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Debitoribus

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

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Messaggioda flaviomob il 27/04/2014, 0:57

Blog di Vito Lops - Il Sole

E’ debito parlare di debito

Quando si parla di debito saltano in mente due collegamenti immediati, pressoché inconsci

1) debito pubblico

2) Italia sprecona e spendacciona

Si tratta di punti molto delicati che toccano qualsiasi dibattito politico-economico di oggi. E' bene approfondire un po' entrambe le questioni. Partiamo dal DEBITO PUBBLICO. In questo momento l'Italia ha accumulato uno stock di debito pubblico di circa 2.100 miliardi che, rapportati a un Pil di 1.550 miliardi, porta il rapporto debito/Pil al 132,6% rispetto al 127% del 2012. Il rapporto - per stessa ammissione della Banca d'Italia - sta peggiorando soprattutto per la caduta del Pil (- 9 punti reali dal 2008) che non per l'aumento del debito. Ma va detto che l'Italia è da diversi anni in avanzo primario. Ciò vuol dire che al netto degli interessi che l'Italia paga per finanziare il debito pubblico le entrate dello Stato sono maggiori delle spese (in sostanza le tasse sono più alte della spesa pubblica). Da ciò si deduce che il più grosso problema da risolvere per l'Italia sono gli interessi che paga per sostenere il suo debito, circa 80-90 miliardi di euro l'anno, in base alle peripezie dei mercati finanziari.

Dal 1980 ad oggi l'Italia ha pagato 3.100 miliardi di interessi, in pratica il 150% dell'attuale debito pubblico. Come quando uno compra una casa e paga più interessi del costo della casa stessa. In più il tasso di interesse reale (pagato al netto dell'inflazione) è diventato positivo e da allora non è mai sceso sotto zero. Questo perché nel 1981 c'è stato il divorzio tra Banca d'Italia e Tesoro. Da allora, in pratica la Banca d'Italia ha smesso di intervenire sul mercato primario per contenere i tassi di aste eventualmente a bassa richiesta. Così per attrarre capitali l'Italia ha dovuto unicamente affidarsi al mercato finanziario, senza il sostegno della Banca centrale.

Questo principio vale oggi anche per l'Eurozona. I trattati vietano infatti alla Bce di svolgere la funzione di prestatore di ultima istanza, ovvero di intervenire - laddove occorra - sul mercato primario per far passare incolumi aste in cui si verifichi un crollo della domanda.

Come visto, quindi, il debito pubblico italiano è esploso a causa degli interessi sullo stesso debito.

Poi c'è il discorso della spesa pubblica e dell'Italia spendacciona. E' vero, ci sono 800 miliardi di spesa pubblica, ripartiti in questo modo

Spesapubblicaxfunzione

E' vero, dicevamo, 800 miliardi son tanti. Ma non tanto quanto si possa credere. Osservate questo grafico

Spesapubblicainperpil

In rapporto al Pil, cioè alla sua forza economica, la spesa pubblica dell'Italia è assolutamente in media rispetto a quella europea ed è inferiore a quella di Austria, Svezia, Grecia, Belgio, Finlandia, Francia e Danimarca. Questo ci dice che il quadro della spesa pubblica è migliorabile, ma non allarmante. Il punto è che negli 800 miliardi c'è anche molta spesa pubblica improduttiva. E' davvero un peccato spendere senza effetti moltiplicativi per benessere dei cittadini e sul Pil del Paese, al di là del contribuito sulla voce consumi rappresentata da quella parte di spesa pubblica che va ad alimentare il reddito di lavoratori adagiati su se stessi e altamente improduttivi (nella logica 1:1 la mia spesa è comunque il tuo reddito).

Ed è questo un punto fondamentale su cui intervenire, cioè attuare un percorso virtuoso di conversione della spesa pubblica improduttiva in spesa produttiva.

Ma debito pubblico non vuol dire solo debito pubblico. Vuol dire anche debito pubblico implicito. Secondo quest'altra classificazione - che tiene conto delle spese future per pensioni e sanità già messe a budget - l'Italia è la migliore seconda nell'intera Unione europea, dopo la Lettonia. Anche in questo caso un grafico parla più di qualsiasi commento. E' tratto dal Fiscal sustainability report 2012 della Commissione europea. Evidenzia che l'Italia non ha gap di sostenibilità a differenza degli altri Paesi dell'Ue, così come la Lettonia (Lv nel quadrante). Quindi nel lungo periodo, nonstante sia "spendacciona", è messa meglio degli altri rivali, per stessa ammissione della Commissione europea.

