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Serial killer — di Gerardo Coco

MessaggioInviato: 16/05/2013, 9:46
da franz
Serial killer — di Gerardo Coco su chicago blog

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Gerardo Coco

In questi ultimi anni i maggiori istituti di emissione hanno attuato una politica di tagli sistematici ai tassi di interesse per stimolare l’economia e anche la BCE si è pedissequamente adeguata. Con l’ultimo suo intervento all’inizio di questo mese ha ridotto il tasso da 0.75 a 0.5. E’ inutile ripetere che queste manovre non hanno stimolato e mai stimoleranno le economie. Al massimo beneficiano chi si è indebitato a tasso variabile o ne alleggeriscono la situazione debitoria. Ma quest’ultimo effetto è solo apparente perché in realtà queste riduzioni seriali aggravano il peso del debito, devastano il capitale industriale e aumentano la disoccupazione. Come è possibile che la riduzione dei tassi di interesse possa nuocere al sistema economico? Non è forse abbassando questo costo che se ne migliora la condizione? Accade invece, per quanto possa sembrare paradossale, esattamente il contrario. Il fenomeno non ha nulla di ovvio o intuitivo e prima di spiegarlo con qualche esempio, sono opportune alcune brevi osservazioni.

Di regola, i prezzi dei beni i cui vantaggi maturano nel futuro dipendono dal tasso di interesse e ogni variazione di quest’ultimo ne provoca una corrispondente ed inversa nel prezzo. Così, ad esempio, nel caso delle obbligazioni una riduzione del tassi ne aumenta il prezzo e un aumento lo riduce. Il prezzo di un obbligazione è pari alla somma attualizzata di tutte le cedole o pagamenti a carico dell’emittente, capitalizzate al tasso di interesse corrente. Se l’interesse viene ridotto, automaticamente aumenta il valore scontato (attualizzato) della sommatoria delle cedole e di conseguenza anche il prezzo dell’obbligazione. Il valore di realizzo dell’obbligazione è quel prezzo che si dovrebbe pagare per estinguere il debito prima della scadenza e dipende dall’interesse corrente. Nelle analisi di bilancio bisogna tenerne conto perché serve a stimare sia il merito del credito di imprese e banche sia il loro valore nei casi di fusione, quotazione, offerta pubblica d’acquisto, liquidazione volontaria o fallimento.

Le fluttuazioni del valore di liquidazione fanno variare quello delle passività e quindi anche quello del capitale netto che è la differenza tra le attività e passività.

Il valore di liquidazione del debito supera il quadrilione
Supponiamo che per finanziare un investimento un’impresa venda un’obbligazione del valore nominale di 1000 al tasso del 4% e col ricavato dell’emissione acquisti un macchinario per la produzione. Nel bilancio dell’impresa l’obbligazione rappresenta il debito e va al passivo e il macchinario, il bene finanziato dall’obbligazione, va all’attivo. L’impresa dovrà pagare periodicamente agli obbligazionisti cedole di valore di 4 fino alla data di scadenza del titolo. Supponiamo ora che il tasso di interesse di riferimento venga dimezzato al 2% facendo così raddoppiare a 2000 il valore delle obbligazioni di nuova emissione. Dopo questa riduzione, la situazione finanziaria dell’impresa migliorerà o peggiorerà? Peggiora per due motivi. Primo, perché si trova ad aver finanziato l’investimento ad un interesse maggiore. Secondo, perché nel suo bilancio il valore reale del debito è come se venisse raddoppiato. Questa conseguenza non è visibile “a occhio nudo” ma di fatto esiste. Infatti, l’attualizzazione della sommatoria dei flussi finanziari delle cedole del debito al nuovo tasso corrente ne aumenta il valore. Nel caso in questione lo raddoppia. Se, infatti, l’impresa volesse disfarsi della passività prima della scadenza, dovrebbe sborsare non 1000 ma 2000 per riscattare il debito. I creditori infatti accetterebbero di restituire l’obbligazione originaria acquistata a 1000 e che rende 4, cioè il doppio della nuova emissione, solo a patto di incassare 2000 che è appunto il prezzo delle nuove emissioni che rendono 2. In altre parole il debito dell’impresa sarebbe liquidabile con una grave perdita. In ogni caso l’aumento del valore della passività riduce il capitale netto dell’impresa facendone diminuire il merito del credito. Si osservi che il problema non è il basso tasso di interesse in sé ma i tagli seriali e consecutivi che fanno aumentare il valore attualizzato del debito rendendolo inversamente proporzionale al tasso di interesse prevalente.

Il problema ovviamente riguarda anche il settore bancario. L’alta leva finanziaria che lo caratterizza, cioè la prevalenza di capitale di credito sul capitale proprio e il relativo bisogno di liquidità è conseguenza del drenaggio di capitale dovuto alla sistematica riduzione dei tassi. Se questi vengono ridotti dal 4% a 2, poi da 2% a 1, da 1 a ½ , a ¼ ecc., il valore di liquidazione del debito (cioè la passività) raddoppia da 1 trilione a 2, quindi da 2 a 4 a 8, 16 e così via. Alla decima riduzione, il valore di liquidazione diventerebbe 210 = 1024. Se dunque il debito fosse un trilione a seguito dei successivi tagli seriali operati delle banche centrali diventerebbe un quadrilione.

Chi crede che queste siano elucubrazioni finanziare non deve far altro che riflettere sul valore nozionale dei derivati oggi stimato a oltre un quadrilione di dollari (mille trilioni), 60 volte l’economia mondiale. La crescita abnorme ed esplosiva dei credit-default swaps (CDS), i premi assicurativi pagati contro il rischio di perdite su crediti, rappresenta e rispecchia proprio l’aumento del valore di liquidazione del debito.

