Il famoso sputo al calciatore danese fu giudicato un gesto irresponsabile o una ragazzata a seconda della "fede" da stadio. Con lo stesso tifo il premio Nobel attacca oggi chi sostiene che in Italia, per crescere, bisogna tagliare la spesa pubblica
(30 maggio 2013)
Romanista o laziale? Non è questione di logica, ma di "fede", una fede che trova le radici nella prima maglia indossata, nel campione che ha acceso la nostra fantasia di bimbi, negli amici del patronato. Questa fede ci porta a giudicare in modo diverso episodi simili. Lo sputo di Francesco Totti a un giocatore danese o il saluto fascista di Paolo Di Canio diventano gesti irresponsabili o innocue "ragazzate" a secondo della nostra "fede". Questo tifo è l'opposto dello spirito sportivo di de Coubertin, ma viene incoraggiato dalle squadre e dai giornali, perché aiuta a vendere biglietti e copie.
Purtroppo questo tifo da stadio si è esteso anche al dibattito di politica economica. I responsabili non sono solo giornalisti e politici, ma nientepopodimeno che il premio Nobel per l'economia Paul Krugman. Quando scriveva nelle riviste accademiche era un economista sopraffino. Da editorialista del New York Times si è trasformato in un ultra manicheo. Per lui ci sono i buoni (coloro che vogliono aumentare la spesa pubblica sempre e comunque) e i cattivi (che vogliono ridurla). Nessun colpo è troppo basso contro i cattivi.
Le prime vittime sono stati gli economisti di Harvard, Reinhart e Rogoff. In uno dei loro articoli più famosi avevano sostenuto che un elevato debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo riduceva la crescita economica, una tesi che trova d'accordo lo stesso Krugman. Ma la loro colpa è di aver individuato al 90 per cento il livello a cui questo effetto negativo diventa importante, un valore vicino a quello degli Stati Uniti in questo momento e quindi un risultato usato dai "nemici" per limitare la spesa pubblica americana.
Da analisi successive è emerso che questa soglia non era poi così chiara e che dipendeva in parte da un imbarazzante errore in excel, errore che è stato individuato perché gli autori stessi avevano consegnato dati e programmi ad altri ricercatori. Ma questo a Krugman non è bastato: li ha accusati di disonestà intellettuale e quando, prove alla mano, hanno dimostrato di aver distribuito i loro dati ben tre anni fa non si è neppure scusato.
Le vittime successive sono stati Alberto Alesina e Silvia Ardagna, soprannominati, in sprezzo al genere, "Bocconi boys". La loro "colpa" è quella di aver sostenuto che un taglio della spesa pubblica può avere effetti espansivi, una possibilità già dimostrata 23 anni fa da Francesco Giavazzi e Marco Pagano. Non c'è alcun imbarazzante errore nella loro analisi, ma il loro risultato è sensibile alla definizione di politica di austerità. E questo basta a Krugman per dileggiarli, ignorando che il loro risultato principale - che un taglio di spesa pubblica sia meno recessivo di un aumento delle imposte - è stato confermato.
Purtroppo questa discussione di politica economica "da stadio" oscura un ampio consenso tra gli economisti su cosa si debba fare. In genere un taglio della spesa pubblica ha, nel breve periodo, un effetto recessivo. Se licenziamo 5 mila guardie forestali siciliane il Pil nazionale si riduce di 72 milioni all'anno (i servizi della pubblica amministrazione entrano nel Pil al loro costo, anche se il vero valore prodotto fosse - come probabile in questo caso - zero). Questi 72 milioni non spariscono: si traducono in meno imposte o in minor debito. I contribuenti (che pagano meno imposte) o i creditori (che si trovano con più soldi liquidi) aumenteranno la domanda e a ruota il Pil. Il processo però non è immediato e quindi nel brevissimo periodo ci sarà una riduzione di Pil e maggiore disoccupazione. Per questo gli economisti preferiscono ridurre il deficit in una fase espansiva dell'economia.
Però, quando un paese, come l'Italia, dipende dal credito estero per finanziare il proprio debito, una crisi di fiducia, come quella sperimentata nell'estate 2011, può essere devastante. In quel caso, non si può aspettare a ridurre il deficit. Per attenuarne gli effetti recessivi, tale riduzione dovrebbe avvenire principalmente attraverso tagli di spesa invece che aumenti di imposte. Purtroppo su questo fronte hanno fallito tutti i governi italiani, compreso quello guidato dal vero Bocconi boy, Mario Monti.