il padre di Keynes, John Neville, che spiegò come l’abbassamento dei prezzi abbia effetti depressivi tramite ragionamenti non molto diversi da quelli del figlio Maynard e di Irving Fisher.

Insomma, prima di prendere per buoni i dati economici di un periodo in cui le statistiche erano poche, frammentarie e condotte senza precise basi scientifiche, servirebbe una dose di prudenza in più.

Molto si potrebbe dire ancora su quel periodo, dalle altalenanti e spesso insensate politiche monetarie alla libertà di movimenti di capitali e alle bolle immobiliari della “Gilded Age“. Ma ci pare che quanto detto basti per evidenziare quanto deboli siano le “evidenze empiriche” di Boldrin&C. circa l’esistenza di una deflazione “buona” nella seconda metà del 19° secolo. Sul periodo in esame gli storici sembrano peraltro divisi tra chi lo considera un’epoca di grandi successi economici intervallata da recessioni e chi invece lo vede come una “lunga depressione” (1873-1896) intervallata da periodi di crescita rapida ma insostenibile, guidata dalle bolle.

Ciò che si può sicuramente dire è che l’intero 19° secolo fu caratterizzato da una rilevante instabilità economica, con grandi espansioni e successive grandi contrazioni, e che così continuò fino alla crisi del 1929. Al contrario, dal 1933 in poi nulla di paragonabile è accaduto e i panici finanziari sono diventati un pallido ricordo fino al 2008. Chissà perché.
La debole teoria della deflazione “buona”

Gli argomenti teorici di Boldrin&C. sono, se possibile, ancor meno solidi. Essi si possono riassumere in due punti:

1) il risparmio diventa sempre investimento;

2) la deflazione ha, al più, un effetto neutro: è vero che impoverisce i debitori, ma arricchisce i creditori che spenderanno di più, compensando la minore spesa dei debitori.

Il punto 1) – una versione addolcita della legge di Say secondo cui “l’offerta crea la sua propria domanda” – è argomentato sostenendo che la gente non mette i soldi sotto il materasso e pertanto il risparmio si traduce sempre, attraverso il settore finanziario, in investimento. Torniamo quindi a prima di Keynes. Il problema è che non c’è alcun bisogno che la gente metta fisicamente i soldi sotto il materasso. Basta infatti che li tenga liquidi, ossia li depositi nei conti correnti senza acquistare titoli sui mercati finanziari. Perché infatti comprare titoli di imprese indebitate, che rischiano di fallire per l’aumento dell’onere dei debiti causato dalla deflazione, se addirittura lo stesso denaro si rivaluta grazie proprio alla stessa deflazione? E anche ammesso che i risparmiatori comprino titoli, potrebbero comprare obbligazioni estere.

Peraltro va rilevato che, mentre i crolli sui mercati finanziari non raramente causano recessioni anche prolungate, gli effetti reali di una espansione del lato finanziario dell’economia sono generalmente piuttosto modesti. Persino negli Stati Uniti, dove il peso dei mercati finanziari è più rilevante che in Europa, la bolla della New Economy e poi quella dei mutui subprime hanno prodotto, tra la seconda metà degli anni ’90 al 2006, tassi di crescita più modesti di quelli sperimentati durante la cosiddetta “repressione finanziaria” seguita alla seconda guerra mondiale.

L’economia cresce se le imprese chiedono prestiti per investire (e non semplicemente per consolidare i debiti in essere) e le banche li concedono. Ma se l’inflazione cala o se addirittura si affaccia una deflazione, le banche vedranno aumentare le proprie sofferenze a causa dei debiti più onerosi e saranno meno propense a concedere nuovi prestiti, se non a tassi relativamente elevati, innescando così una spirale di depressione e deflazione. Questo è in effetti il rischio che si sta materializzando nell’eurozona e che la BCE ha annunciato di voler contrastare, sebbene si possano nutrire dubbi sull’efficacia delle misure sin qui annunciate.

Il punto 2) si poggia su un’ipotesi implicita, ovvero che i debitori ripaghino per intero i propri debiti. Ma se molti debitori non riescono a rimborsare i debiti (anche) a causa della deflazione, come potranno i creditori diventare più ricchi?

Una versione meno campata in aria di questa affermazione prende il nome di “real balance effect” anche detto “effetto Pigou“. Secondo questa ipotesi la deflazione renderebbe più ricchi coloro che detengono scorte di moneta (anche se queste pare non esistano secondo Boldrin e colleghi…) e ciò alla fine aumenterebbe la domanda, riportando l’economia all’equilibrio di pieno impiego. Peccato che neppure Pigou ci credesse e anzi fosse un sostenitore dei lavori pubblici e della moneta facile in quanto misure inflazionistiche.

