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a proposito di "rendite finanziarie"

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a proposito di "rendite finanziarie"

Messaggioda trilogy il 26/03/2014, 10:31

26 marzo 2014
Le rendite di posizione e il saccheggio dello Stato
di Fabrizio Forquet

Non è dato sapere quante ore abbiano dedicato all'insegnamento, ma di certo saranno state molto dense di informazioni per gli studenti. Tanto dense da meritare stipendi fino a 300mila euro all'anno. A tanto ammontano, infatti, le retribuzioni garantite dalla Scuola di formazione del Mef e dalla Scuola superiore della Pa a dirigenti ministeriali di lungo corso, come - per citarne alcuni - Francesco Tomasone, Vincenzo Fortunato, Giuseppe Nerio Carugno, Marco Pinto. Tutti alti burocrati dalle tante relazioni e dagli infiniti incarichi.
Tutti accomunati da questa passionaccia per l'insegnamento. Ovviamente molto ben retribuita.
È davanti a cifre come queste che si capisce come, nell'affrontare il tema delle retribuzioni ai vertici della Pa, è fondamentale innanzitutto conoscere i numeri. Tutti i numeri. Ci si accorge allora che gli abusi più insopportabili, e soprattutto onerosi per le finanze pubbliche, vanno ben al di là di quella ventina di incarichi apicali che sono sotto i riflettori dei media.
Quello delle scuole è un caso limite, giustamente sollevato da un articolo del Fatto quotidiano di qualche giorno fa sulla scuola del Mef, e rilanciato dall'inchiesta di Mariolina Sesto a pagina 2. Una vera vergogna nazionale per la quale tutti i dirigenti coinvolti dovrebbero chiedere scusa al Paese. È stato, ed è ancora, un vero e proprio saccheggio di risorse pubbliche, perpetuato nell'arroganza del potere e nell'opacità del sistema.
Ma i dati che il Sole 24 Ore pubblica oggi rivelano una realtà di privilegi e incongruenze che va al di là dei casi singoli. Coinvolgendo interi comparti e intere categorie della pubblica amministrazione. È giusto che chi esercita funzioni di altissima responsabilità, e consegue risultati per la collettività, sia premiato con uno stipendio adeguato. Quello che non è tollerabile è un sistema per cui in alcune categorie si accede sempre e comunque a trattamenti elevati. Todos caballeros, si direbbe. E poco importa se il servizio offerto ai cittadini è scadente, se i risultati sono inesistenti, se le responsabilità esercitate sono di poco conto.

I dati che pubblichiamo (anno 2012) parlano da soli. Sul totale dei dipendenti statali solo il 14% guadagna più di 40mila euro lordi l'anno. Ma alla presidenza del Consiglio nessuno, dicasi nessuno, guadagna meno di quella cifra. Sempre a Palazzo Chigi, poi, il 16% dei dipendenti, 384 persone per l'esattezza, guadagnano più di 80mila euro, contro una media dei ministeri del 2%.
Anche presso le autorità indipendenti nessuno ha la sventura di guadagnare meno di 40mila euro e addirittura il 43% porta a casa uno stipendio che supera gli 80mila. Ma i veri record si toccano tra le magistrature e al ministero degli Esteri. Il 90% dei magistrati italiani guadagna oltre 80mila euro lordi all'anno (la media ponderata in questa fascia è di 149mila euro), per un totale di 9.123 persone, con un esborso per lo Stato di 1,8 miliardi di euro. Per molti di quei magistrati è certamente un trattamento più che meritato, ma anche qui una progressione e una differenziazione legata ai risultati sarebbe più equa e foriera di un servizio migliore per i cittadini. Per non parlare della carriera diplomatica: perché qui vieni proiettato automaticamente oltre gli 80mila euro (nel 96% dei casi), a prescindere dall'anzianità e dall'incarico.
Quello che manca, in particolare per i dirigenti di prima fascia, è il collegamento tra le retribuzioni, da una parte, e le responsabilità esercitate e i risultati conseguiti dall'altra.
Paradossalmente il capo della Polizia o il direttore dell'Agenzia delle Entrate possono ritrovarsi a guadagnare come il titolare di un insegnamento presso le scuole di formazione. D'altra parte oggi un direttore generale per le politiche attive e passive del ministero del Lavoro, settore strategico, ha uno stipendio annuo lordo (circa 148mila euro) inferiore a dirigenti che ricoprono incarichi di studio o al responsabile di un settore della Scuola nazionale dell'amministrazione (oltre i 230mila euro).
Sono incongruenze che fanno capire quanto sia difficile il lavoro per riportare ordine nelle retribuzioni della pubblica amministrazione. Ma è qui che Renzi dovrà dimostrare di saper compiere la sua rivoluzione. Perché è in queste cifre l'iniquità di un sistema dove le rendite di posizione e i ricatti delle corporazioni saccheggiano lo Stato e fanno strame del servizio al cittadino.

