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Ineguaglianza globale

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Ineguaglianza globale

Messaggioda flaviomob il 02/03/2014, 1:12

http://www.sinistrainrete.info/estero/3 ... diale.html

Impostura mondiale

Impoverimento e ineguaglianza nel mondo negli ultimi 40 anni

Riccardo Petrella

Negli ultimi mesi a seguito anche della risoluzione finale di Rio + 20 “il futuro che vogliamo” sono apparse una serie di rapporti e documenti da parte di organi pubblici mondiali (ONU, Banca Mondiale, OCSE,…) e privati (World Economic Forum, rapporti di banche, fondazioni private e altri organismi) i quali tentano di veicolare chi più e chi meno esplicitamente, la tesi che il mondo starebbe andando sulla buona strada per giungere verso il 2030 all’eliminazione totale della povertà “estrema”. Lo scopo del testo pubblicato qui di seguito è di fornire conoscenze e alcuni dati essenziali per rendersi conto della impostura mondiale rappresentata da tale tentativo.


1. Il contesto: dopo lo smantellamento dello Stato del welfare, il salvataggio del capitalismo allo sbando. Il grande cambio in quaranta anni.

Nel secolo scorso, la lotta contro la povertà e lo sfruttamento dei lavoratori e dei contadini trovò in Occidente uno sbocco piuttosto positivo nel Welfare, il sistema di ricchezza/sicurezza sociale generalizzata fondato sulla piena occupazione ed il ruolo motore dell’investimento pubblico per la produzione e l’accesso ai beni e servizi comuni essenziali per la vita ed il vivere insieme (acqua, scuole, ospedali, trasporti pubblici, case popolari, polizia, magistratura, sicurezza energetica…).

La variante scandinava del Welfare si dimostrò la più avanzata, seguita a distanza dalle varianti olandese, tedesca, inglese, belga e francese. Nei paesi dell’Europa del Sud, il Welfare è rimasto su posizioni meno progressiste anche se ben superiori alla variante nordamericana statunitense, caratterizzata da un welfare individualista basato sull’assistenza (e non la sicurezza sociale) ed un mutualismo capitalista. (1)

A livello mondiale, una volta ultimati (negli anni ’60) i processi di decolonizzazione, soprattutto in Africa ed in Asia, la politica di “aiuto allo sviluppo” da parte dell’Occidente auto-definitosi “sviluppato” e quindi modello da adottare per le ex-colonie, permise ai paesi “aiutanti” di “estendere” alle ristrette classi privilegiate locali il nostro modo di sviluppo facilitando così l’appropriazione/esproprio delle ricchezze prodotte dalle ex- colonie a nostro vantaggio e a quello delle “élites” locali. A partire dagli anni ’70, le politiche dette di ” aggiustamento strutturale” resero “lo sviluppo” dei paesi “aiutati” ancor più “integrato”, cioè sottomesso agli interessi dei poteri economici e finanziari forti dell’Occidente, indebolendo persino le classi privilegiate locali in un contesto di crescente e definitivo indebitamento dei paesi ” in via di sviluppo” nei confronti della finanza mondiale occidentale. La liberalizzazione ineguale e sbilanciata del commercio internazionale, la generalizzazione dei diritti di proprietà intellettuale sui semi e, in generale, sul capitale biotico terrestre, in mano delle grandi imprese multinazionali occidentali, e lo spostamento della produzione “industriale” dai paesi dell’Occidente verso gli altri continenti in condizioni vantaggiose per l’Occidente, hanno completato i meccanismi di produzione ed espansione delle ineguaglianze socio-economiche e politico-culturali nel mondo. Ciò, nel contesto di una pretesa ” integrazione economica globale (2).

