La Comunità per L'Ulivo, per tutto L'Ulivo dal 1995
FAIL (the browser should render some flash content, not this).

Declino italiano

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Declino italiano

Messaggioda flaviomob il 10/02/2014, 21:19

Va’ dove ti porta Renzi – 1
di PierGiorgio Gawronski | 10 febbraio 2014


Perché le Nazioni declinano? In un bel libro recentemente uscito per Il Saggiatore Acemoglu e Robinson dimostrano che all’origine vi sono sempre istituzioni poco ‘inclusive’. Lo sostengo almeno dal 2007.

L’obiettivo N.1 dei politici è la conquista e la conservazione del potere. Dove la rappresentanza funziona, tutto dipende dal popolo; perciò avranno ogni incentivo a perseguire l’interesse generale. Dove la rappresentanza funziona poco e male gli interessi decisivi per la conquista del potere si restringono: la classe politica promuove interessi più ristretti, particolari, e l’arricchimento dei clientes. Come? Il modo più veloce ed efficace non è lo sviluppo economico, bensì redistribuire i redditi e le ricchezze esistenti… a scapito dei più.

In alcuni casi, è a livello macro che s’impongono politiche contrarie all’interesse generale. Questa situazione sembra verificarsi oggi in Italia. La richiesta principale dell’elettorato nel febbraio 2013 – l’occupazione, la crescita – non è la priorità dell’élite. Prevale un’altra volontà, quella dell’Europa neoliberista. Dietro alla quale ci sono non tanto differenze di opinioni fra economisti sul modo migliore per raggiungere obiettivi condivisi, bensì altri obiettivi, che Mario Monti riassumeva con l’espressione ‘crescita del PIL potenziale’. Nel linguaggio degli economisti, ciò indica non il pieno utilizzo delle ‘risorse’ produttive, bensì il miglioramento della produttività di quelli che un lavoro ce l’hanno; ovvero, l’ampliamento della capacità produttiva del paese, a prescindere dal fatto se essa viene utilizzata o meno. Da qui l’accento sulle riforme strutturali. Il problema è che la capacità produttiva, se è inutilizzata, non regge a lungo: se alla recessione non segue una ripresa rapida e forte, i capannoni cadono in disuso, il know-how, il credito, si restringono, i giovani se ne vanno, i debiti crescono… e il paese muore soffocato.

Ora sappiamo che la ripresa ‘forte e rapida’ non c’è stata e non ci sarà: secondo la BCE, fra due anni la disoccupazione Europea sarà grosso modo sui livelli attuali (e finora ha sempre peccato di ottimismo). Il film ‘Smetto quando voglio’ racconta con divertente, drammatica ironia il punto di vista dei nostri giovani, costretti chi ad emigrare nei posti più strani, chi a vivere di espedienti e, privo di speranza, incattivirsi. Il PIL ‘potenziale’ – lungi dal ‘crescere’ – è crollato del 5% circa (lo dice la Commissione Europea).

Quando una politica fallisce, le nazioni che non declinano sono in grado di cambiare strada (e classe dirigente). Ma non a caso. Nel 2008 il crollo di Lehman rivelò la gravità del fallimento delle politiche di Bush e Greenspan: l’America si affidò ad un progetto alternativo credibile, chiaro e dettagliato, di un tal Obama. Il quale a sua volta nel 2012 è stato sottoposto a un severo scrutinio dagli elettori: le esitazioni del 2010-11 stavano per costargli care. Ma le sue politiche moderatamente keynesiane (deficit pubblico sopra al 10% del PIL nel 2009 e 2010) mostrano risultati: a fine anno il PIL supererà del 10% quello del 2008, il deficit sarà al 3%, la disoccupazione al 6,5%.

