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Borse e mercati

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Borse e mercati

Messaggioda franz il 08/09/2008, 18:21

Dopo una settimana nerissima, le notizie da oltreoceano spingono gli indici al rialzo
Le Borse asiatiche chiudono con guadagni dal 3 al 5%, bene le aperture europee

Borse, nei listini esplode l'euforia
dopo il salvataggio di Fannie e Fred


MILANO - Il piano del Tesoro statunitense per il salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac ha risollevato i mercati finanziari, e non solo quelli americani. Infatti dopo giornate nerissime, la settimana sui listini asiatici e del Pacifico si è aperta in un clima di euforia, con acquisti diffusi e rialzi che non si vedevano da tempo: Tokio ha chiuso in crescita di oltre tre punti, Sidney, Bombay e Singapore ondeggiano attorno a un guadagno di quattro punti percentuali, Taiwan in una sola seduta ha recuperato oltre il 5,5%. E in apertura le Borse europee promettono di fare altrettanto.

A Milano dopo i primi scambi l'indice Mibtel ha fatto segnare un +2,88% a quota 21.852 punti, mentre l'S&PMib guadagna il 3,26% a 28.465 punti. In crescita anche l'All Stars, che mette a segno un rimbalzo dell'1,77% a quota 12.287 punti. Brillanti tutte le aperture del Vecchio Continente, tra le quali spicca Parigi, con un rialzo del 4,07%. Bene anche Londra che avanza del 2,31%, mentre Francoforte segna un +2,56%.

Le Borse asiatiche nel loro complesso, nonostante l'abituale controtendenza del listino cinese che sta cedendo oltre due punti, hanno messo a segno la maggior crescita degli ultimi sette mesi.

"Uno dei problemi che ha affossato le Borse la scorsa settimana - afferma un operatore dei mercati asiatici - è che i mercati ritenevano Fannie Mae e Freddie Mac troppo compromesse perché potessero salvarsi da sole: ora c'è più fiducia".
(8 settembre 2008)
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Ultima modifica di franz il 18/09/2008, 7:57, modificato 1 volta in totale.
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Re: Borse, nei listini esplode l'euforia

Messaggioda franz il 08/09/2008, 18:25

Curioso fatto, quando le borse perdono il 2.5% i giornali fanno titoli del tipo "Bruciati 147 miliardi".
È istintivo lamentarsi, disperarsi e piangere quando le cose vanno male.
Quando pero' la borsa riprende, l'euforia non è mai accompagnata da dati dello stesso tipo.
Forse non saprebbero cosa dire. "Creati dal nulla 180 miliardi in un giorno"?
Quale è il contrario di bruciare? Ma poi è proprio "bruciare" il termine giusto?

Ciao,
Franz
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Re: Borse, nei listini esplode l'euforia

Messaggioda claudiogiudici il 08/09/2008, 23:27

franz ha scritto:Curioso fatto, quando le borse perdono il 2.5% i giornali fanno titoli del tipo "Bruciati 147 miliardi".
È istintivo lamentarsi, disperarsi e piangere quando le cose vanno male.
Quando pero' la borsa riprende, l'euforia non è mai accompagnata da dati dello stesso tipo.
Forse non saprebbero cosa dire. "Creati dal nulla 180 miliardi in un giorno"?
Quale è il contrario di bruciare? Ma poi è proprio "bruciare" il termine giusto?

Ciao,
Franz


Vero quanto dici, ma ricordiamoci che durante il '98-2001 i giornali erano pieni di report in cui si parlava della nuova "età dell'oro" della finanza. D'altra parte di valutazioni poi rivelatesi false da parte delle agenzie di rating (riprese dai media specializzati), secondo un indagine Adusbef, si contano per il 90% del totale.

Saluti.
Claudio Giudici
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Re: Borse, nei listini esplode l'euforia

Messaggioda franz il 09/09/2008, 7:38

claudiogiudici ha scritto:Vero quanto dici, ma ricordiamoci che durante il '98-2001 i giornali erano pieni di report in cui si parlava della nuova "età dell'oro" della finanza. D'altra parte di valutazioni poi rivelatesi false da parte delle agenzie di rating (riprese dai media specializzati), secondo un indagine Adusbef, si contano per il 90% del totale.

