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Le riforme e il debito

MessaggioInviato: 20/06/2013, 7:45
da flaviomob
http://keynesblog.com/2013/06/19/le-rif ... #more-4419

..A distanza di tre anni, l’esperienza della Grecia parla da sé. Come ribadisce un nuovo report del Fmi, le riforme strutturali non sono riuscite a produrre gli effetti desiderati, in parte perché sono andate incontro a difficoltà politiche e di implementazione e in parte perché il loro potenziale di incrementare la crescita nel breve termine è stato ingigantito. Né tanto meno hanno funzionato le riforme del mercato del lavoro in Spagna. Niente di tutto questo giunge a sorpresa. Le riforme strutturali aumentano la produttività in pratica attraverso due canali complementari. Il primo: i settori a bassa produttività tagliano sulla manodopera. Il secondo: i settori ad alta produttività espandono e assumono più manodopera. Entrambi i processi sono necessari per far sì che le riforme aumentino la produttività a livello dell’intero sistema economico.

Ma quando la domanda aggregate è depressa – come nel caso della periferia europea – il secondo meccanismo, alla meglio, funziona a fatica. È facile capire perché: semplificare le procedure di licenziamento o l’avvio di nuove attività ha scarsi effetti sulle assunzioni quando le aziende hanno già un eccesso di capacità e difficoltà a trovare clienti. Dunque otteniamo soltanto il primo effetto, e quindi un aumento della disoccupazione.
...

http://keynesblog.com/2013/06/18/il-pro ... #more-4407

... il rapido incremento dei livelli di debito pubblico deriva dal collasso delle entrate fiscali e dalle spese sociali, che sono aumentate durante la recessione quando sono stati attivati gli stabilizzatori automatici (es: cassa integrazione, ndt). Pericolose ripercussioni dal sistema bancario al debito sovrano, che sono emerse dopo l’inizio della crisi finanziaria, hanno ulteriormente indebolito i conti fiscali.
Da dove venivano i finanziamenti che hanno fatto esplodere il debito privato? Un aspetto particolare del processo di integrazione finanziaria europea dopo l’introduzione dell’euro è stato un deciso incremento nelle attività bancarie tra paesi. L’esposizione delle banche dei paesi del centro verso i paesi della periferia è più che quintuplicata tra l’introduzione dell’euro e l’inizio della crisi finanziaria....

Re: Le riforme e il debito

MessaggioInviato: 22/07/2013, 17:17
da mauri
"privatizzare per fare cassa e alleggerirsi dall’indebitamento"
ma possibile che non capiscano che devono tagliare gli sprechi? costi della politica, priviegi, quadrupli incarichi e stipendi inutili, tangenti e corruzione,
insomma tutte quelle spese che alimentano gli amici e i parenti
ciao mauri

Crisi, debito pubblico al 130,3% del Pil. Nuovo record, peggio solo la Grecia
Torna quindi il dibattito su come risolvere il problema del debito, che pesa sempre più sulle spalle dell’Italia. Il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha parlato nei giorni scorsi della possibilità di privatizzare per fare cassa e alleggerirsi dall’indebitamento. “Non è escluso che il Tesoro decida di cedere quote di società pubbliche – incluse Eni, Enel e Finmeccanica – per ridurre il debito”, ha affermato il ministro a margine dei lavori del G20 di Mosca, sottolineando che bisogna considerare anche la possibilità di “usarle come collaterali per la riduzione del debito”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07 ... il/662952/

ps
e intanto c'è chi si tira su le maniche alla faccia dei politici nullafacenti, queste sono le persone da seguire come esempio

Fabbrica occupata riconvertita al terziario. Gli ex operai: “Così ci rimettiamo in gioco”
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/07/ ... co/240223/

Re: Le riforme e il debito

MessaggioInviato: 22/07/2013, 18:42
da franz
mauri ha scritto:"privatizzare per fare cassa e alleggerirsi dall’indebitamento"
ma possibile che non capiscano che devono tagliare gli sprechi? costi della politica, priviegi, quadrupli incarichi e stipendi inutili, tangenti e corruzione, insomma tutte quelle spese che alimentano gli amici e i parenti
ciao mauri
...
ps
e intanto c'è chi si tira su le maniche alla faccia dei politici nullafacenti, queste sono le persone da seguire come esempio

