Pensioni d'oro: buon senso ed equità

Pensioni d'oro: buon senso ed equità
Pubblicato: Sab, 17/08/2013 - 18:00 • da: Alessandro De Nicola
dal Blog das Kapital
"There is not such a thing as a free lunch", non esistono pasti gratis, é un motto reso popolare dal premio Nobel Milton Friedman.
Si tratta di una verità intuitiva che sembra sfuggire solo ai politici, i quali amano promettere benefici a destra e a manca a spese di non si sa chi. In Italia il tema é all'ordine del giorno ed é ben rappresentato dal dibattito intorno alle pensioni d'oro. Basta farsi un giretto su un qualsiasi social network e uno degli argomenti più gettonati è proprio questo: si fanno nomi e cognomi di coloro i quali percepiscono un altissimo vitalizio, di solito ricoprendo di improperi loro, la classe politica e la Corte Costituzionale che ha bocciato il contributo straordinario deciso dal governo Monti del 5% per le pensioni sopra ai 90.000 euro l'anno e del 10% per la parte superiore ai 150.000 euro.
Ora, una proposta di legge elaborata dal senatore Pietro Ichino, insieme ad Irene Tinagli e Giuliano Cazzola, riporta un po' di buon senso alla discussione. In poche parole, i proponenti distinguono tra chi percepisce un elevato vitalizio perché nel corso della propria vita lavorativa ha versato sufficienti contributi per meritarselo e chi invece no. Nessuno avrebbe niente da obiettare se il sig. Tizio, dopo 40 anni di onorata carriera dirigenziale, avendo versato qualche milione di euro in un fondo pensionistico privato si godesse i frutti della sua parsimoniosità ricevendo in cambio cospicue somme annuali calcolate dagli attuari del fondo. Ebbene, ciò non dovrebbe scandalizzare nemmeno se al posto del fondo privato ci fosse l'INPS.
Lo Stato tosa i redditi alti con l'Irpef progressiva e negando loro qualsiasi tipo di agevolazione (dall'università dei figli all'estensione dei ticket): non c'è ragione che si appropri anche di quanto risparmiato attraverso i contributi previdenziali (salvo una minima quota di solidarietà che in alcuni casi, ad esempio le casse previdenziali professionali, assume invece i contorni di quasi un esproprio). Tutt'altro discorso si può fare per il sig. Caio il quale, avendo goduto in passato del sistema pensionistico retributivo (ora sostituito dal contributivo), percepisce un assegno pensionistico molto più alto rispetto ai contributi versati. Come è possibile? Semplice, col sistema retributivo la pensione si calcolava avendo come base di riferimento gli ultimi 10 anni di attività lavorativa, periodo in cui, col crescere dell'anzianità di servizio, in genere si guadagna di più che nella media dei precedenti 20, 25 o 30 anni. Questo è il vero scandalo che viene difeso con il mantra dei "diritti quesiti". Più che diritti quesiti a me sembrano "privilegi carpiti" e comunque cosa dovrebbero dire coloro i quali avevano l'aspettativa di andare in pensione a 58 anni e invece ci andranno più tardi? Per loro non vale la favola dei diritti quesiti? Ecco perché la proposta di Ichino, Tinagli e Cazzola di imporre un contributo solo su quelle pensioni d'oro che non riflettono i contributi versati, dovrebbe sgombrare il campo da accuse di incostituzionalità (non solo non si commette un'ingiustizia, ma si ripara ad una esistente per la quale a parità di contributi c'è chi prende di più e chi di meno), ed in più é decisamente sensata (anche se, a voler essere precisi, l'applicazione in modo retroattivo del sistema contributivo sarebbe ancor migliore: pare tuttavia che ciò sollevi altri dubbi di costituzionalità).
Un solo caveat: qualsiasi contributo straordinario, per quanto equo come in questo caso, equivale ad un'entrata supplementare per le casse dello Stato, ad una tassa insomma. Non ce n'è bisogno: quindi la proposta dovrebbe essere corredata da una clausola automatica per la quale qualsiasi centesimo recuperato dall'imposta sulle super-pensioni "parassitarie" sia destinato ad abbassare l'Irpef per i redditi bassi. Il buon senso é benvenuto, ma senza bisogno di far ingrassare ulteriormente il Leviatano
Twitter @aledenicola
Pubblicato: Sab, 17/08/2013 - 18:00 • da: Alessandro De Nicola
dal Blog das Kapital
"There is not such a thing as a free lunch", non esistono pasti gratis, é un motto reso popolare dal premio Nobel Milton Friedman.