Saluti.
Claudio Giudici

Occorre usare con cautela il termine "falso". Una valutazione puo' essere "errata". Questo è piu' che possibile, visto che si sta analizzando il futuro. Puo' essere errata poi in un certo orizzonte temporale. Se vado a vedere un orizzonte temporale di 40 anni le previsioni solitamente sono azzeccate, solo che interessano poche persone. Quelle nel breve periodo interessano di piu' e sono soggette ad una maggiore variabilità. Falso significa (secondo me) volutamente sbagliata. Non escludo che possa anche accadere questo ma non al 90%. Sbagliare invece è facile, in momenti turbolenti.

Ciao,
Franz
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Re: Borse, nei listini esplode l'euforia

Messaggioda trilogy il 15/09/2008, 8:32

Lehman Brothers in Fallimento


Il destino della banca d'affari segnato dopo il disimpegno di Fed e Tesoro
Le banche interessate al salvataggio si sono tirate indietro, creando un fondo anticrac
Lehman dichiara il fallimento
Wall Street si prepara al terremoto
Vicina invece la soluzione della crisi di Merrill Lynch: finirà a Bank of America

NEW YORK - Si annuncia come uno dei lunedì più difficili di tutta la sua storia quello che si appresta a vivere oggi Wall Street. La Lehman Brothers ha dichiarato fallimento, chiedendo l'ammissione al "Chapter 11" alla "Us Bankruptcy Court", nel distretto Sud di New York. Il sistema finanziario americano (e di conseguenza quello mondiale) si appresta quindi a fare i conti con le sconvolgenti ripercussioni che l'ennesima vittima eccellente della crisi dei mutui facili inevitabilmente produrrà.

Il destino della Lehman Brothers, la più piccola delle banche d'affari statunitense, è stato segnato dall'abbandono delle trattative per il salvataggio da parte di Barclays e di Bank of America. In mancanza di un appoggio da parte delle autorità tutti i papabili acquirenti si sono tutti tirati indietro rendendo inevitabile la richiesta di bancarotta.

Un precipitare degli eventi che non ha fatto cambiare posizione né al Tesoro Usa né alla Fed, entrambe ferme nella scelta di non mettere in campo questa volta un salvataggio sullo stile Bear Stearns o, tanto meno, sulla scia di quanto deciso per Fannie Mae e Freddie Mac. Prima Bank of America, poi Barclays hanno abbandonato le trattative in quanto, a loro avviso, recuperare la situazione senza un aiuto del governo era impossibile.

Bank Of America, però non si è lasciata spaventare e anzi, nelle ultime ore ha lavorato intensamente per accaparrarsi quella che per gli operatori sarebbe, in caso di collasso di Lehman, il nuovo bersaglio del mercato: Merrill Lynch. L'acquisizione, alla quale mancherebbe solo la firma, dovrebbe avvenire per una cifra che si aggira sui 44 miliardi di dollari, cioè 29 dollari per azione, con un premio del 70% rispetto alla chiusura di Merrill di venerdì.

Le autorità americane si sono limitate piuttosto a mettere in campo a sostegno dei mercati misure di natura tecnica in grado di allentare i timori e ad aumentare la liquidità. La Fed, con l'esplicito appoggio del Tesoro, ha infatti annunciato l'ampliamento della gamma di garanzie accettate per prestiti dalle banche di investimento che, ora, potranno presentare a garanzia anche titoli spazzatura.

Visto il nuovo atteggiamento delle autorità pubbliche, le banche (almeno quelle ancora in grado di farlo) si sono viste costrette a correre ai ripari, realizzando una sorta di fondo anti-fallimento: dieci istituti, non solo americani, hanno dato così vita a un fondo da 70 miliardi con il quale si assicurano liquidità aggiuntiva a sufficienza. Le risorse del fondo possono anche aumentare se altre istituzioni decidessero di aderire all'iniziativa di Bank of America, Citibank, Barclays, Credit Suisse, Ubs, JpMorgan, Merrill Lynch, Goldman Sachs, Deutsche Bank e Morgan Stanley.

A rendere ancora più esplosiva una situazione già molto difficile, si aggiungono le difficoltà della Aig. Il colosso assicurativo svelerà domani un piano di ristrutturazione ed è alla ricerca di un prestito ponte da 40 miliardi da parte della Fed.
Repubblica.it (15 settembre 2008)
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Il titolo è ormai solo triste ironia ...