Anche lasciando da parte tutte queste considerazioni, i tre autori non ci dicono perché questa deflazione dovrebbe essere “buona”, visto che non è associata a particolari innovazioni con conseguenti aumenti di produttività e quindi riduzione dei costi unitari, mentre invece è sicuramente associata alla disoccupazione di massa.

Molti economisti amano insistere sui propri errori. Quando ciò è impossibile allora preferiscono inventarsene di nuovi. Ora siamo al terzo stadio: ripescare dalla storia del pensiero economico gli errori commessi 100 e più anni fa.


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Re: Riflessione sulla deflazione

Messaggioda franz il 26/06/2014, 19:26

Tanto per capire, qui è il testo originale che ha innescato la discussione:
http://noisefromamerika.org/articolo/do ... rse-che-no (dove trovate un discreto dibattito che si sta sviluppnando)
Un testo firmato, da tre accademici che pubblicano le loro analisi su riviste qualificate, con la tecnica del peer-review.
Firmando ci mettono la faccia, come si usa nel mondo accademico.
Il testo di keynesblog invece non è firmato, o se lo è io francamente non ho in chiaro chi lo abbia scritto. Ed il dimamttito mi pare un po' trollesco.

Durante il fine settimana leggero' il tutto, su nfa e su kb. Poi entrero' nel merito, se trovo elementi degni di nota.
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Re: Riflessione sulla deflazione

Messaggioda pianogrande il 26/06/2014, 21:39

Da uomo della strada, capisco benissimo che l'inflazione premia i debitori nei confronti dei creditori.
Non parlo solo dei debitori istituzionali.
Negli anni settanta, compravi casa con un mutuo che si prendeva uno stipendio al mese.
Dopo una decina d'anni, si prendeva poco più della tredicesima.

Le nostre indebitatissime imprese e i nostri straindebitati governi tremano al pensiero della deflazione.
Gli tocca pagare senza quello sconto neanche occulto e che mettono tranquillamente in preventivo (visto come si stanno scalmanando).
I lavoratori dipendenti avevano ottenuto l'adeguamento automatico (la contingenza).
I debitori (in primis le imprese) si sono affrettati subito a rimangiarselo, appena i sindacati si sono un po' indeboliti.

Che me ne faccio della svalutazione creativa se poi debbo compensare l'inevitabile inflazione conseguente?

A rimetterci sono sempre i più deboli.

Con il divieto di svalutazione locale introdotto dall'Euro, era rimasta una certa inflazione a dare qualche spuntino gratis.
Non potevano fare a meno anche di quella.

Evidentemente, si stanno muovendo le corazzate e i carri armati per fregare il fregabile ai più deboli.
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Re: Riflessione sulla deflazione

Messaggioda flaviomob il 27/06/2014, 10:35

Credo che l'uomo della strada sia in grado di comprendere altrettanto bene che, in caso di deflazione prolungata, al calo dei prezzi al consumo corrisponderebbe un adeguamento al ribasso delle retribuzioni reali e, col trascorrere del tempo, un abbassamento del prodotto interno lordo.
Possiamo credere che un negoziante abbassi i prezzi e rimanga vivo senza poter abbattere gli stipendi dei collaboratori? No di certo. Possiamo credere che un calo prolungato di prezzi e stipendi riduca il PIL nazionale? E' scontato.

Il punto però è che il PIL costituisce il denominatore del rapporto debito/PIL. Se diminuisce, aumenta ulteriormente il rapporto (constatato che in valore assoluto il debito pubblico continua a galoppare). Rischiamo quindi nuovamente di trovarci con un debito insostenibile da un lato, ma soprattutto di essere considerati di nuovo un investimento a rischio e quindi il famigerato spread potrebbe risollevarsi.


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Re: Riflessione sulla deflazione

Messaggioda franz il 27/06/2014, 13:50

flaviomob ha scritto:Credo che l'uomo della strada sia in grado di comprendere altrettanto bene che, in caso di deflazione prolungata, al calo dei prezzi al consumo corrisponderebbe un adeguamento al ribasso delle retribuzioni reali e, col trascorrere del tempo, un abbassamento del prodotto interno lordo.