Perché invece in Italia/Europa le politiche macroeconomiche non cambiano? Perché le finalità, le priorità politiche, per quanto impopolari, non cambiano. Dietro all’obiettivo della crescita del ‘PIL potenziale’ c’è un progetto – nel migliore dei casi, paternalistico, di alcune élite minoritarie – di trasformazione radicale delle nostre società: meno Stato (privatizzazioni), meno welfare (tagli alla sanità), meno tutele (nuove liberalizzazioni del mercato del lavoro), meno democrazia (Fiscal Compact), più Europa (‘l’Euro ce l’impone’). Il progetto si può condividere o meno (sicuramente conviene più alle élite auto-tutelate, che a tutti gli altri); ma viene promosso non grazie al consenso bensì attraverso il ricatto (della BCE sugli spread), l’uso strumentale dell’urgenza (siamo sull’orlo dell’abisso, bisogna fare un passo avanti…, presto, presto…), dell’Europa (‘ce lo impone l’Europa’), le ‘Leggi Porcellum’, innestate sulla flagrante violazione dell’Art.49 Cost. (democrazia nei partiti), le altissime barriere all’ingresso in politica. È consentito risolvere la crisi occupazionale e del PIL reale? Sì, ma solo attraverso una trasformazione ‘strutturale’ (in senso liberista) della società; le soluzioni facili, veloci (come le politiche di domanda, o un tasso d’inflazione un po’ più alto in Europa) non sono ammesse.

In altri casi, è a livello microeconomico che si fanno politiche ad particularem, contro l’interesse generale: le rendite oligopolistiche (autostrade) o improduttive (costi della politica), la politicizzazione delle carriere nella PA, sono solo alcuni ben noti esempi. Non si tratta di politiche solo parassitarie, ma anche distorsive: incentivano iniziative (improduttive) per assicurarsi queste rendite tramite legami politici o di altra natura che distruggono la selezione meritocratica. Tali distorsioni rallentano la produttività (essenziale per la crescita in piena occupazione). Il risultato è una società dove gli incarichi non sono distribuiti in base alle capacità, ai vantaggi comparati, dove insomma non ti lasciano fare quello che sai fare; una società depressa, poco innovativa, divisa fra privilegiati e outsiders, nemica dei giovani e dell’innovazione.

Se davvero alla radice dei nostri guai ci sono gli incentivi perversi di un sistema politico in larga misura sfuggito al controllo del corpo elettorale (ma ancora non completamente), dobbiamo chiederci quali riforme istituzionali possono aiutarci a cambiare strada, e quali invece aggraverebbero la situazione. Secondo Acemoglu e Robinson, tutte le riforme che creano istituzioni più ‘inclusive’, che allargano la rappresentanza, che aumentano il controllo della gran parte dei cittadini sull’operato dei politici, sono positive; e viceversa. Perciò la domanda è: le riforme istituzionali ed elettorali proposte da Renzi in che direzione spingono il sistema politico italiano? Cosa viene dopo? A quali politiche economiche preludono, e sono funzionali? Perché? Miglioreranno la situazione dell’Italia, o la aggraveranno?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02 ... -1/875968/


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Declino italiano

Messaggioda trilogy il 11/02/2014, 13:14

Economia
11/02/2014 - il caso
“Italia addio, negli Usa si corre”

La fabbrica di piastrelle di Del Conca aperta in 10 mesi. A Rimini aspetta da 10 anni

sandra riccio

L’accoglienza al business, agli imprenditori che vogliono creare nuovi posti di lavoro e alle aziende che investono, passa anche per una strada nuova di zecca intitolata all’impresa da ricevere sul territorio. E da poco sulle mappe stradali della città di Loudon, nel Tennessee, Sud-Est degli Stati Uniti, è spuntata la Del Conca Way. Porta il nome di una delle principali realtà industriali del comparto ceramico italiano che da ieri produce anche in America.


Il nuovo impianto è partito in tempi record, in confronto con quel che invece avviene (o non avviene) in Italia. Sì, perché ci sono voluti appena 10 mesi per realizzare il mega-sito che ieri ha iniziato a cuocere le prime piastrelle hi-tech per il mercato Usa, un complesso da 30 mila metri quadrati per un investimento iniziale da 50 milioni di euro e 100 nuovi posti di lavoro a cui se ne aggiungeranno presto altri 70.