L’ emergenza ” di isole forti di ricchezza in Cina, India, Russia,Brasile all’insegna dell’economia di mercato, dei consumi di massa e dell’espansione della finanza capitalista globale, in congiunzione al mantenimento e/o rafforzamento di profonde e crescenti disuguaglianze interne, rappresentano il consolidamento dell’«integrazione» di detti paesi, anche in posizione di forza, nel sistema economico di mercato capitalista “globale”. Un sistema strutturalmente produttore d’ineguaglianze e d’ingiustizia, specie in assenza di un Welfare mondiale (all’europea). (3) Si é trattato della concretizzazione dello scenario “Arcipelago Mondo” identificato come uno scenario fra i più plausibili e probabili agli inizi degli anni ’90 dall’équipe FAST (Forecasting and Assessment in Science and Technology ) della Commissione europea (Comunità europee) a Bruxelles, da me diretta tra il 1979 ed il 1994. (4) In effetti, è successo pari-tempo in Occidente, che i principi, le regole e gli strumenti del Welfare di tipo europeo sono stati, a partire dagli anni ’70, messi in discussione, poi rigettati e smantellati, anche nei paesi scandinavi. Gli anni ’90 ed il primo decennio di questo secolo sono stati gli anni della definitiva demolizione non solo dello Stato del Welfare ma anche della Società del Welfare .
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Questo è il nocciolo della questione. I giochetti sui numeri sono uno strumento mistificatore in mano ai gruppi dominanti per manipolare la percezione della realtà. La realtà è pero’ più forte dei giochetti come dimostrano altresì due importanti “cambi epocali”, fra molti altri, ma che a mio avviso illustrano in maniera forte la natura e le modalità di espressione dell’impostura sulla povertà. Il primo é rappresentato dai “working poor“. L’impoverimento strutturale non è più un fenomeno per coloro che non hanno o non trovano lavoro e, quindi, in assenza di sicurezza sociale, non hanno accesso ad un reddito “decente”. Per decenni, vuoi secoli, lavoro e reddito sono stati strettamente collegati. Niente lavoro “remunerato”, niente reddito. Oggi anche coloro che hanno un lavoro remunerato sono considerati “poveri”. Perché anche il lavoro remunerato è diventato insicuro, mal o inadeguatamente remunerato, precario, flessibile, indifeso dalle leggi e da istituzioni corrispondenti, La loro percentuale sulle famiglie considerate povere è piuttosto elevata specie negli Stati Uniti, in Italia, in Canada, in Spagna (21). Si continua a parlare di lavoro ma si riconosce che il lavoro non garantisce più l’accesso ad un reddito “decente” per vivere. Inoltre, è raro che le classi dirigenti di oggi affermino che i “working poor” possano o siano destinati rapidamente o a termine di (ri) diventare “working rich”. Anzi i pontefici dell’economia dichiarano che le società “sviluppate” non sono più in grado di assicurare la piena occupazione e che occorre accettare il fatto che la “crescita economica” si farà nel corso dei prossimi tre/quattro decenni con una disoccupazione strutturale tra il 10 ed il 15% della popolazione in età lavorativa, ammettendo così che la “crescita” non sarà la crescita del reddito da lavoro ma del reddito da capitale. Si ha l’impressione che “i working poor” siano diventati una forma di status sociale come “i disoccupati”, ‘i disabili’, i “lavoratori stagionali”, gli “anziani” (22). In Italia, l’impostura è un atto di cui noi tutti possiamo essere considerati autori e responsabili perché il nostro paese è uno dei pochi al mondo che ha stabilito nella sua legge fondamentale, la Costituzione, che esso è una repubblica fondata sul lavoro (sui diritti ed i doveri del lavoro) Non v’è altro termine più appropriato di “impostura collettiva” per designare la situazione attuale dell’Italia che da anni ha demolito l’intero assetto legislativo, economico, sociale e politico fondato sul lavoro e sul diritto/dovere del lavoro.