Quello che pensa l'uomo di strada, o anche il casalingo, è in netto contrato con l'esperienza storica degli ultimi 160 anni (un periodo fuori dalla portata della persona normale) che mostra lunghi periodi di calo dei prezzi uniti a forti incremeti del PIL procapite PPP.
Vedere la figura riportata dallo studio originale.
http://www2.dse.unibo.it/zanella/nfa/good_deflation.png
E si parla di paesi in cui la popolazione è aumentata notevolmente e quindi a fronte di un incremento di PIL procapite c'è stato una salita vertginosa del PIL, malgrado (o grazie?) la caduta dei prezzi.
Cosa c'è che non quadra? La produttività, cari amici. È quella a scompaginare il modello superfisso.
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Re: Riflessione sulla deflazione

Messaggioda flaviomob il 27/06/2014, 14:35

La deflazione è un'altra cosa

http://it.wikipedia.org/wiki/Deflazione_%28economia%29

La deflazione deriva dalla debolezza della domanda di beni e servizi, cioè un freno nella spesa di consumatori e aziende, che, in regime di deflazione, sono incentivati a posporre gli acquisti di beni e servizi non indispensabili, con l'aspettativa di ulteriori cali dei prezzi, con l'effetto di innescare una spirale negativa. Le imprese, non riuscendo a vendere a determinati prezzi parte dei beni e servizi, cercano di collocarli a prezzi inferiori.

La riduzione dei prezzi si ripercuote per le imprese sui ricavi, anch'essi generalmente in calo. Ne deriva il tentativo da parte delle imprese di ridurre i costi, attraverso la diminuzione dei costi per l'acquisto di beni e servizi da altre imprese, del costo del lavoro e tramite un minor ricorso al credito.

L'andamento deflativo dei prezzi tende a verificarsi come conseguenza di una recessione per la diminuzione della domanda aggregata di beni.

Casi di forte deflazione possono indurre il fenomeno della tesaurizzazione, intesa come incetta dell'unità monetaria della quale si prevede un ulteriore aumento del potere d'acquisto.

...


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Re: Riflessione sulla deflazione

Messaggioda pianogrande il 28/06/2014, 1:19

Perché la "debolezza della domanda"?
Il primo perché, sempre da uomo da marciapiede, è l'insicurezza.
L'impossibilità di garantirsi un futuro tranquillo.

Nell'insicurezza tende a prevalere l'arte di arrangiarsi, il ricorso a mezzi propri.
Coltivo l'orto invece di comprare frutta e verdura.
Ricorro ai nonni invece che alla baby sitter.
Aggiusto il vestito vecchio invece di comprarlo nuovo.

Il mercato è solo uno dei tanti modi di procurarsi il necessario.

Quando il mercato diventa rapace e truffaldino ed arrogante, chi può si cerca delle alternative.

Quando il mercato diventa finanza furba invece che finanziamento alla produzione di materiali concreti, la gente comune tende a crearsi un ambito diverso in cui operare.

Naturalmente, ne consegue una società povera; fatta di povere cose.
Conseguenza dell'arricchirsi di pochissimi.

Purtroppo, la diminuzione della domanda non è conseguenza della diminuzione dei bisogni ma della ricerca (più o meno forzata) di alternative per soddisfarli.

Quindi la deflazione è la strada verso la povertà ma non è la causa della povertà.

Curare la deflazione con l'inflazione (partendo dalla svalutazione) è come curare la fame con una dieta ferrea.
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Re: Riflessione sulla deflazione

Messaggioda franz il 28/06/2014, 8:20

Mio sembra che si stiano confondendo due cose:
1) cosa la deflazione è.
2) da cosa la deflazione deriva.

su cosa sia c'è accordo: "tendenza dei prezzi a diminuire", al contrario quindi dell'inflazione.

Sull'origine del fenomeno, essendo il mercato influenzato sia dalla domanda sia dall'offerta, le cause sono tipicamente due:
il processo di riduzione dei prezzi può essere dovuto o a shock dal lato della domanda (per una ragione o per l'altra si riduce la domanda di beni e servizi e i produttori, cercando di vendere, abbassano i prezzi), o a shock dal lato dell'offerta (la produttività dei fattori esistenti o l'offerta aggiuntiva di fattori produttivi aumentano in un modo che consente alle imprese, in concorrenza, di abbassare i prezzi), o a una combinazione dei due.

La cosa è ben visibile in determinati settori, dove c'è molta tecnologia, concorrenza, innovazione. Nel mondo dell'informatica e della elettronica i prezzi scendono costantemente. Qualcuno ricorda quanto costasse il primo PC IBM nel 1984? Costava circa 9 milioni di lire. I cloni costavano circa 7. Oggi costano poco perché nessuno li vuole piu' comprare? No, è chiaro che costano meno perché l'innovazione tecnologica sa sul prodotto sia sui sistemi produttivi consente di fare prezzi piu' bassi ed aumentare la qualità. Lo stesso dicasi per un televisore, per gli elettrodomestici e tante altre cose. Diminuiscono i materiali impiegati, diminuiscono le ore necessarie per produrre ogni singola unità prodotta. In parte vale anche per il settore auto, considerando che la prima fiat 500 (topolino) costava 20 volte lo stipendio di un operaio specializzato.