Tempi rapidissimi per un sito che quest’anno fatturerà già 10 milioni di euro e che nel 2015, a pieno regime, diventeranno 30. In Italia invece il gruppo sta aspettando da ben dieci anni una variante al piano regolatore per poter ampliare il suo stabilimento di San Clemente, nell’entroterra riminese. «Dopo due lustri e 10 milioni di investimento siamo ancora al punto di partenza, o quasi. Nel frattempo ne sono passate di opportunità» racconta Enzo Donald Mularoni, ad del gruppo.

Gli americani invece hanno saputo creare le occasioni. Per la città di Loudon Del Conca significa nuovi posti di lavoro e tasse pagate sul territorio. «Hanno semplicemente fatto quel che loro ritengono sia normale nel rapporto tra istituzioni e imprese determinate a investire», dice Mularoni che racconta: «A un certo punto eravamo contesi tra due Stati perché a volerci c’era anche la Georgia. Alla fine mi ha convinto la telefonata arrivata, nell’agosto del 2012, dal governatore del Tennessee, Bill Haslam, che mi ha chiamato personalmente per dirmi che il nostro progetto gli piaceva e che avrebbe messo a nostra disposizione tutto quel che ci serviva». In poco tempo è arrivato un assistente dedicato soltanto alla pratica Del Conca e alla risoluzione di tutti i problemi burocratici che potevano presentarsi lungo il cammino. Con tanto di elicottero per poter avere una panoramica anche dall’alto del sito. L’acquisto del terreno è stato fatto quattro mesi dopo e nell’aprile dell’anno scorso sono partiti i lavori di costruzione.

«Anche in America ci sono gli ostacoli, ma si risolvono in poco tempo, da noi invece è un groviglio di funzionari, organismi, tavoli, consessi che devono decidere ma poi rimandano di volta in volta. Il problema è il sistema Italia», dice Mularoni, seconda generazione a capo del gruppo di famiglia fondato nel 1979. Di intoppi ne ha visti tanti. L’impianto in Tennessee sarà guidato dal figlio Paolo. Il cuore e la testa dell’azienda resteranno in Italia «perché è il luogo del sapere e del saper fare questo prodotto» ci tiene a dire Mularoni.

Ci sono già altre imprese del distretto della ceramica che si stanno muovendo verso gli Usa. Tre hanno fatto lo stesso passo e altre due sono in manovra. A convincerle non è tanto la fiscalità più bassa quanto la facilità di operare. «Non ci hanno convinto i crediti di imposta, o i benefit come la costruzione di strade o il movimento terra - dice Mularoni -. A farci andare in America è stato piuttosto il fatto che ci abbiano messo in condizione di agire in poco tempo». Oggi una vera risorsa per un’impresa italiana.
fonte:
http://www.lastampa.it/2014/02/11/econo ... agina.html
Avatar utente
trilogy
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 4746
Iscritto il: 23/05/2008, 22:58

Re: Declino italiano

Messaggioda franz il 11/02/2014, 16:08

flaviomob ha scritto:Va’ dove ti porta Renzi – 1
di PierGiorgio Gawronski | 10 febbraio 2014
Perché invece in Italia/Europa le politiche macroeconomiche non cambiano?