Indicatore-sostenibilita-S2

E poi è doveroso terminare questo post sul debito sottolineando che quando si parla di debito bisogna anche distinguere il debito privato e il debito estero, spesso confinati dietro le quinte ma in realtà assoluti protagonisti nella dinamica delle crisi e della sostenibilità di un Paese. Lo riprova il fatto che l'attuale crisi - di cui stiamo raccogliendo ancora i cocci con una ripresa che dopo otto anni stenta ancora a decollare complice un processo di deflazione che viene utiilzzato come meccanismo di compensazione degli squilibri tra i Paesi del Nord e della periferia - è una crisi di debito privato, per stessa ammissione della Banca centrale europea.

Quanto al DEBITO ESTERO, questo ci dà la dimensione della vulnerabilità di un Paese rispetto ai creditori stranieri. Bene, anche in questo caso come spiegato in questo articolo, l'Italia non è poi messa così male. Ha una posizione netta su investimenti internazionali vicinissima a quella della Francia e pari al 27% del Pil (mentre Spagna è al 96% e Grecia e Portogallo sono oltre la propria capacità produttiva).

Tutto ciò per chiarire che il debito pubblico va convertito in produttivo, ridimensionato e vanno abbattuti gli interessi REALI. Questo non significa però che sia l'unico problema da affrontare, o la madre di tutti i problemi.

Ergo, se qualcuno parla di debito con superficialità, impariamo a non dargli credito :-)

http://vitolops.blog.ilsole24ore.com/ca ... ia/page/2/


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Re: Debitoribus

Messaggioda franz il 27/04/2014, 15:22

Nessun problema va affrontato con superficialità ma è chiaro che nel poco spazio dell'intervervento qui sopra (ed anche in questa mia replica) ci sono diverse possibilità di essere sommari e superficiali. Il blogger Lops cl riesce anche lui bene perché come i tanti che affermano che la nostra spesa sociale è in linea con le media euroeee (media che è poi piu' elevata di altri paesi occidentali) dimentica di sottolineare che invece le prestazioni non sono affatto in linea, anzi sono decisamente scadenti. Vero che fa un rapido accenno alla spesa pubblica improduttiva ma direi che anche quella che dovrebbe essere produttiva non lo è affatto, perché se chiedi 100 in tasse e contributi per produrre servizi che non valgono 40, il citato concetto che nella logica 1:1 la mia spesa è il tuo reddito diventa un atroce scherzo, una enorme presa per i fondelli.

In fondo allora basterebbe innondare di soldi lafrica, in modo che tutti spendano, per creare reddito e ricchezza. Ma credo che almeno citando la logica 1:1 costui si sia un po' avvicinato, senza saperlo e senza condividerlo, ai concetti estressi qui sul "modello superfisso" http://noisefromamerika.org/articolo/pe ... ico-italia
Tutto ciò per chiarire che il debito pubblico va convertito in produttivo, ridimensionato e vanno abbattuti gli interessi REALI. Questo non significa però che sia l'unico problema da affrontare, o la madre di tutti i problemi.

Tutto giusto, nella conclusione.
Ma come si fa a convertire il debito pubblico in produttivo? Non lo dice ma possiamo provarci noi.

Secondo me ridiucendo il debito pubblico e la dimensione della spesa pubblcia, aumenta di conseguenza l'investimento privato e l'economia privata, che sono produttivi per definizione (se non sovvenzionati dallo stato) ed essendo produttivo usciamo dalla logica 1:1 (gioco a somma zero) e andiamo nella logica a somma > zero, che crea valore aggiunto.

Tra l'altro è anche tutto da discutere che lo Stato, il settere pubblico oggi sia in una logica 1:1. Per me siamo 1:1/2 o se va bene 1:2/3 per la somma (negativa) di clientelismo, corruzione, servizi scadenti, rendite.

Le cose da fare sono quindi anche di migliorare l'efficenza della macchina pubblica ed è possibile farlo anche spendendo meno di oggi (per esempio con un vero federalismo, non con la pagliacciata che oggi viene spacciata per federalismo).
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Re: Debitoribus

Messaggioda trilogy il 27/04/2014, 18:37

flaviomob ha scritto:Blog di Vito Lops - Il Sole

E’ debito parlare di debito

Quando si parla di debito saltano in mente due collegamenti immediati, pressoché inconsci

1) debito pubblico

2) Italia sprecona e spendacciona



E poi è doveroso terminare questo post sul debito sottolineando che quando si parla di debito bisogna anche distinguere il debito privato e il debito estero, spesso confinati dietro le quinte ma in realtà assoluti protagonisti nella dinamica delle crisi e della sostenibilità di un Paese. Lo riprova il fatto che l'attuale crisi - di cui stiamo raccogliendo ancora i cocci con una ripresa che dopo otto anni stenta ancora a decollare complice un processo di deflazione che viene utiilizzato come meccanismo di compensazione degli squilibri tra i Paesi del Nord e della periferia - è una crisi di debito privato, per stessa ammissione della Banca centrale europea...


