quindi potrebbe risultare una fregatura per i lavoratori e i cittadini europei?
ciao mauri
http://www.ilpost.it/2014/03/30/ttip/
Fillippomaria Pontani spiega con parole sue cos'è il Trattato Atlantico in ballo tra Europa e Stati Uniti e perché bisognerebbe preoccuparsene un po' di più
Chi si oppone all’accordo, dall’organizzazione internazionale Attac a una rete di associazioni costituite in apposito comitato (ma non mancano dure prese di posizione di Slow Food, senza contare le perplessità dell’ufficio studi di Nomisma e perfino le obiezioni da destra in chiave nazionalistica; l’analisi più chiara è questa), da un lato contesta il metodo per nulla trasparente dei negoziati (in mano essenzialmente alle lobby, e la dimensione fasulla dei benefici ventilati, che andrebbero ridotti realisticamente di almeno 10 volte, senza che (NAFTA docet) ci si possa attendere alcuna ricaduta positiva sull’occupazione (si osserva tra l’altro che il sullodato Center londinese è finanziato da grandi banche internazionali che detengono grandi interessi in bottega); dall’altro prospetta le seguenti conseguenze sulla nostra vita associata:
- sul piano economico, l’agricoltura europea, frammentata in 13 milioni di piccole aziende (contro i 2 milioni degli interi Stati Uniti) e non più protetta dai dazi doganali, finirebbe in breve tempo per soccombere alle portaerei d’Oltreoceano, soprattutto se – condizione controversa – venisse dato il via libera alle colture OGM; con tanti saluti alla biodiversità e all’agricoltura a chilometro zero;
- sul piano industriale, in molti settori (dalla siderurgia all’alimentare) la concorrenza delle multinazionali sarebbe esiziale per qualunque realtà di calibro medio o piccolo, talché l’unica salvezza sarebbe creare joint ventures transatlantiche con inevitabile preminenza degli Americani (il modello FIAT in questo senso è istruttivo), e con un sicuro peggioramento delle condizioni dei lavoratori (si pensi semplicemente al diverso ruolo delle tutele sindacali qui e lì, all’uso o all’assenza di contratti collettivi, etc.);
- sul piano del welfare, settori come l’acqua, l’elettricità, l’educazione, la salute verrebbero esposti alla libera concorrenza, in barba a tutti i discorsi che in questi anni si sono sviluppati attorno all’idea di “beni comuni”; come corollario, i diritti sulla proprietà intellettuale verrebbero rinforzati e la loro disciplina completamente stravolta (già ci si era provato nel 2012 con l’ACTA, che limitava il libero accesso alla cultura e attentava fra l’altro alla stessa libertà di espressione sul web), e la protezione dei dati personali sensibili (già messa a dura prova in tempi recenti dalle famigerate incursioni della NSA) risulterebbe di fatto impossibile – anche se va detto che ambedue queste questioni sono state stralciate dal corpaccione dell’accordo in occasione degli incontri di dicembre;
- sul piano della salute e dell’ambiente, verrebbe imposto un drastico accordo al ribasso su alcune garanzie essenziali: oltre alla questione degli OGM, si pensi all’uso dei pesticidi, all’obbligo di etichettatura del cibo, alle soglie per la valutazione del danno ambientale delle imprese, all’uso indiscriminato del fracking per estrarre il gas di scisto, alla protezione dei brevetti farmaceutici – tutti àmbiti nei quali la legislazione europea offre al cittadino-consumatore tutele inesistenti negli USA;
- sul piano finanziario, i servizi internazionali verrebbero liberalizzati al punto di favorire ogni sorta di opacità, in barba a tutti i (peraltro assai timidi) programmi di “imbrigliamento” dello strapotere della finanza sbandierati all’indomani della crisi del 2008;
- su tutti i piani testè menzionati, è facile prevedere che s’instaurerebbe un predominio de facto delle multinazionali, non più arginato da governi e Parlamenti ormai impotenti o con le mani legate dalle clausole-capestro (gli eventuali contenziosi sarebbero trattati dinanzi a tribunali internazionali speciali appositamente creati all’uopo), e dal terrore delle astronomiche cause giudiziarie (basti pensare al processo milionario intentato dalla Philip Morris contro l’Uruguay per il divieto del fumo, o quello della Vattenfall contro la Germania per l’abbandono del nucleare, o quello della Lone Pine contro il Canada per lo stop all’estrazione dello shale gas): diventerebbe prevalente il condizionamento delle politiche in materia di difesa della salute, di tutela ambientale, di arginamento della finanza.