Messaggioda annalu il 15/09/2008, 18:48

Un'email uguale per tutti ha comunicato il licenziamento
I tanti rimasti senza lavoro si sono riversati nella strada
Lehman, i trader lasciano la sede
Coda di "scatoloni" sulla Settima

Sommessa processione dei dipendenti del gruppo con i loro effetti personali

Immagine
NEW YORK - Fino a ieri erano rampanti trader nella Manhattan capitale della finanza mondiale, oggi sono semplici disoccupati. La notizia del fallimento della Lehman Brothers, quarta banca d'affari americana, ha colto i suoi dipendenti alla sprovvista. I tanti curiosi che si affollano davanti alla sede centrale del gruppo, sulla Settima Strada di New York, hanno assistito a una scena d'altri tempi: centinaia di persone, quasi tutte in giacca e cravatta, davano vita a una triste processione, armate solo del classico scatolone da riempire con i propri oggetti personali e reso immortale dai film di Hollywood.

"Non sappiamo se riceveremo lo stipendio di settembre, nè tantomeno la liquidazione" ha dichiarato uno dei tanti trader rimasti senza lavoro all'uscita dal palazzo. Un licenziamento in tronco arrivato nel peggiore dei modi, con una fredda email aziendale uguale per tutti a cui è seguito il rituale della raccolta dei propri oggetti e l'uscita dalla Lehman, sotto l'occhio vigile della sorveglianza.

Un destino, quello di Lehman Brothers, difficile da accettare per i suoi tanti disoccupati. La "loro" banca aveva resistito nella sua storia ultra centenaria alla crisi delle Ferrovie dell'Ottocento, alla Grande Depressione e al crollo del Long Term Capital, ma nulla ha potuto fare contro i mutui subprime.
(15 settembre 2008)


Da Repubblica.it
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America, il grande crac

Messaggioda franz il 16/09/2008, 8:29

Lehman Brothers travolto dalla crisi dei subprime, bancarotta da 613 miliardi di dollari
Tutti aspettano la nuova presidenza per vedere se tenterà di riportare ordine

America, il grande crac
"incubo" americano a Wall Street

dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI

WASHINGTON - C'è qualcosa di spaventosamente banale, perché già visto molte volte come quegli uragani che si abbattono ogni anno, nel collasso della quarta banca d'affari americana consumato in questo weekend, la Lehman Brothers. Come nella fine di Bear Stearns, di Merrill Lynch - la numero uno risucchiata dalla Bank of America - nell'assalto in atto al titano delle assicurazioni Aig, nelle febbre che sta facendo rabbrividire marchi stellari come Goldman Sachs, Morgan Stanley, Jp Morgan, c'è semplicemente l'altra faccia del "sogno americano". L'incubo americano.

La catastrofe della Lehman fallita, due settimane dopo il salvataggio governativo delle due principali fonti di mutui immobiliari semiprivate, Freddie Mac e Fannie Mae, e il panico che si sta impadronendo di un'industria finanziaria che si considerava inaffondabile e oggi vede un Titanic dopo l'altro inabissarsi, è la parabola dei trionfi e delle catastrofi inevitabili e necessari, che in un sistema di economia e di finanza spregiudicate trasforma pezzenti in miliardari con la stessa furia con la quale trasforma miliardari in pezzenti. Che travolge, devasta, terrorizza e poi diventa la premessa per ricostruire.

Non ci sarebbe l'America senza i disastri che l'hanno devastata e poi l'hanno rifatta. Quando Richard Fuld, presidente e profeta di questa casa finanziaria, addirittura vetusta per gli standard americani essendo nata 158 anni or sono, che dal 1993 era guardato come il mago capace di trasformare il nulla in oro e oggi come un apprendista stregone che ha lasciato 27 mila dipendenti sull'orlo del tuffo dalla finestra, ha dovuto arrendersi dopo un week end di inutile agonia e ha dovuto portare i libri in tribunale, un dramma rappresentato mille volte è andato in scena. Senza risalire alla preistoria e al crack del1929, che i grandi gufi come Allan Greenspan continuano a citare forse per far dimenticare la parte che loro stessi hanno giocato con la propria miopia, soltanto negli ultimi 20 anni abbiamo assistito al crollo fraudolento delle piccole casse di risparmio (nel quale fu coinvolto anche un certo senatore chiamato John McCain), costato 800 miliardi ai contribuenti americani; al "meltdown", alla fissione nucleare delle obbligazioni spazzatura, i junk bonds, che avevano alimentato i razziatori di aziende; al grande crack di Wall Street; all'esplosione tragica della millantata "new economy" e dei titoli bidone delle "punto com"; alla scomparsa (criminale) di colossi dell'energia come la Enron.