I tagli seriali provocano disoccupazione
Si consideri ora la questione da un altro punto di vista. Supponiamo che l’azienda paghi correntemente una somma di 1000 in salari. Se il reddito dell’azienda è capitalizzato al tasso del 4%, tale somma varrà 25.000. Questo fondo rappresenta l’equivalente in strumenti di produzione che dovranno far produrre gli operai e generare rendimento per pagare i salari. Se il tasso di interesse venisse ridotto al 2% risulterebbe che il fondo di 25.000 non sarebbe più capiente per il pagamento dei salari perché il suo rendimento annuale che era 1000 (4%) diventerebbe 500 (2%). Ne risulterebbe pregiudicata tutta la produttività e a meno di non provvedere ad integrazioni di capitale proprio, l’azienda dovrebbero licenziare i lavoratori o in teoria ridurre il fondo salari a 500.

Qui si verifica il problema opposto al quello dell’esempio sull’obbligazione perché è l’attivo del bilancio a subire la falcidia: il valore del capitale industriale dell’impresa, cioè dell’investimento fatto nel passato, diminuisce ogni volta che nel mercato ogni nuovo investimento è finanziato a costi minori a seguito del taglio degli interessi. Il che va a impattare negativamente sulla situazione patrimoniale dell’azienda. Se fosse nella condizione di dover ricorrere al capitale di credito non lo otterrebbe perché il suoi indici di bilancio dopo la riduzione dell’interesse verrebbero ipso facto deteriorati.

Questa è la ragione occulta della devastazione del sistema industriale e della disoccupazione strutturale negli ultimi decenni. Grandi e famose aziende, complessi e interi settori industriali sono scomparsi come dinosauri apparentemente senza un perché. Ma la ragione c’è ed è nascosta nelle pieghe dei bilanci. La conferma indiretta è che il capitale industriale è cominciato ad venir distrutto indiscriminatamente negli ultimi trent’anni man mano che i tassi a lungo termine diminuivano dal 18-16 al 4-3% e quelli a breve dal 22 all’ ½% per favorire, ovviamente, la progressiva monetizzazione del debito dei governi per i quali la riduzione seriale dei tassi è funzionale.

Gli unici a trarre vantaggio da questo sabotaggio economico sono gli speculatori. Gli istituti di emissione, comunicando in anticipo al mercato la riduzione dell’interesse, consentono loro di fare profitti osceni in frazioni di secondo e a rischio zero perché possono comprare i titoli all’ingrosso sicuri di rivenderli a prezzo maggiorato non appena il ribasso dei tassi è effettivo. Ma che bravi questi banchieri che finanziano attraverso il sistema bancario, che controllano, la pirateria speculativa contro cui poi la stampa inveisce. Anche nei loro volti ormai è percepibile l’insicurezza che nasce dall’insuccesso delle loro manovre ma ignari del massacro economico in corso perseverano nell’usare come un giocattolo il tasso di interesse diventato ormai un’arma letale. Se non se ne rendono conto loro, figuriamoci il commentariato economico ufficiale che plaude sempre servilmente ai banchieri centrali qualunque cosa facciano.

Ricapitolando
Il valore di liquidazione di un debito è la somma necessaria ad estinguere il debito prima della scadenza e corrisponde alla sua attualizzazione che dipende dal tasso corrente. Non bisogna confondere un tasso di interesse basso con una struttura di tassi calanti. Quest’ultima fa aumentare il valore di liquidazione del debito originario contratto a tasso più elevato e peggiora la situazione patrimoniale riducendo il capitale netto. Il motivo è che la somma dei flussi di pagamento degli interessi, attualizzata a un tasso minore risulta superiore al debito originario che, pertanto, raggiunta la scadenza non può essere interamente liquidato. Il valore di liquidazione quindi è inversamente proporzionale all’interesse corrente e si raddoppia se il tasso è dimezzato. Dunque, la diminuzione degli interessi, contrariamente alla convinzione generale, non allevia ma aggrava il peso del debito. Il costo del servizio del debito originario che non è automaticamente rifinanziato a tassi inferiori, aumenta a spese del conto capitale. Fra l’altro il fenomeno spiega anche l’endemica mancanza di liquidità. I tagli seriali ai tassi riducono il valore degli investimenti in capitale fisico esistenti perché effettuati a costi maggiori rispetto a quelli finanziati con i tassi correnti e la differenza erode i margini di profitto. Tutti gli indici di bilancio si deteriorano, seguono fallimenti a catena e questo spiega la devastazione industriale in atto. La natura del fenomeno è subdola e insidiosa e il danno passa inosservato perché la discesa dei tassi è considerata universalmente come un fatto positivo. Ma come spiegare allora il deficit simultaneo e generalizzato di capitale nelle imprese e banche? Si spiega col fatto che entrambe hanno distribuito utili e pagato bonus da profitti inesistenti. I profitti erano in realtà perdite e quando se ne sono accorte era ormai tardi. Se avessero individuato il problema, avrebbero previsto nel passivo dei loro bilanci un fondo rettificativo per perdite da operazioni finanziarie, evitando così l’insolvenza. Il fenomeno è l’effetto della continua monetizzazione del debito dei governi, ormai perpetuo: può soltanto crescere perché la discesa dei tassi ne aumenta il valore di liquidazione come testimonia la crescita esponenziale dei derivati il cui valore nozionale corrisponde appunto a quello del debito attualizzato.


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