Si tratta di una verità intuitiva che sembra sfuggire solo ai politici, i quali amano promettere benefici a destra e a manca a spese di non si sa chi. In Italia il tema é all'ordine del giorno ed é ben rappresentato dal dibattito intorno alle pensioni d'oro. Basta farsi un giretto su un qualsiasi social network e uno degli argomenti più gettonati è proprio questo: si fanno nomi e cognomi di coloro i quali percepiscono un altissimo vitalizio, di solito ricoprendo di improperi loro, la classe politica e la Corte Costituzionale che ha bocciato il contributo straordinario deciso dal governo Monti del 5% per le pensioni sopra ai 90.000 euro l'anno e del 10% per la parte superiore ai 150.000 euro.
Ora, una proposta di legge elaborata dal senatore Pietro Ichino, insieme ad Irene Tinagli e Giuliano Cazzola, riporta un po' di buon senso alla discussione. In poche parole, i proponenti distinguono tra chi percepisce un elevato vitalizio perché nel corso della propria vita lavorativa ha versato sufficienti contributi per meritarselo e chi invece no. Nessuno avrebbe niente da obiettare se il sig. Tizio, dopo 40 anni di onorata carriera dirigenziale, avendo versato qualche milione di euro in un fondo pensionistico privato si godesse i frutti della sua parsimoniosità ricevendo in cambio cospicue somme annuali calcolate dagli attuari del fondo. Ebbene, ciò non dovrebbe scandalizzare nemmeno se al posto del fondo privato ci fosse l'INPS.
Lo Stato tosa i redditi alti con l'Irpef progressiva e negando loro qualsiasi tipo di agevolazione (dall'università dei figli all'estensione dei ticket): non c'è ragione che si appropri anche di quanto risparmiato attraverso i contributi previdenziali (salvo una minima quota di solidarietà che in alcuni casi, ad esempio le casse previdenziali professionali, assume invece i contorni di quasi un esproprio). Tutt'altro discorso si può fare per il sig. Caio il quale, avendo goduto in passato del sistema pensionistico retributivo (ora sostituito dal contributivo), percepisce un assegno pensionistico molto più alto rispetto ai contributi versati. Come è possibile? Semplice, col sistema retributivo la pensione si calcolava avendo come base di riferimento gli ultimi 10 anni di attività lavorativa, periodo in cui, col crescere dell'anzianità di servizio, in genere si guadagna di più che nella media dei precedenti 20, 25 o 30 anni. Questo è il vero scandalo che viene difeso con il mantra dei "diritti quesiti". Più che diritti quesiti a me sembrano "privilegi carpiti" e comunque cosa dovrebbero dire coloro i quali avevano l'aspettativa di andare in pensione a 58 anni e invece ci andranno più tardi? Per loro non vale la favola dei diritti quesiti? Ecco perché la proposta di Ichino, Tinagli e Cazzola di imporre un contributo solo su quelle pensioni d'oro che non riflettono i contributi versati, dovrebbe sgombrare il campo da accuse di incostituzionalità (non solo non si commette un'ingiustizia, ma si ripara ad una esistente per la quale a parità di contributi c'è chi prende di più e chi di meno), ed in più é decisamente sensata (anche se, a voler essere precisi, l'applicazione in modo retroattivo del sistema contributivo sarebbe ancor migliore: pare tuttavia che ciò sollevi altri dubbi di costituzionalità).
Un solo caveat: qualsiasi contributo straordinario, per quanto equo come in questo caso, equivale ad un'entrata supplementare per le casse dello Stato, ad una tassa insomma. Non ce n'è bisogno: quindi la proposta dovrebbe essere corredata da una clausola automatica per la quale qualsiasi centesimo recuperato dall'imposta sulle super-pensioni "parassitarie" sia destinato ad abbassare l'Irpef per i redditi bassi. Il buon senso é benvenuto, ma senza bisogno di far ingrassare ulteriormente il Leviatano
Twitter @aledenicola