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Re: Ineguaglianza globale

Messaggioda franz il 02/03/2014, 10:48

Petrella ha scritto:In effetti, è successo pari-tempo in Occidente, che i principi, le regole e gli strumenti del Welfare di tipo europeo sono stati, a partire dagli anni ’70, messi in discussione, poi rigettati e smantellati, anche nei paesi scandinavi

Riccardo (lo chiamo cosi' perché l'ho conosciuto personalmente nel 1995 - se ricordo bene - ed abbiamo discusso di queste ed altri temi a margine di un convegno) sembra dimenticare che detta messa in discussione, non che rigetto e smantellamento, è avvenuto nei paesi scandinavi come scelta dell'elettorato, a piu' riprese. Naturalmente si puo' tentare di sostenere che un popolo che prima era saggio, in quanto socieldemocratico, poi è diventato di colpo idiota e vittima dalla disinformazione del capitalismo selvaggio, ma l'argomento non convince. Non convince soprattutto gli scandinavi. E tra l'altro da quelle parti si è liberalizzato molto ma senza smantellare la base del welfare.
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Re: Ineguaglianza globale

Messaggioda flaviomob il 28/03/2014, 17:36

Crisi economica: la strada è un ritorno al compromesso keynesiano?
di Sandro Trento | 28 marzo 2014


Nel 1943 Michal Kalecki pubblicò un interessante e lungimirante articolo su Political Aspects of Full Employment nel quale spiegava come la ricetta keynesiana per la piena occupazione si sarebbe scontrata con l’opposizione dei capitalisti. La politica keynesiana in realtà avrebbe assicurato crescita economica, stabilizzazione del ciclo economico e pieno impiego per i lavoratori. Kalecki però sosteneva che una situazione di vera e prolungata piena occupazione avrebbe comportato un rafforzamento dei lavoratori e dei sindacati: senza il rischio di disoccupazione i lavoratori avrebbero fatto crescere le richieste di aumenti salariali, di migliori condizioni di lavoro, di riduzione dell’orario, di maggiori garanzie. Dopo un persistente periodo di pieno impiego i lavoratori avrebbero dimenticato le paure e le difficoltà legate alla disoccupazione e sarebbero diventati arroganti, avrebbero preteso una fetta via via più grande della torta distributiva. La stessa disciplina sul posto di lavoro avrebbe potuto saltare. Questo scenario avrebbe condotto a uno scontro distributivo tra lavoro e capitale. I datori di lavoro quindi possono temere – secondo Kalecki – la politica economica keynesiana perché essa rafforza il lavoro e crea le condizioni per richieste crescenti da parte dei lavoratori.

La domanda, quindi, è: il capitalismo è compatibile con il pieno impiego? Dopo una fase di pieno impiego non si rischia che a seguito del conflitto sociale il capitale, sentendosi minacciato, cerchi di ripristinare la disciplina? Secondo Kalecki, infatti, il capitale avrebbe dovuto mantenere una certa quota di disoccupazione strutturale che servisse da monito agli occupati a non eccedere nelle loro richieste. Questo a sua volta avrebbe richiesto che i capitalisti impedissero allo Stato di promuovere la piena occupazione.

Questa situazione descritta da Kalecki è ciò che effettivamente accadde a fine degli Anni ’60. La grande fiammata di scioperi e di scontri tra lavoro e capitale che ebbe luogo tra il 1969 e il 1975 ebbe la natura di una sorta di rivoluzione delle aspettative crescenti. Aumenti salariali, nuove condizioni di lavoro, statuti e norme a protezione degli occupati, rivendicazioni di cogestione delle imprese portarono a milioni di giornate di lavoro perse per scioperi e a una situazione di grave minaccia per gli equilibri delle imprese. Quelle aspettative potevano essere soddisfatte solo al prezzo di una profonda compressione dei profitti e di una trasformazione radicale dell’economia di mercato in un sistema sottoposto a norme, a politiche pubbliche di vera pianificazione soggette a ulteriori pressioni da parte degli elettori.

Gli Anni ’70 furono anni di elevata inflazione, riflesso di questo scontro distributivo acceso e inarrestabile. Si pensi che in Italia nel 1980 l’inflazione era al 21 per cento, nel Regno Unito al 14 per cento. Quella stagione di rafforzamento del lavoro condusse allo “sciopero del capitale” e alla svolta liberista del 1979 negli Stati Uniti (Ronald Reagan) e poi nel Regno Unito (Margaret Thatcher) e poi progressivamente in molti altri paesi.