Fabbrica occupata riconvertita al terziario. Gli ex operai: “Così ci rimettiamo in gioco”
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/07/ ... co/240223/

Ecco, mauri, la tua è l'antitesi rispetto alla tesi keynesiana proposta qui sopra e e di cui vado a riproporre una breve diapositiva:
È facile capire perché: semplificare le procedure di licenziamento o l’avvio di nuove attività ha scarsi effetti sulle assunzioni quando le aziende hanno già un eccesso di capacità e difficoltà a trovare clienti. Dunque otteniamo soltanto il primo effetto, e quindi un aumento della disoccupazione.

A me, nel mio piccolo da imprenditore (micro) che cerca di non affogare da anni sulla base solo dei propri sforzi e non di aiuti di Stato, pare di capire che gli amici del blog keynesiano di economia forse ci capiscono ma dalla frase quotata è chiaro che di impresa no, proprio siamo a "notte fonda".
Economisti non significa per forza imprenditori (e viceversa) anche se qualche caso di equivalenza esiste.
E tu, Mauri, citando quel caso, fai capire che il problema durante una crisi non è riproporre ai clienti i prodotti o i servizi decotti che loro (clienti) non vogliono piu' (la vecchia domanda) ma riconvertirsi, proporre altro (una nuova domanda cosa troppo difficile per chi ragiona in termini aggregati, dove tutto fa brodo). Per trovare nuovi clienti quindi. In un sistema sano questo si attua tramite una riqualificazione del personale durante il periodo di disoccupazione (con il reddito sostenuto per un paio di anni) ma nell'Italia del 2013 questo non c'è e quindi ci si deve affidare all'illegalità, occupando uno stabilimento (un reato) per cercare di fare o produrre altro, cose nuove. In un sistema sano quindi la semplificazione delle procedure di licenziamento ed assunzione, unita ad ammortizzatori universali, comporta una rapida uscita dalla crisi, la possibilità di arrivare piu' rapidamente alla proposizioni di nuovi prodotti e servizi verso una nuova domanda che li attende. In un sistema insano come quello italiano tutto è bloccato dalla rididità del mercato del lavoro (in ingresso ed in uscita) e dalla difesa del "posto" di lavoro, come con la cassa integrazione (istituto giusto ma abusato, se è l'unico a disposizione).

Il protezionismo uccide, nuoce severamente al benessere, al lavoro ed i prezzi di ciò che compriamo.

Re: Le riforme e il debito

MessaggioInviato: 25/07/2013, 11:33
da flaviomob
Il vicolo cieco del mercantilismo tedesco
Pubblicato da keynesblog il 25 luglio 2013 in Economia, Europa



La ripresa dell’economia mondiale è stata negli ultimi tempi oggetto di sempre più frequenti pronostici , ma anche sempre più ridimensionata nelle stime e spostata nel tempo. Lo confermano senza mezzi termini le valutazioni del Fondo Monetario Internazionale, che, nonostante i segnali di risalita negli Stati Uniti e in Giappone, segnalano il protrarsi della recessione nell’eurozona e un rallentamento di molti mercati emergenti, proprio quelli al quale si voleva assegnare il ruolo di locomotiva.

In effetti, lo scenario non dovrebbe sorprendere più di tanto: le economie emergenti basano infatti ancora gran parte della propria crescita sulle esportazioni, e queste ultime sono state rallentate dall’affanno in cui si trova la domanda europea. Una domanda stagnante che, come spiega bene l’ultimo Rapporto ICE sul commercio internazionale, condiziona gli scambi mondiali, al punto di imprimerne una inversione di tendenza rispetto al decennio precedente, quando variavano in misura più che proporzionale al PIL. La crisi europea appare insomma l’occhio del ciclone della crisi mondiale, e l’attesa di una ripresa trainata dagli emergenti è una pura chimera.