Considerato questo, che è un argomento inconfutabile, la scheda di wikipedia mi pare corretta ma incompleta.
L'articolo a cui keynesblog risponde ipotizza, come base di partenza per riflettere, una deflazione buona (da produttività) ed una cattiva (da crisi della domanda) e poi riflette sulle consegenze. Sono sempre negative?

Devo ancora leggere tutti gli articoli (sono a metà del primo) ma direi proprio che la deflazione da incremento di produttività non solo genera un calo dei prezzi ma anche un aumento del PIL e dei redditi, inducendo piu' consumo, non delle stesse cose, ma di oggetti e beni nuovi, che prima non c'erano, come PC, stampanti, telefonini, console, tv led o smart tv. In pratica i prezzi calano ma la domanda aggregata cresce.

il discorso sul debito è corretto ma dimentica che a fronte di un debito esiste sempre un credito. Con l'inflazione i debitori ci guadagano e i creditori ci perdono. Con la deflazione è il contrario. I debitori ci perdono ma i creditori ci guadagnano ed avranno piu' soldi da spedere o investire. Con la deflazione "buona" da produttività pero' il PIL aumenta /come si vede nei grafici che ho linkato nell'intervento precedente) e quindi non ci sono influssi sul rapporto debito/PIL.

Dove sta il problema nostro? Sta nel fatto che la domanda aggregata cala perché la produttività non aumenta, ristagna e forse anche cala. Il problema è la produttività, non la domanda. La domanda aggregata non puo' sallre se la popolazione è stabile e la produttività ristagna.
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Re: Riflessione sulla deflazione

Messaggioda franz il 28/06/2014, 9:15

Sempre a proposito di deflazione

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04 ... ca/959419/

Pil: crescere nonostante la deflazione sarchiaponica
di Fabio Scacciavillani | 24 aprile 2014

Al pari del Sarchiapone nell’indimenticabile scenetta di Walter Chiari, Carlo Campanini e Ornella Vanoni, la deflazione è un classico spauracchio per suscitare ad arte paure di sconquassi e incanalare acqua putrida verso mulini parolai che macinano argomenti senza costrutto.

Al pari del Sarchiapone, è sconosciuto il motivo plausibile per cui prezzi in discesa sarebbero una iattura. Qualcuno soffre perché la benzina non costa più due euro? O perché i cellulari valgono ormai come tre pacchetti di sigarette e due di caramelle? Misteri dei corto circuiti logico-cognitivi già illustrati, da un punto di vista speculare, nel post sulla “leggenda dell’inflazione stimolatoria“.

Al pari di Walter Chiari, che per impressionare i compagni di viaggio spacciava, con tono magniloquente e assertivo, il suo sapere in fatto di sarchiaponi (sia americani che asiatici, precisava), un’eccelsa scuola di pensiero sostiene che la gente in tempi di deflazione rimanda gli acquisti in attesa di affari più ghiotti e di conseguenza inevitabilmente il Pil collassa. Secondo le teorie sarchiaponiche si rinuncerebbe al ristorante perché fra 6 mesi la carbonara costerà l’1,35% in meno? Oppure non si mandano le camicie con patacche di unto e salsa in lavanderia in attesa del ritocco dei listini? E le signore si acconcerebbero a vestire tailleur sdruciti e collant smagliati? O magari si procrastina la visita dal medico tanto fra tre mesi la parcella sarà più lieve?

Obnubilata dagli effetti stroboscopici dei millenarismi sarchiaponici, la logica si fa evanescente e lo scompartimento ferroviario assurge a cenacolo intellettuale. Eppure la deflazione l’abbiamo sperimentata per decenni in tanti settori, dai computer all’elettronica, alle telecomunicazioni. Non mi risulta che non si vendano smartphone o tablet, anzi per tali oggetti la gente fa la fila e si accampa la notte fuori dai negozi. Ne ho conoscenti in astinenza da cellulare perché il prossimo trimestre le tariffe saranno più convenienti o che reprimono il desiderio di vacanza pregustando il biglietto aereo lowest cost. E che dire degli abbonamenti internet? Si segnalano milioni di aspiranti utenti in paziente attesa di sconti?