Infatti abbiamo deflazionato l'economia per riequilibrare gli squilibri tra i paesi della zona euro non potendo ricorrere al riallineamento dei cambi valutari. Il problema è che questa politica oggi mostra i suoi limiti ed effetti perversi. In pratica diversi paesi stanno andando in deflazione, i prezzi scendono. La deflazione per sua natura aggrava la situazione dei paesi e delle imprese con debiti elevati. Per ora il fenomeno è contenuto e non si ancorato nelle aspettative d'imprese e famiglie. Se questo dovesse accadere il meccanismo perverso che s'instaura è che le famiglie rinviano le spese perchè i prezzi scenderanno. Le imprese rinviano gl'investimenti perchè non c'è domanda e i nuovi investimenti non sono remunerativi. Le entrate fiscali scendono perchè l'economia si contrae, e il debito sale perchè gl'interessi reali sul debito tendono a salire. Il rapporto debito/ fatturato per le imprese, e debito/PIL per lo Stato tende a peggiorare. :?
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Re: Debitoribus

Messaggioda pianogrande il 27/04/2014, 22:46

Mi risulta un po' misterioso il concetto di spesa pubblica "produttiva" (OK l'articolo dice debito pubblico ma direi che è la stessa cosa).
Arrivo subito a quello di spesa pubblica efficente e cioè che non si può spendere 100 per un servizio che vale 40.
Ci potrei attaccare il concetto di spesa pubblica efficace e cioè che porti a un risultato che rientri negli scopi della spesa pubblica stessa e qui faccio subito a fare un esempio: dagli aerei di stato addetti al trasporto di belle signore per feste eleganti alle mutande verdi (che mi richiamano irresistibilmente una canzone che però non parla di mutande).
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Re: Debitoribus

Messaggioda franz il 28/04/2014, 8:36

Anche a me risulta misterioso ma credo che si possa fare questo esperimento mentale per cercare di capire.

Prendiamo la scuola pubblica. Calcolarne la produttività è complesso se non impossibile (ed infatti oggi non si fa) perché non è chiaro come misurare il valore aggiunto. Tuttavia nulla impedisce che esistano solo scuole private, pagate con una retta o con una sorta di assicurazione che distribuisce il costo lungo gli anni. Il concetto di scuola pubblica infatti non è legato ad un monopoiio naturale ma solo ad una precisa scelta pubblica ( che non metto in discussione se non per l'esperimento che sto provando a fare).

In un paese con solo scuole private finanziato da rette o da sistemi prepagati (assicurazioni o tasse è quasi lo stesso) la produttività è piu' facilmente calcolabile ed il sistema starebbe in piedi solo se producesse valore aggiunto. Diciamo quindi che in linea di massima l'istruizione e la formazione professionale sono attività produttive (che possono essere fatte in modi piu' o meno efficaci, piu' o meno efficenti) e ritengo che lo siano anche quando è il pubblico che se ne occupa, solo che in questo secondo caso non abbiamo possibilità di valutazione oggettiva (salvo sporadici occasioni con i test PISA e similari).

Non avendo possibilità di valutazione dei risultati, viene meno la possibilità di migliorare produttività, efficenza, efficacia ma rimane il fatto che almeno in teoria lo stato si occupa di attività che sono produttive, senza pero' riuscire a verificarne la produttività.
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Re: Debitoribus

Messaggioda pianogrande il 28/04/2014, 8:59

OK.
Il termine produttività può riassumere tutto.
Mi risulta, sono però molto approssimativo, che in Inghilterra le scuole vengano giudicate dalle variazioni di livello degli allievi (rapporto tra quelli che salgono e quelli che scendono).
Queste misurazioni valgono qualcosa solo se vengono effettuate da enti esterni e neutrali.

Per quanto riguarda i nostri uffici pubblici, bisognerebbe partire da molto più lontano.
Bisognerebbe partire da un martellamento continuo sul fatto che gli uffici pubblici (e le istituzioni) sono al servizio del cittadino che è il loro datore di lavoro.
Concetto lontanissimo sia dagli autovelox più o meno camuffati e magari a pochi metri dal cartello del limite di velocità che dalla arroganza/incompetenza schierata compatta dietro a vari sportelli dai quali i cittadini se ne vanno con lo sguardo perso e dal numero di "professionisti" che danno assistenza ai cittadini e che, in uno stato col concetto detto sopra, non avrebbero motivo di esistere.