Ma c’è qualcosa di più pregnante che il Rapporto ICE ci ricorda: la frenata del commercio europeo è da imputare essenzialmente ai paesi della “periferia” dell’eurozona (Italia, Grecia, Spagna, Portogallo), la cui depressione economica è responsabile di un vero e proprio crollo delle importazioni. Tale crollo ha ridimensionato l’entità dei deficit commerciali di questi paesi e ha ridotto gli squilibri commerciali interni all’area euro. La riduzione di questi squilibri ha inoltre comportato il riequilibrio delle tensioni commerciali nell’eurozona, mentre nessun contributo in tal senso è giunto dai paesi in forte surplus, come la Germania, ma anche di area tedesca come Austria, Belgio, Finlandia e Olanda. Si tratta di un processo che va avanti senza soluzione di continuità dal 2007, al quale si contrappone in maniera molto netta la divaricazione tra la capacità produttiva industriale tra “area tedesca” ed “area mediterranea” (includendo in quest’ultima anche la Francia). Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, nell’ultimo anno si è dimezzato il disavanzo con la Germania.

“La diminuzione degli sbilanci commerciali osservata dopo il 2007 nell’area euro”, si legge nel Rapporto ICE, “non ha riflesso correzioni sostanziali degli squilibri di competitività che sono andati cumulandosi tra i paesi membri dall’inizio della moneta unica. […] A lungo andare, questo processo può condurre a un recupero di competitività attraverso cosiddette svalutazioni interne, ovvero spingendo le dinamiche di prezzi e costi persistentemente al di sotto di quelle dei paesi in surplus. Ma la strada si prospetta lunga e onerosa, dal punto di vista sociale e produttivo . In assenza di significativi movimenti verso un aggiustamento intra-europeo più simmetrico, il riequilibrio affidato ai soli paesi in deficit implica il permanere per un prolungato periodo di tempo di mercati del lavoro deboli nell’Area Mediterranea. Accanto a un costo sociale, c’è anche un rischio produttivo. Le domande interne in contrazione colpiscono in primo luogo le aziende che vendono al mercato domestico, ma non risparmiano coloro che sono orientati all’estero. Le imprese esportatrici “pure” sono un fenomeno relativamente raro. Ad esempio in Italia oltre il 60 percento del fatturato viene realizzato, in media, nel mercato nazionale. Ciò significa che quando la domanda domestica , come avvenuto negli ultimi anni nell’Area Mediterranea, tutta la struttura produttiva ne risente, in modo diretto per la contrazione di uno sbocco prioritario per le vendite e indiretto per la rarefazione del credito che i minori fatturati finiscono con l’attivare.” Questo processo ha infine come sbocco “una perdita strutturale di base produttiva, accentuando una dinamica che ha contrassegnato il funzionamento dell’euro fin dalle sue origini.”

L’apparente miglioramento del quadro commerciale dell’eurozona, è dunque rivelatore di una situazione al collasso, che sta erodendo la base produttiva dei paesi in difficoltà, indebolendone anche la capacità di intercettare futuri segnali di ripresa, attivando la produzione specialmente in settori dove il potenziale di domanda è maggiore. La questione è assolutamente cruciale per quanto riguarda l’economia italiana “Considerando l’intero decennio” si legge nel Rapporto ICE “l’analisi conferma che il contributo principale alla riduzione della quota [di export] italiana è derivato dalle caratteristiche del modello di specializzazione delle esportazioni, orientate prevalentemente verso prodotti a domanda mondiale relativamente lenta.” Giova in questo senso ricordare il peso strutturale assunto nelle importazioni dai prodotti high-tech e il caso paradigmatico rappresentato dai pannelli solari. Nel Rapporto si legge infatti che per quanto riguarda l’Italia “Un contributo negativo molto rilevante è stato di nuovo arrecato dal crollo delle importazioni di celle fotovoltaiche, dopo la riduzione degli incentivi pubblici per il loro uso.”

Se non fosse stato ancora sufficiente il conto che la crisi e il suo inasprimento a causa delle politiche di austerità hanno presentato finora, il flebile segnale che gli scambi commerciali mandano a consuntivo del 2012, dovrebbe sancire un allarme inequivocabile sulla necessità di mettere mano in Europa a politiche pubbliche espansive per il rilancio della domanda. I fatti dimostrano che le dinamiche mercantiliste e la logica del beggar my neighbour sono solo l’ingresso in un vicolo cieco e forse anche a Berlino inizieranno a capire che il gioco al massacro travolge tutti.

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