Per prevenire il riflesso condizionato di quanti, in perenne conflitto con l’ovvio, invocano i mitici dati, esiste una ricerca pubblicata nel 2004, in tempi non sospetti, da Andrew Atkeson e Patrick Kehoe intitolata “Deflation and depression: is there an empirical link?” (Deflazione e depressione: esiste un legame empirico?). I dati esaminati coprono 17 paesi lungo quasi due secoli dal 1820 fino al 2000.

Tolto il periodo 1929-34 (su cui dirò in seguito) in circa il 90% dei casi in cui venne registrata una caduta generalizzata del livello dei prezzi non vi fu alcuna recessione. Solo in 8 casi su 73 la deflazione fu associata a una caduta del Pil. Inoltre, in 8 depressioni sulle 29 esaminate non vi fu alcuna deflazione. Insomma il legame tra deflazione e decrescita del Pil è fievole. Se poi si eliminano dal campione gli episodi di depressione senza deflazione legati alle due guerre mondiali e all’immediato dopoguerra, il legame svanisce in un tenue singulto statistico.

Allora da dove si alimenta lo spauracchio? In buona sostanza da ciò che avvenne durante la Grande Depressione in America. È il caso menzionato e studiato ad libitum, su cui l’interpretazione considerata quasi universalmente definitiva si deve alla Storia Monetaria degli Stati Uniti (1867-1960) di Milton Friedman e Anna Schwartz. Al dilettantismo della Fed si aggiunse il protezionismo cialtrone e la Grande Depressione si propagò in tutto il mondo (a questo link, pag. 41, si trova un’esposizione in italiano). Le serie storiche a disposizione su quel periodo coprono 16 paesi. Tutti registrarono una deflazione, ma solo in 8 vi fu una depressione.

Conclusione di Atkeson e Kehoe (pag. 6): l’esperienza storica insegna che “ci sono stati molti più periodi di deflazione con crescita ragionevole che con depressione e molti più periodi di depressione con inflazione che con deflazione”.

Gli autori fanno notare che dall’immediato dopoguerra si è verificato un solo caso di deflazione: in Giappone. Tuttavia crescita ed inflazione erano su un trend decrescente sin dagli anni ‘60 e ’70, rispettivamente. Quindi è difficile attribuire alla politica monetaria un fenomeno strutturale dipanatosi lungo 40 anni. Se poi si attua un confronto internazionale, negli anni ‘90 la crescita del Giappone fu in media dell’1,41%, non troppo diversa da quella dell’Italia 1,61% (dove l’inflazione era sostenuta), o della Francia 1,84% dove rimase moderata.

Ad ogni modo oggi in Eurolandia l’inflazione annuale è bassa, non negativa, con l’eccezione di Grecia e Cipro e in misura lieve in Spagna, Portogallo e Slovacchia (insieme a paesi fuori della moneta unica, come la Svizzera o la Svezia, di certo non in crisi). Pur adottando politiche monetarie diverse Eurolandia e Usa hanno tassi di inflazione simili (idem per i deflatori del Pil, nel 2013 rispettivamente 1,54% e 1,64%). La frenata dell’inflazione finora deve molto al fatto che i prezzi delle materie prime ristagnano, fenomeno per quale immagino nessuno si dolga. Le previsioni e le aspettative insite nei rendimenti dei titoli a reddito fisso indicano un’inflazione in risalita.

C’è però qualcuno a cui la bassa inflazione duole: i governi e in parte alcune banche. Senza inflazione i debiti non vengono erosi dall’illusione monetaria e il torchio del fiscal drag sui contribuenti si inceppa. Le tasse non aumentano più senza dover sfidare l’impopolarità di aliquote maggiorate e gli sprechi pubblici bisogna davvero ridurli, senza cortine fumogene nominali. Ecco da dove si amplifica la grancassa della deflazione sarchiaponica per continuare nei propri comodi, come faceva sul treno lo scaltro personaggio della scenetta a danno dei gonzi.
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Re: Riflessione sulla deflazione

Messaggioda franz il 28/06/2014, 13:34

pianogrande ha scritto:Perché la "debolezza della domanda"?
Il primo perché, sempre da uomo da marciapiede, è l'insicurezza.
L'impossibilità di garantirsi un futuro tranquillo.

Vero, ma hai notato che piu' prevale la sicurezza e la tranquillità, piu' prevale l'individualismo?
Ovvio, piu' sono asscurato, protetto,, "welfarato" e nella bambagia, meno dubbi ho sul futuro, piu' sono autonomo, indipendente e piu' prevalgono le scelte individuali.
Ogni medaglia ha un suo rovescio.
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