Se non si supera quella difficoltà di intendere il proprio ruolo (cosa ci stanno a fare lì) tutto il resto sono discorsi da bar.
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Re: Debitoribus

Messaggioda trilogy il 28/04/2014, 11:39

pianogrande ha scritto:OK.
Per quanto riguarda i nostri uffici pubblici, bisognerebbe partire da molto più lontano.
Bisognerebbe partire da un martellamento continuo sul fatto che gli uffici pubblici (e le istituzioni) sono al servizio del cittadino che è il loro datore di lavoro.
Concetto lontanissimo sia dagli autovelox più o meno camuffati e magari a pochi metri dal cartello del limite di velocità che dalla arroganza/incompetenza schierata compatta dietro a vari sportelli dai quali i cittadini se ne vanno con lo sguardo perso e dal numero di "professionisti" che danno assistenza ai cittadini e che, in uno stato col concetto detto sopra, non avrebbero motivo di esistere.....


Si bisognerebbe partire dagli obiettivi da raggiungere e poi costruirci sopra le procedure necessarie, valutando periodicamente i costi/benefci ecc. Nella nostra PA avviene da sempre il contrario...il risultanto finale sono procedure costose, inutili, benefici collettivi pressochè nulli, anzi sempre più spesso danni per i cittadini. L'hanno capito anche al loro interno ma è una forma mentis della burocrazia pubblica difficile da modificare.


[..]il ciclo della programmazione, gestione e controllo della spesa continua ad essere dominato da categorie giuridico-contabili a dispetto di un’abbondante fraseologia normativa che evoca concetti quali efficienza, efficacia, controllo del cittadino, ecc. Il punto sta nel capovolgere questa impostazione: le soluzioni contabili e gestionali devono seguire ed essere strumentali rispetto agli obiettivi messi a fuoco dalla spending review.[..]

fonte: http://www.astrid-online.it/Dossier--s/ ... e-2013.pdf
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Re: Debitoribus

Messaggioda flaviomob il 28/04/2014, 23:23

Ho letto da qualche parte che persino la Corte dei conti ha un tasso di assenteismo abnorme: addirittura il trenta per cento.
Siamo proprio il paese dei paradossi...


http://espresso.repubblica.it/attualita ... d-1.163163


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Re: Debitoribus

Messaggioda flaviomob il 09/05/2014, 9:43

Euro e Austerity: la tenaglia che ci stritola
Vladimiro Giacchè

In primo luogo sulla gravità della situazione. Il nostro paese ha perso, dall’inizio della crisi, poco meno del 10% del prodotto interno lordo, il 25% della produzione industriale, il 30% degli investimenti. A chi paventa catastrofi nel caso di un’eventuale fine dell’euro va risposto che al punto in cui siamo l’onere della prova va rovesciato, perché la catastrofe c’è già. E la prima cosa da fare è di comprendere come ci siamo finiti e cosa fare per uscirne.

Ci troviamo, molto semplicemente, nella peggiore crisi dopo l’Unità d’Italia: peggiore di quella del 1866, e peggiore di quella del 1929 (Rapporto CER n. 2/2013).

Peggiore per tre motivi: perché il livello di prodotto pre-crisi – che negli altri casi era già stato recuperato dopo 6 anni– in questo caso non sarà recuperato neppure in 10 anni; perché gli indicatori di cui disponiamo non segnalano alcun miglioramento significativo della situazione (al contrario, quanto alla disoccupazione, essi ne prevedono un ulteriore aumento nel corso del 2014). E anche perché la situazione attuale è caratterizzata da due elementi di rigidità che privano il nostro Paese di margini di manovra.


Il primo vincolo – quello rappresentato dall’appartenenza alla moneta unica – impedisce ogni autonoma politica monetaria e ogni recupero di competitività tramite la svalutazione della moneta.

Il secondo elemento di rigidità – quello dei vincoli di bilancio – impedisce ogni politica anticiclica, per non parlare poi di una politica industriale. Osservo en passant che il modello tedesco, continuamente invocato quando si tratta di precarizzare il mercato del lavoro sul modello dell’Agenda 2010 di Schröder, viene completamente trascurato quando si parla di politiche anticicliche. E sì che con 70 miliardi di euro utilizzati per rilanciare il settore manifatturiero tra 2008 e 2009, la Germania (che in quei due anni aveva perso all’incirca la stessa quota di prodotto perduta dall’Italia) costituisce un caso di scuola in fatto di utilizzo massiccio di politiche di deficit spending in funzione anticiclica…

I vincoli di bilancio hanno conosciuto un aggravamento negli ultimi tre anni anche rispetto a quanto fu previsto a Maastricht. In particolare, la regola relativa alla necessità di ridurre la parte di debito che eccede il 60% del pil nella misura del 5% annuo è una regola che nel Trattato di Maastricht non c’era, e non per caso: era infatti ben chiaro ai negoziatori degli altri Paesi che l’Italia non avrebbe potuto accettare un obbligo di riduzione del debito di queste proporzioni. Questo vincolo è invece stato introdotto nel 2011, nel bel mezzo della peggiore crisi economica globale dagli anni Trenta.