Questi eventi terrificanti sono insieme l'eccezione e dunque la regola che domina il respiro di una nazione che sa, per esperienza amara ma lunga, di dover pagare il prezzo dei propri eccessi, prima di bonificarsi e poi ripartire verso altri eccessi. In un universo dominato dai due poli estremi del "fear" e del "greed", della paura e dell'igordigia, i maghi di ieri, come Fuld delle Lehman, o come Kenneth Lay dell Enron, grande amico di George Bush, ucciso da un infarto dopo una condanna a 25 anni di carcere per bancarotta, sono i furfanti di domani, esecrati con la stessa violenza con la quale erano adorati fino a quando producevano soldi per i clienti. I 27 mila dipendenti della Lehman, pagati in titoli della loro banca, lo adoravano quando il titolo era oltre i 66 dollari e ricevevano "bonus" di fine anno raramente inferiori ai 350 mila dollari. Oggi, che quei titoli valgono 24 centesimi, quasi nulla, e si sono portati via risparmi, sogni, lussi, case, senza più speranze di quei bonus che alimentavano i prezzi astronomici delle abitazioni a Manhattan, lo maledicono.

Il caso della "Fratelli Lehman", ancora chiamata così in onore dei tre fratelli Henry, Immanuel e Mayer, tedeschi immigrati dalla Baviera nel 1850 senza uno scudo in tasca e divenuti ricchi (ecco il "sogno") facendosi pagare con il cotone coltivato dagli schiavi dell'Alabama, colpisce non soltanto per le dimensioni di questa casa finanziaria che, con 27 mila dipendenti, aveva un portafoglio nominale e un valore di mercato pre collasso superiore ai 500 miliardi di dollari. Colpisce perché, a differenza di fondi d'investimento puramente speculativi, come il famoso "Long Term Capital" concepito da due premi Nobel dell'Economia e andato in fumo nel 1991, la Lehman aveva una lunga e nobile storia di saggi e fruttuosi finanziamenti.

Con il suo aiuto, erano nate le prime grandi catene di magazzini popolari, come la Sears e la Macy delle celebri parate a Manhattan. Avevano permesso la nascita della Rca, signora e madre della radio e della televisione e della Halliburton, la società di ricerche e servizi all'industria del petrolio che il vice presidente Dick Cheney guidò prima di entrare alla Casa Bianca nel 2001. Era stata dunque parte della grande economica americana, prima di gettarsi sulla nuova frontiera dei mutui immobiliari e di quegli strumenti finanziari, come gli "hedge funds" e i "derivate" che nel anni 90 avevano promesso la pietra filosofale che ogni investitore sogna: guadagnare in ogni caso, qualunque zig zag compia il mercato.

Come vuole la saggezza popolare, se una cosa è troppo buona per essere vera, non è vera. Nel momento, previsto e ignorato, dell'inversione del mercato immobiliare dopo anni di aumenti insensati del valore delle case sostenute da profitti e "bonus" e da crediti a tutti, Lehman e il suo aggressivo leader, Fuld, hanno scoperto l'incubo: come si possono fare fortune puntando sui rialzi, così se ne possono fare scommettendo sui ribassi. Quando il sangue delle piccole banche esposte in crediti cattivi a debitori insolventi, i cosiddetti mutui subprime, a clienti sotto gli standard ottimali, ha cominciato a diffondersi nell'acqua, i grandi speculatori al ribasso hanno cominciato a mordere, sbranando pezzo dopo pezzo case come la Bear Stearns, la Countrywide mutui, ripescata dalla Bank of America, le due agenzie semiprivate Freddie e Fannie di sostegno ai mutui, nazionalizzate nel panico per non radere al suolo il già devastato mercato della casa e infine la Lehman, accusata di avere "cucinato i libri" e nascosto almeno 13 miliardi di crediti ormai non più recuperabili.