Proabilmente i paragoni tra le scelte americane e quelle europee andrebbero fatte considerando tutti i dati, non solo quelli che fanno comodo a PierGiorgio. Per esempio la pressione fiscale. In Europa prevale il "meno stato" perché lo stato è veramente "troppo", diversamente dagli stati uniti (57'000 dollari di reddito medio procapite PPP, imposte 15.2% meglio 22% considerando il welfare previdenziale). L'europa viaggia sui 34'100 dollari procapite PPP e la pressione fiscale UE-26 è 40.5%
Ovvio che in USA possano permettersi politiche che in Europa sono improponibili e che in Europa prevalgano tendenze al dimagrimento di stati pachidermici. E che imprese italiane scappino addirittura fino in USA.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Declino italiano

Messaggioda flaviomob il 26/04/2014, 14:59



"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Declino italiano

Messaggioda franz il 26/04/2014, 16:36

Ma come mai la "sinistra in rete" insegue questi pseudo-economisti leghisti antieuro? Uno dei due piu' famosi (borghi) è anche il lista con la Lega. L'altro (bagnai) è corteggiato e l sue tesi sono portate in palmo di mano da Salvini. Secondo me che chi scrive di "economia per stupidotti" (Goofynomics) ed infarcisce i suoi scritti con espressioni che sono materia per uno psichiatra, puo' essere apprezzato appunto da stupidotti o da borderine sui pari, e non da persone serie.
Non c'è argomento serio di discussione. Tra di noi si è disccusso abbastanza di produttività e di competitività per capire quale è la causa del declino italiano.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Declino italiano

Messaggioda flaviomob il 27/04/2014, 0:34

Potranno essere stupidotti, ma io a Milano pago un biglietto del tram 1,50 euro (quasi 3000 lire) quando prima dell'euro costava 1500 lire. Pago la benzina 1,7 euro al litro (oltre 3000 lire) mentre quindici anni fa la pagavo 1.815 lire.
Il pane 4000 lire (in panetteria), oggi minimo 3 euro al chilo (all'ipermercato).
Quasi raddoppiato anche il prezzo del caffè al bar (da 1.200 lire a 1 euro), il pedaggio autostradale, etc.

Certo la colpa è nostra, di chi ci ha governato, non dell'euro. Ma l'ingresso nell'euro è stato un processo complesso e non governarlo adeguatamente ha determinato un crollo nel potere d'acquisto del ceto medio, a cui poi si è sommata la crisi finanziaria importata dagli USA e la crisi del debito sovrano.

Come ho già scritto, l'euro funziona se si è bravi a farlo funzionare. Noi non siamo bravi.

_____


LO SPRECO Italia incapace anche di spendere: dimenticati a Bruxelles 30 miliardi

Così buttiamo i fondi europei: non li chiediamo o li usiamo male
di Emanuele Bonini

BRUXELLES, 26 APRILE 2014 - L’ITALIA, per ritardi o errori, rischia di perdere miliardi di euro per mancata erogazione di fondi comunitari. È un calcolo non semplice da fare con precisione, ma dall’esito certo: l’Unione europea stanzia fondi per il finanziamento di progetti e programmi di varia natura, ma l’Italia non si fa trovare pronta. Nel campo della ricerca l’Italia ha contribuito al 14% delle risorse del FP7, il programma quadro di ricerca per il periodo 2007-2013, ma ne ha sfruttato solo l’8%. Tradotto in cifre, in media abbiamo perso circa 500 milioni di euro l’anno tra domande non idonee o consegnate oltre i termini, per un totale di circa 3,5 miliardi di risorse perdute. Praticamente abbiamo incassato la metà di quello che avremmo potuto, dato che nei sette anni di riferimento l’Italia ha ricevuto circa 3,5 miliardi sui 38,5 complessivi del fondo europeo. «Nel complesso per livelli di finanziamento all’Italia non è andata male, ma ci sono comunque margini di miglioramento», sostiene Michael Jennings, portavoce del commissario europeo per la Ricerca, Maire Geoghegan-Quinn.

PIÙ ALTE rischiano di essere le perdite per i fondi strutturali. Qui il tallone d’achille è noto: l’Italia ottiene i fondi, ma o li spende male o non li spende affatto e deve restituirli. A oggi l’Italia ha perso 33 milioni di euro dal fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) per la mancata attuazione del programma operativo interregionale “Attrattori culturali”, ma il problema vero è che dopo sette anni dall’avvio del Fesr 2006-2013 l’Italia ha speso solo il 51,9% dei fondi chiesti e ottenuti. Insomma, bisogna spendere poco più di 16 miliardi entro il 2015. A differenza del fondo per la ricerca, i fondi regionali prevedono l’utilizzo dei soldi fino a due anni dopo la fine del ciclo di programmazione.