Stretti tra il vincolo monetario e quello delle politiche di bilancio, i governi non hanno alcun margine di manovra. Possono solo accettare la corsa al ribasso sui salari (ossia la svalutazione interna), che però – come si è visto in questi ultimi anni – ha l’effetto di far crollare la domanda interna, e quindi di ridurre, prima, e distruggere, poi, capacità produttiva, a evidente beneficio di produttori localizzati in altri paesi. La verità è che “di fatto, l’austerità fiscale ha collocato l’economia europea su un equilibrio di sottoccupazione” (Rapporto CER 4/2013, p. 7).

Se i vincoli di bilancio dal 2011 in poi si sono fatti più severi e stringenti, anche il vincolo monetario si fa sempre più soffocante, a dispetto dei bassi tassi d’interesse BCE. Per 3 motivi: 1) perché l’euro è sopravvalutato sul dollaro, 2) perché allo stesso annuncio dell’OMT da parte di Draghi, dopo la sentenza di Karlsruhe, sarà molto difficile dare seguito concreto in caso di necessità (ne ha scritto molto bene Gianluigi Nocella: http://re-vision.info/2014/02/in-attesa-di-condanna/ ); 3) infine, perché sul nostro paese incombe la deflazione; la quale, a differenza dell’inflazione, aumenta il valore reale del debito in essere e ne può rendere insostenibile il peso anche in tempi molto brevi.

Per questi motivi lo stesso assottigliarsi dello spread Bund/Btp non deve ingannare: esso infatti è il prodotto della politica di quantitative easing della Fed da un lato, dei flussi di capitale in uscita dai fondi obbligazionari specializzati in emerging markets dall’altro. Si tratta in entrambi i casi di dinamiche che potrebbero facilmente e rapidamente mutare di segno.

Anche perché non si è affatto invertito il processo di balcanizzazione finanziaria in Europa, ossia la risegmentazione dei mercati finanziari e il loro ridisegnarsi secondo linee coincidenti con i confini nazionali. Si tratta del pericolo numero uno per l’euro, assieme alla crescente divergenza tra le economie dell’eurozona. Un processo caratterizzato dal rimpatrio dei crediti effettuati dalle banche tedesche e francesi nei confronti degli altri paesi dell’eurozona, e conseguentemente dall’aumento della quota di titoli pubblici di questi paesi in mano alle banche domestiche. Nel caso delle banche tedesche, le esposizioni nei confronti dei Paesi periferici dell’eurozona è passata in pochi anni da esposizioni per 520 miliardi di euro verso i Paesi periferici dell’eurozona a esposizioni pari a 214 miliardi (dato di novembre 2013).

La ratio dell’Unione Bancaria, la vera posta in gioco con la sua costruzione, consiste nella possibilità di invertire questo processo. Ma purtroppo, per i difetti della sua attuale configurazione (ritagliata sulle esigenze delle banche tedesche e sulla necessità di proteggerne il maggior numero possibile dall’esame della BCE), non sembra in grado né di ridurre entro termini ragionevoli il rischio sistemico, né di costituire una diga efficace alla balcanizzazione finanziaria. Con quello che ne consegue anche per quanto riguarda le prospettive di sostenibilità del nostro debito pubblico.

Più in generale, C.M. Reinhart e K.S. Rogoff ritengono che in base all’esperienza storica l’ottimismo dei governanti europei circa la possibilità di uscire dal debito “per mezzo di un mix di austerity, forbearance e crescita” sia ingiustificato. E che, al contrario, “il finale di partita della crisi finanziaria globale probabilmente richiederà una qualche combinazione di repressione finanziaria (una tassa occulta sui risparmiatori), vera e propria ristrutturazione del debito pubblico e privato, conversioni, inflazione molto più elevata, e misure varie di controllo dei capitali” (C.M. Reinhart e K.S. Rogoff, Financial and Sovereign Debt Crises: Some Lessons Learned and Those Forgotten, IMF Working Paper, dicembre 2013, pp. 3-4).

Se riflettiamo su queste parole, possiamo intendere come molti dibattiti italiani su questi temi siano fuori centro e fuori tempo.

Si invoca lo spettro dell’inflazione (che riduce il valore reale del debito) quando invece siamo prossimi alla deflazione (che lo aumenta).

Oppure si invoca lo spettro della svalutazione della moneta quando, semmai, il vero problema oggi è la svalutazione interna: perché stiamo già svalutando, e pesantemente, i salari (la qual cosa, sia detto di passaggio, è precisamente quello che ci viene chiesto quando si parla di “riforme strutturali”).

L’errore, qui, è quello di pensare con le categorie e con le priorità degli anni Settanta e Ottanta in uno scenario completamente cambiato, i cui elementi di pericolo sono completamente differenti.