In un'economia che sbanda tra le onde della mancanza di fiducia, l'ingrediente essenziale di ogni credito, e della incertezza sul futuro, che non vede dove sia il fondo del mare, ci si chiede "who's next"? chi sarà la prossima vittima degli squali. La Merrill Lynch, la leggendaria "casa del toro furibondo" è stata assorbita, per 50 miliardi, dalla Bank of America, che sta saccheggiando i rottami per uscire come banca dominante quando il ciclone passerà. La Goldman Sachs sta innalzando muri di sacchetti di sabbia attorno ai propri debiti, con riserve di cash, di danaro liquido, come stanno facendo la Morgan Stanley e la JP Morgan. La Aig, American International Group, finanza e assicurazioni, vacilla ed è la preda attorno alla quale incrociano gli squali, mentre il governo Bush, dopo avere contribuito a salvare la Bear Stearns promuovendo l'assorbimento e nazionalizzando, con nobile sprezzo dell'ideologia liberista, le due grande agenzie di mutui, è stata costretta a chiamarsi fuori. Il mercato della liquidità, del credito, è paralizzato dal terrore.

Il ministro del tesoro Paulsen ha lasciato al suo destino la casa che i tre fratelli arricchiti dalla speculazione sul cotone 158anni or sono costruirono, scoprendo che sarebbe "immorale" usare soldi dei contribuenti per salvare o remunerare gli speculatori, o liberarli dai debiti assunti dalla mano pubblica, secondo quella formula Alitalia che qui sarebbe improponibile. A 50 giorni dalle elezioni, non ha più nè la volontà politica nè i soldi per farlo. Le grandi banche nazionali e straniere, come Citigroup, Chase, UBS, Bank of America hanno costituto in fretta un fondo d'emergenza di 100 miliardi di dollari per mutuo soccorso e la Federal Reserve, in consultazione con la Bce e con le altre banche centrali del mondo, tiene aperti i propri rubinetti di "extrema ratio" per i correntisti e risparmiatori, avvertendo che non è la Croce Rossa degli speculatori e la sua disponibilità non è infinita.

Ma in realtà nessuno ascolta le scontate e irritanti rassicurazioni di Bush, ripetute anche ieri, sull'"economia americana che rimane robusta". Tutti aspettano la nuova Presidenza per vedere se tenterà di riportare ordine, e qualche regola, nella finanza allegra, divenuta tristissima. Altri cadranno, ma altri cresceranno, come sempre, in questa che rimane l'ultima vera frontiera selvaggia, come la borsa, ha dimostrato ieri passando dalla furia iniziale del "vendere a qualsiasi prezzo" (il panico) alla voglia di cercare azioni scontante (l'ingordigia). Quando anche questa buriana sarà passata, i fratelli bavaresi che speculavano sul cotone saranno diventati una interessante lezione per master in economia, e l'America sarà pronta per un nuovo boom e poi uragano. Lehman Brothers aveva la propria sede nel World Trade Center, l'11 settembre 2001.
(16 settembre 2008)
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Re: Borse e mercati

Messaggioda franz il 18/09/2008, 7:58

Il racconto di un trader: ormai il sistema è al collasso
"Sta accadendo qualcosa di inimmaginabile, mai visto prima"

"Serve una terapia d'urto
o le Borse rischiano la chiusura"

di MASSIMO GIANNINI
"Serve una terapia d'urto o le Borse rischiano la chiusura"

"FORSE non avete capito cosa sta succedendo. Qui il problema non è Wall Street che perde il 4%. Qui siamo a un passo dal collasso totale dei mercati, dalla crisi del sistema finanziario globale".
Il noto trader milanese consulta le carte, snocciola le cifre, riordina i fatti, e in cima alla giornata più drammatica e indecifrabile di questo Settembre Nero dei mercati avanza l'ipotesi più funesta: "Non si può escludere nulla. Nemmeno che da un momento all'altro si decida la chiusura delle principali Borse mondiali...".