PER QUESTO la direzione generale per le Politiche regionali preferisce non sbilanciarsi, anche se fonti interne alla Commissione sostengono che l’Italia rischia di perdere tra uno e due miliardi di euro. Se così fosse, considerati i 3,5 miliardi di soldi già non sfruttati nella ricerca, il saldo negativo dell’Italia potrebbe oscillare tra i 4,5 e 5,5 miliardi. Ma non finisce qui, perché il Fesr non è che uno dei tre fondi strutturali per lo sviluppo regionale: ci sono anche il Fondo di coesione (per la promozione del territorio) e il fondo sociale europeo (per l’occupazione). Complessivamente l’andamento dell’Italia sull’utilizzo dei fondi europei per lo sviluppo regionale parla chiaro: 49,63% contro una media Ue del 66,29%. L’obiettivo è dunque fare meglio per il settennio 2014-2020, tenendo a mente che nel caso dei fondi strutturali l’Ue cofinanzia gli interventi: ciò vuol dire che una parte della somma necessaria la mette l’Europa, e una parte la mette l’Italia. Per cui se per via del patto di stabilità e l’elevato debito pubblico le amministrazioni non possono erogare il denaro, automaticamente si perde la quota europea. La perdita stimata da 5,5 miliardi, di per sé non indifferente, potrebbe crescere ancora di più: si tratta infatti di quote riferite a una parte dei programmi di finanziamento europei, quelli che dipendono dalle direzioni generali Ricerca e Politiche regionali. Complessivamente i fondi ancora inutilizzati ammontano a 30 miliardi di euro, inclusi quelli di cui si è parlato. Cattiva gestione dei fondi, vincoli di bilancio, domande di partecipazione presentate troppo tardi.

L’ITALIA perde soldi e terreno per questi motivi, ma c’è un fenomeno difficile da mappare che è quello delle risorse non spese perché mai chieste. La Commissione europea non può dire chi in Italia non faccia domanda, in Italia gli enti locali nemmeno, dato che spesso sono i privati (centri di ricerca, fondazioni, imprese, agricoltori) che si attivano. La direzione generale per l’Agenda digitale, pur non fornendo cifre, fa notare che se in Italia c’è forse poca attenzione per i fondi europei sicuramente c’è poca per certe aree quali la banda larga. Siamo ultimi per rete internet veloce (quella che trasmette informazione ad una velocità pari ad almeno 30 Mbps), e solo il 5% delle nostre imprese fa affari vendendo on line (peggio di noi solo la Bulgaria) contro il 26% delle imprese di Danimarca e il 27% di quelle di Svezia, i due esempi d’eccellenza. L’Ue ha appena bandito un concorso da 100.000 euro per lo sviluppo del portale europeo della banda larga. Il bando si trova su internet (http://ec.europa.eu/digital-agenda/en/n ... t-20140015) e scade il 12 maggio. Un promemoria prezioso, soprattutto per l’Italia.

di Emanuele Bonini

http://qn.quotidiano.net/primo_piano/20 ... dere.shtml


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
flaviomob
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 12889
Iscritto il: 19/06/2008, 19:51

Re: Declino italiano

Messaggioda franz il 27/04/2014, 9:29

flaviomob ha scritto:Certo la colpa è nostra, di chi ci ha governato, non dell'euro. Ma l'ingresso nell'euro è stato un processo complesso e non governarlo adeguatamente ha determinato un crollo nel potere d'acquisto del ceto medio, a cui poi si è sommata la crisi finanziaria importata dagli USA e la crisi del debito sovrano.