Rigidità delle politiche di bilancio e rigidità del cambio sono difficilmente sostenibili di per sé. Ma soprattutto sono insostenibili contemporaneamente. La conseguenza è molto semplice: o salterà l’una, o salterà l’altra.

O sapremo conquistarci maggiori margini di manovra effettivi sui conti pubblici, e al tempo stesso imporre anche alla Germania la politica espansiva in termini di domanda interna che sinora si è rifiutata di attuare (senza la quale ogni espansione della nostra domanda interna riproporrebbe una situazione di squilibrio della bilancia commerciale), o procederemo verso l’implosione dell’eurozona. Ma, prima ancora, verso la distruzione della nostra capacità produttiva e della nostra economia.

L’unico modo per conquistare quei margini di manovra è porre radicalmente in discussione gli ultimi Trattati e accordi europei: quelli dal marzo 2011, ossia dal Trattato Europlus in poi. Altrimenti, non resta altra strada che l’abbandono della moneta unica. Non ci sono altre vie: in particolare, non sarebbe praticabile né utile la strada di un approfondimento del processo di integrazione europeo anche da un punto di vista politico. Infatti, se non si interviene prima sull’impianto neoliberistico/mercantilistico che impronta di sé i Trattati dall’Atto Unico Europeo dal 1986 in poi – e che fa sì che la competizione tra paesi in Europa sia necessariamente tutta giocata sulla concorrenza al ribasso sulla protezione del lavoro e sulla fiscalità per le imprese – ogni ulteriore passo avanti verso l’integrazione politica rischierà inevitabilmente di rappresentare la blindatura istituzionale, tendenzialmente autoritaria, di un assetto sociale ingiusto e insostenibile.

Una citazione per finire:

“Quest’area monetaria rischia oggi di configurarsi come un’area di bassa pressione e di deflazione, nella quale la stabilità del cambio viene perseguita a spese dello sviluppo dell’occupazione e del reddito. Infatti non sembra mutato l’obiettivo di fondo della politica economica tedesca: evitare il danno che potrebbe derivare alle esportazioni tedesche da ripetute rivalutazioni del solo marco, ma non accettare di promuovere uno sviluppo più rapido della domanda interna.”

Sono parole tratte dal discorso parlamentare con il quale Luigi Spaventa motivò il voto contrario del PCI all’ipotesi di adesione dell’Italia allo SME. Era il 12 dicembre 1978. Il rischio che Spaventa lucidamente aveva individuato si è concretizzato: le sue parole, purtroppo, descrivono alla perfezione la situazione attuale dell’Europa.

È questa la catastrofe in cui già siamo e da cui dobbiamo uscire. Prima che sia troppo tardi.

http://www.sinistrainrete.info/europa/3 ... itola.html

http://re-vision.info/2014/02/in-attesa-di-condanna/


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Per non morire d'euro

Messaggioda franz il 09/05/2014, 12:52

Posto che molte persone di recente sono legittimamente preoccupate e che alcune non si fanno scrupolo di approfittare meschinamente* di questa preoccupazione è il caso di dirlo con parole semplici: per non morire d'euro è sufficiente accendere due neuroni e rendersi conto che di euro non si muore, salvo che nelle fantasie perverse di chi è alla ricerca di qualche minuto di notorietà o di qualche oncia di consenso a buon mercato. Non servono competenze tecniche avanzate o intelligenze superiori bastano 3 grani di buonsenso:

Nessuno è in grado di prevedere quali potrebbero essere le reali conseguenze (in negativo ovviamente) di un'uscita dall'euro da parte del nostro paese[] e, posto che nel sistema finanziario contemporaneo l'incertezza è il peggiore dei mali, questo solo fatto dovrebbe rendere improponibile l'idea;
Se i benefici ipotetici sono tutti da dimostrare e di norma fondati su rocamboleschi contro-fattuali, esistono svantaggi certi e immediatamente percepibili che chiunque abbia terminato con profitto la scuola dell'obbligo ha i mezzi per intendere

Il latinorum degli apprendisti stregoni, che sciorinano grafici e tabelle ritagliati a bella posta e vorrebbero far sembrare la questione più complessa di quel che è in realtà, o quantomeno un argomento su quale val la pena dibattere o su cui esista una qualche discussione in corso tra gli esperti è un castello di panna montata costruito per spaventare chi ha poca familiarità coi numeri che, è bene ricordarlo, sono come i prigionieri, se torturati opportunamente possono confessare qualunque cosa.

Partiamo da un esempio facile facile, cosa diremmo se ci proponessero una nuova fonte di energia che, ci costa di sicuro un terzo della nostra ricchezza presente per essere sperimentata, rischia di radere al suolo metà del paese durante il primo esperimento e potrebbe avere qualche vago risultato utile nelle concitate argomentazioni di un pugno di mad-doctor dal Curriculum non esattamente impressionante? Forse risponderemmo il gioco non vale la candela? Ecco avete colto il punto di fondo dei #noeuro che meglio starebbero alla #neuro.