Quella svolta politica ed economica aveva l’obiettivo di restituire potere ai capitalisti, di ripristinare la disciplina in fabbrica, di tutelare gli azionisti, di ricreare condizioni adeguate per l’investimento privato e per il profitto. Furono privatizzati molti servizi e imprese pubbliche con l’obiettivo di renderli più efficienti e di ridurre il peso dello Stato. La concorrenza venne introdotta in molti settori che prima ne erano sprovvisti, dalla sanità all’istruzione ai servizi pubblici.

Quella lunga stagione 1980-2008 ha condotto a risultati misti, abbattimento dell’inflazione, crescita in molti paesi, soprattutto i paesi anglosassoni, grande diffusione di innovazioni tecnologiche, apertura dei mercati al commercio mondiale e “grande moderazione”: stabilità dei prezzi, moderazione salariale, minori oscillazioni del ciclo.

Di pari passo però si è enormemente accresciuta la diseguaglianza in tutti i paesi. Diseguaglianza di reddito, di ricchezza e di opportunità. Tramontava l’impegno preso dalle democrazie occidentali di assicurare lavoro a tutti, crescita economica, sicurezza sociale, minori disparità.

La crisi del 2008 che ancora esercita i suoi effetti è stata la prova del fatto che il ciclo non fosse finito, che il capitalismo rimane un sistema instabile e soggetto a crisi periodiche. La diseguaglianza è stata alla base della crisi finanziaria. Risolvere la crisi significa oggi ridurre le diseguaglianze.

Ci troviamo in una situazione di grave incertezza. E’ immaginabile un ritorno al compromesso keynesiano, come auspica parte della sinistra italiana ed europea? E’ credibile una proposta di aumento della spesa pubblica, di ritorno all’intervento pubblico in uno scenario in cui i debiti pubblici accumulati nei paesi sono prossimi o superiori al 100 per cento del Pil?

La lezione di Kalecki è superata? Assisteremo a una nuova oscillazione del pendolo?

Va trovata forse una nuova ricetta, bisogna essere coraggiosi e non sudditi del passato.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03 ... no/929672/


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Re: Ineguaglianza globale

Messaggioda Robyn il 28/03/2014, 19:32

Giusto,non bisogna avere nostalgie per il passato
Keynes diceva che il pieno impiego e la ripresa della domanda c'era o con l'aumento della spesa o stimolando la spesa privata con una minore tassazione.Quindi la teoria keynesiana deve invertire il suo paradigma.Keynes diceva però che il pieno impiego si sosteneva con il welfare state,edilizia sociale,indennità per i disoccupati,opere infrastrutturali che fossero in grado di stabilire il pieno impiego e la continuità del reddito e quindi la domanda anche durante i cicli di depressione.In merito alle crescenti rivendicazioni retributive dei lavoratori questi sanno che se il reddito deve essere più che sufficente non può eccedere oltre una certa soglia perche è l'economia di mercato che si è internazionalizzata e c'è più competizione.Per tutto il secolo scorso la teoria keynesiana si è sviluppata sull'aumento della spesa e del deficit pubblico,ma questo ha portato a delle crescenti incrinature,come l'inflazione e gli interessi sul debito.Però non è da sottovalutare che dietro la critica alla ricetta keynesiana si nascondano in verità solo tentativi di potere.Se le critiche ci sono anche sull'inversione del paradigma keynesiano che è sullo stimolo della spesa privata allora significa che ci sono delle pretese di potere che non hanno niente a che fare la democrazia.In merito a quelle aziende che non riescono ad essere competitive sul mercato le si può aiutare diminuendo il cuneo fiscale e gli altri adempimenti ma se non riescono a stare sul mercato non è che si può sacrificare tutto il sistema della democrazia e delle garanzie per fare un piacere a loro
Locke la democrazia è fatta di molte persone
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