26 marzo 2014
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Sempre a proposito di rendite

Messaggioda franz il 26/03/2014, 17:42

Pensioni, compie 40 anni il decreto che fece nascere le babypensioni (e che ci costa ancora oggi lo 0,4% di Pil)
http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e- ... id=AB9cLEm

Andarono in pensione poco più che trentenni che avevano iniziato presto a lavorare, incassando oltre al denaro, quello che divenne un totem del sistema della contrattazione italiana: il diritto acquisito. Un "diritto" sancito da una norma legislativa, com'è d'uso, la cui copertura viene però data in carico alle generazioni future. Quanto? Secondo alcune stime si tratta di circa 7,5 miliardi di euro l'anno – una volta e mezzi l'Imu sulla prima casa -, destinati a un plotone di babypensionati. Quanti? In totale circa 400mila persone. I calcoli li ha fatti tempo fa la Confartigianato: in 17mila hanno smesso di lavorare a 35 anni di età mentre altri 78mila sono andati in pensione tra i 35 e 39 anni. E visto che la loro aspettativa di vita stimata è di circa 85 anni, i baby pensionati incassano durante la loro vita almeno il triplo di quanto hanno versato durante la loro attività lavorativa.

L'idea di varare questo provvedimento nacque alla vigilia delle elezioni amministrative in cui la Democrazia Cristiana, il partito di Rumor, fece il pieno di voti. Il 1973 era stato l'anno dello Yom Kippur, del Watergate e della crisi petrolifera e l'Austerity che proprio Rumor, il 2 dicembre precedente, aveva imposto con domeniche a piedi e tv spenta alle 22,45, per contrastare la carenza di energia. Eventi tutti entrati nei libri di storia ed usciti dalla cronaca e dalla contabilità. A differenza che in Italia, dove le baby pensioni sono contabilizzate come liabilities, uscite previste cioè, al pari delle pensioni minime e delle pensioni d'oro. Con tutto ciò che ne segue in termini di equità, per chi le pensioni percepisce e per chi le incassa.

E poi c'è l'effetto prodotto in modo indiretto dalle baby pensioni: ne hanno beneficiato le donne che sono uscite dal mondo del lavoro sottraendo il loro contributo all'economia reale, in termini di cultura e competenza, riducendo la domanda di servizi per la famiglia (asili nido, in primis), riducendo così la creazione di nuovi posti ldi lavoro che all'epoca erano meno "costosi" (vedi alla voce cuneo fiscale) di oggi ; e quindi innalzando il tasso di tutela finanziaria del pubblico sul singolo, hanno ridotto la forza di intrapresa dei singoli nel tessuto sociale. Il che, insieme alle svalutazioni competitive e all'evasione fiscale, ha posto le basi del declino economico italiano di questi anni.

Franco Marini, all'epoca appena entrato nella segreteria Cisl, ricordava tempo fa al Messaggero: "Sì, è vero che non c'era nella classe politica né nel corpo della stato di allora una grande consapevolezza di quello che sarebbe accaduto, dell'impatto che l'allargamento del welfare avrebbe avuto sui conti pubblici. Però il provvedimento sulle baby-pensioni causò sin da subito una forma di imbarazzo anche nel sindacato che a quel tempo aveva un fortissimo potere contrattuale nei confronti della politica. Era una norma squilibrata. Ci fu disagio nei confronti dei lavoratori privati che erano esclusi da quel trattamento. Anche se qualcuno riteneva che il baby-pensionamento compensasse il fatto che i dipendenti del privato avessero avuto fino a quel momento salari molto più alti".

A poco è servita la retromarcia decisa meno di dieci anno dopo il decreto Rumor, quando a Tangentopoli esplosa, un altro provvedimento omnibus di fine anno, il decreto legislativo 503 del 30/12/1992 ("Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421"), corse a cancellare la possibilità di smettere di lavorare e incassare una pensione ancora nel fiore degli anni (gli stessi, all'incirca, in cui i precari di oggi provano riescono nelle migliori delle ipotesi a entrare nel mondo del lavoro).

Restò il conto da pagare: un esborso per la previdenza pubblica pari a circa lo 0,4% del Pil nazionale l'anno.
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Re: a proposito di "rendite finanziarie"

Messaggioda franz il 26/03/2014, 17:49

A poco è servita la retromarcia decisa meno di dieci anno dopo il decreto Rumor, quando a Tangentopoli esplosa, un altro provvedimento omnibus di fine anno, il decreto legislativo 503 del 30/12/1992 (

Meno di 10? Direi meno di venti. Sono 19 anni, 10 mesi e 7 giorni, se l'anniversario è oggi.
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