Ma veniamo ai tre granelli.

Il primo punto è fondamentale: chi asserisce di sapere di quanto si valuterà la nuova lira o quel che succederà all'economia italiana vi sta mentendo spudoratamente: la verità è che nessuno è in grado di prevedere con un ragionevole grado di approssimazione cosa succederebbe in un'eventualità del genere. Potete verificarlo, leggendo questo dossier predisposto dall'Economist; constatando (per chi ama i controfattuali) che fino ad oggi si ritenuto troppo rischioso espellere la Grecia dall'euro (economia più piccola della nostra, la cui uscita avrebbe rischi minori) nonostante quanto ci costi tenerla a bordo, oppure esaminando la questione armati del vostro senso comune che è più che sufficiente.

Non è complicato comprendere perché non è possibile prevedere le conseguenze di un evento del genere, in primo luogo non ci sono precedenti storici, in secondo luogo mai nella storia dell'umanità le informazioni e le persone hanno potuto circolare in modo rapido, semplice e a basso costo come oggi, in terzo luogo, le esperienze recenti della crisi dei mutui subprime e del crack di lehmna brothers ci hanno insegnato che il circolo vizioso di incertezza, diffidenza e aspettative negative può mettere a rischio la stabilità dell'intero sistema finanziario mondiale. Quando dico che non ci sono precedenti storici intendo che paragonare il corso dell'immaginaria nuova lira con una svalutazione o con la rottura di un cambio fisso verificata nella storia è improprio. Immaginate un ventenne che si tuffa in mare d'inverno e se la cava con un brutto raffreddore, utilizzereste la sua esperienza per sostenere che a ottant'anni vi può giovare tuffarvi nel mar baltico (se sopravvivete)?

Non abbiamo idea di cosa succederebbe uscendo dall'euro e argomentare che ce la caveremmo con una svalutazione di un tal percento è da incoscienti ai limiti del criminale. L'Italia, oltre ad essere di per se un'economia di dimensioni rilevanti a livello mondiale è una parte fondamentale dell'area euro, un suo collasso o una sua uscita dall'euro potrebbe indurre negli operatori l'aspettativa di una frattura complessiva del progetto euro e di un periodo di forte instabilità per i paesi che ne fanno parte, in una parola, generare un panico dalle conseguenze, appunto, imprevedibili. Il secondo grano riguarda le cose di cui invece siamo certi. Come ben argomentato da molti, la transizione material alle nuove lire sarebbe un evento traumatico ed estremamente costoso. Cosa succederebbe se aveste anche solo il sospetto che i vostri risparmi in banca rischiano di venire decurtati di oltre un terzo (ad essere ottimisti), mentre semplicemente prelevandoli o trasferendoli il loro valore verrebbe conservato? Chi non correrebbe ai ripari? In un paese con un'elevata circolazione di contanti come il nostro, come non pensare che se la valuta della repubblica tornasse ad essere una lira svalutata, la gente non continuerebbe a usare negli scambi in contanti l'euro che ha conservato il suo valore e che appena varcate le frontiere circola ancora legalmente?

Riepilogando, i danni peggiori nessuno è in grado di prevederli, quelli più tangibili e immediati li riconoscono anche gli azzecagarbugli antieuro, cosa resta a sostegno della causa #n(o)euro? L'idea che la strada giusta per il nostro paese consista in una valuta deprezzata e una banca centrale che stampa moneta ad libitum. Perché se qualcuno predica questa benedetta uscita è per rinverdire i fasti delle svalutazioni competitive (mito altamente costruito cercate un po' sui libri di storia e ne troverete ben poche) e per la famigerata indipendenza della banca centrale no?

Parliamone di queste esportazioni. Inseguire le svalutazioni significa credere che il futuro della nostra economia sia nel far concorrenza ai paesi poveri nelle produzioni a basso valore aggiunto (che oggi includono anche una certa fetta di tecnologia) è questo il campionato in cui vogliamo giocare? Mai considerato che mentre taluni anacronistici arruffapopolo ancora propongo di svalutare, oggi determinate produzioni tornano nei paesi ricchi perché grazie all'automazione, e (a breve) alle stampanti 3D conviene produrre vicino a dove si consuma? Che il valore aggiunto più elevato già oggi, sta più nel software e nei servizi, che non nell'hardware (per banalizzare con termini impropri) e nell'assemblaggio dei componenti, che con ogni probabilità domani verranno in parte stampati a destinazione e in ogni caso con più automazione e meno manodopera a basso costo? Quanto è credibile poi l'ipotesi che i nostri partner commerciali ci consentano di svalutare allegramente senza ritorsioni?