Come ho già scritto, l'euro funziona se si è bravi a farlo funzionare. Noi non siamo bravi.

Il problema è che non saremmo (stati) bravi nemmeno fuori dall'euro. E non lo saremo domani. Anzi faremmo peggio perché almeno l'Euro ci ha "regalato" un certo numero di anni a tassi bassissimi, facedoci risparmiare tra 500 e 700 miliardi di interessi (e relative tasse). Credo che il crollo del potere d'acquisto fuori dall'euro sarebbe stato (e sarà, se usciremo) decine di volte peggiore di quello che abbiamo avuto con il pessimo passaggio, gestito dal governo Berlusconi.
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)
Avatar utente
franz
forumulivista
forumulivista
 
Messaggi: 22077
Iscritto il: 17/05/2008, 14:58

Re: Declino italiano

Messaggioda trilogy il 27/04/2014, 12:49

flaviomob ha scritto:LO SPRECO Italia incapace anche di spendere: dimenticati a Bruxelles 30 miliardi[/size]
Così buttiamo i fondi europei: non li chiediamo o li usiamo male
di Emanuele Bonini

[..]Nel campo della ricerca l’Italia ha contribuito al 14% delle risorse del FP7, il programma quadro di ricerca per il periodo 2007-2013, ma ne ha sfruttato solo l’8%. Tradotto in cifre, in media abbiamo perso circa 500 milioni di euro l’anno tra domande non idonee o consegnate oltre i termini, per un totale di circa 3,5 miliardi di risorse perdute. Praticamente abbiamo incassato la metà di quello che avremmo potuto, dato che nei sette anni di riferimento l’Italia ha ricevuto circa 3,5 miliardi sui 38,5 complessivi del fondo europeo.[..]


Questa analisi è imprecisa per vari motivi. Il primo è che non esistono domande "consegnate oltre i termini"
questo perché le proposte vengono presentate on-line, alla scadenza il sistema si disconnette, se qualcuno arriva in ritardo semplicemente non esiste. Il problema del basso ritorno finanziario italiano in questo settore è dato da vari fattori: abbiamo meno ricercatori di altri grandi paesi; abbiamo imprese mediamente più piccole degli altri (grande impresa = grande progetto=grande costo); abbiamo stipendi mediamente più bassi (alti stipendi = alti rimborsi); abbiamo una serie di norme nazionali che disincentivano la partecipazione. rispetto ai fondi strutturali questo settore non ha quote pre-assegnate per paese, la competizione è sulla qualità dei progetti in teoria 3 paesi potrebbero prendere tutti i fondi disponibili.

flaviomob ha scritto:
di Emanuele Bonini

PIÙ ALTE rischiano di essere le perdite per i fondi strutturali. Qui il tallone d’achille è noto: l’Italia ottiene i fondi, ma o li spende male o non li spende affatto e deve restituirli. A oggi l’Italia ha perso 33 milioni di euro dal fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) per la mancata attuazione del programma operativo interregionale “Attrattori culturali”, ma il problema vero è che dopo sette anni dall’avvio del Fesr 2006-2013 l’Italia ha speso solo il 51,9% dei fondi chiesti e ottenuti. Insomma, bisogna spendere poco più di 16 miliardi entro il 2015. A differenza del fondo per la ricerca, i fondi regionali prevedono l’utilizzo dei soldi fino a due anni dopo la fine del ciclo di programmazione....


Qua il problema grande è la burocrazia nazionale, che si somma ai regolamenti comunitari già complessi per loro natura, e ai problemi di co-finanziamento. In media l'UE mette il 50% lo Stato l'altro 50%. In comune con le risorse della Ricerca c'è la carenza nazionale di costruire progetti credibili e procedure semplici e corrette per realizzarli.
Avatar utente
trilogy
Redattore
Redattore
 
Messaggi: 4746
Iscritto il: 23/05/2008, 22:58


Torna a Economia, Lavoro, Fiscalità, Previdenza

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 16 ospiti

cron