Invocare svalutazioni del cambio e uscite dall'euro significa ignorare tutte le tendenze dell'economia contemporanea e assumere l'autolesionismo dei nostri partner commerciali. Ma parliamo di questa meravigliosa banca centrale che stampa il benessere. Se voi foste paesi che vendono il petrolio o altre materie prime, e noi di petrolio e materie prime abbiamo molto bisogno, accettereste in cambio lire nuove di zecca dal valore tutto da dimostrare o pretendereste di essere pagati in altra valuta? Se aumenta alle stelle il costo dell'energia e del combustibile dove andranno i prezzi di tutto il resto (che arriva a noi su gomma o treno)? Se i prezzi aumentano più di quanto aumenta il nostro reddito cosa succede?

Succede che il tanto propagandato meccanismo di svalutazione e stampa di moneta si sostanzia in un formidabile moltiplicatore di miseria e povertà. La questione della “moneta filosofale” l'ha ben spiegata Fabio Scacciavillani in questo post e per comprendere il concetto è sufficiente aver terminato le scuole dell'obbligo. Cosa conta veramente? Il valore facciale delle banconote che avete in tasca o quello che in concreto ci potete comprare? A che vale essere milionari in un mondo dove un pezzo di pane costa un miliardo? Se voi siete sufficientemente furbi da capire il valore di una moneta dipende da quel che ci puoi comprare, perché gli altri dovrebbero essere tanto ottusi da farsi irretire dai numeri immaginari che la vostra banca centrale fatta in casa trascrive su carta?

Per essere concreti se in giro per il mondo accettano certi biglietti verdi come mezzo di pagamento è perché dietro di essi c'è una istituzione credibile a garantirne il valore e, non dimentichiamolo, anche una nazione con un esercito rispettabile che è in grado di difendere quell'istituzione. Quanto credete che sarebbero bene accette le lirette stampate da uno stato che già nei tempi d'oro era poco affidabile, di recente si è rimangiato le promesse più importanti? Chi pensate che farebbe credito a uno stato di questo tipo e a quali condizioni? Nota bene anche quando parlate di debiti e crediti ricordate che vale la regola d'oro che la moneta vale tanto quanto le cose che ci puoi comprare. Le lire stracce che gli stranieri non accettano in pagamento dei debiti passati non acquistano per miracolo valore se ci pagate gli stipendi della pubblica amministrazione. Se qualcuno vi fa balenare le gioie dell'autarchia tenete a mente che gli iphone, le playstation e le serie TV come il trono di spade non li fabbricano in Italia e il vostro reddito opportunamente svalutato potrebbe comprarne in quantità minori. Per essere più chiari, anche il combustibile utilizzato dai veicoli su cui si spostano le merci, per non dire di quello utilizzato per i riscaldamenti o più in generale della parte dell'energia elettrica che non produciamo sul territorio aumenterebbe sensibilmente di prezzo. Senza contare che anche i beni a km zero quando aumentasse la domanda interna per sostituire le importazioni finirebbero per costare di più.

In una parola finiremmo drasticamente più poveri di quanto non siamo ora in termini di capacità di acquistare beni e servizi.

Per riepilogare, il latinorum dei #noeuro è evidentemente volto a intimidire chi ha poca dimestichezza con i numeri e con l'economia, oltre che a intercettare il malcontento di chi, oggi sconta una crisi che poco ha che fare con la valuta unica (e quel poco va nella direzione opposta da quel raccontano): non si tratta di questioni complicate da capire o di ipotesi che si possono discutere, ma solo di un'idea strampalata (che possa convenire uscire dall'euro e/o che stampando moneta si risolvono problemi reali), che ha costi certi (la corsa agli sportelli quando si facesse concreta la prospettiva), possibili ulteriori conseguenze molto negative non prevedibili (paralisi del sistema mondiale, crisi di fiducia, uscita di altri paesi dall'euro etc) e dei benefici basati su ipotesi inconsistenti (tipo che ci siano rappresaglie commerciali da parte dei nostri partner) o colpevolmente fallaci (che l'eventuale guadagno di competitività dovuto alla svalutazione non svanisca rapidamente) o su una visione del mondo ormai tramontata (che il futuro dell'economia sia nella manifattura a basso costo).

Per l'ennesima volta, in un momento in cui siete sfiduciati, arrabbiati o provati da una congiuntura difficile, qualcuno vi invita a sotterrare i vostri zecchini in un campo assicurandovi che daranno frutti rigogliosi, siete liberi di crederci, che sulla fede non si discute, peccato che tutte le evidenze disponibili e una dose minimale di buonsenso, lascino intendere che è poco credibile sostenere che “questa volta sarà diverso”.

@massimofamularo

http://www.linkiesta.it/blogs/apologia- ... ire-d-euro
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