Benvenuti nel Nuovo ?29. Evocata, temuta, ma in fondo mai presa sul serio, la "crisi di sistema" del capitalismo finanziario globale si materializza nelle parole dell'operatore che la sta vivendo in presa diretta, minuto per minuto. È anonimo, e non può essere diversamente, perché quello che dice è talmente preoccupante da non poter essere "firmato" da chi, ogni giorno, compra e vende titoli per milioni di euro. "In questo momento - spiega - ogni parola può creare altro panico, ed è meglio evitare...".

Ma se quello che racconta è vero - e a giudicare dall'andamento degli scambi sui mercati e dalle mosse delle autorità politiche e monetarie non possiamo dubitarne - il panico è già abbondantemente giustificato. "Sta accadendo qualcosa di inedito, che non abbiamo mai visto prima. Dall'America si sta diffondendo una crisi di fiducia senza precedenti, tra banche e banche e tra banche e clienti. Una crisi che colpisce in prima battuta quelle che un tempo avremmo chiamato le "Big Five", cioè le grandi "investment banks" : Bear Stearns, Lehman Brothers, Merrill Lynch, Morgan Stanley e Goldman Sachs. Le prime due ce le siamo già giocate, la terza prova a salvarla Bank of America, ma ora il punto è che stanno finendo nel mirino anche le altre due".

Non a caso, i titoli Morgan e Goldman, a New York, sono letteralmente crollati, lasciando sul campo oltre il 40% del proprio valore. "Ma quello è solo il sintomo, la febbre - spiega l'operatore - perché la malattia è molto più grave. E la malattia è questa: dopo il crac della Lehman gli investitori istituzionali, e soprattutto gli hedge funds, stanno chiudendo le proprie posizioni presso le grandi banche d'investimento americane, perché non si fidano più della loro solvibilità. Questo sa cosa significa? Significa il collasso dei mercati azionari e obbligazionari mondiali, il "meltdown" totale di tutti gli scambi finanziari del pianeta".

Non è un'esagerazione. È la pura realtà, che deriva da un dato di fatto che ci porta a riflettere sulle distorsioni del modello capitalistico "drogato" da Greenspan e cavalcato da Bush: "Queste grandi "investment banks" muovono ogni giorno trilioni di miliardi di dollari. Hanno in custodia, in regime di sostanziale monopolio, la quasi totalità dei titoli posseduti dagli investitori istituzionali e dagli hedge funds di tutto il mondo.

Ora, se questi ultimi cominciano a ritirarli, perché temono il default delle stesse banche d'affari, non si rischia solo qualche altro "fallimento eccellente", ma si blocca tutto il meccanismo che regge i mercati finanziari. Glielo spiego con un esempio: le banche d'affari sono il "motore" del sistema finanziario globale. I loro clienti, investitori istituzionali ed hedge funds, sono l'olio che fa girare quel motore. Nel momento in cui l'olio viene a mancare, perché i clienti smettono di versarlo, il motore fonde, e la macchina è da buttare".

Questa è la posta in gioco. "Con un'aggravante. Investitori ed hedge funds chiudono le loro posizioni, e per esempio sulla piazza di Londra stanno cercando di dirottare i propri investimenti sulle grandi banche "retail", che al momento sembrano più sicure: Deutsche Bank, Santander, Bnp. Ma ormai non funziona più neanche questo, perché i mercati, terrorizzati dal fantasma del crac globale, sono totalmente illiquidi. Non si riesce né a comprare né a vendere, perché mancano le controparti.

Per questo la crisi è di sistema, e rischia di travolgere tutto. Non c'è più fiducia. Le mosse di Paulson non convincono nessuno, la gente non crede al salvataggio di Aig, che infatti continua a perdere a rotta di collo, e i "Treasury bond" americani hanno raggiunto un rendimento dello 0,23%, una cosa che non si vedeva da mezzo secolo. Le stesse banche centrali, la Fed e la Bce, non sanno che pesci prendere, perché hanno capito che questo non è un "trend" classico dei cicli borsistici: rialzi e crolli non sono mai stati un problema, figuriamoci, ci siamo abituati, fanno parte del gioco. Il guaio, stavolta, è che è proprio il gioco in sé che si sta rompendo".

Il trader italiano, di stanza a Piazza Affari, vive ai margini del ciclone finanziario americano. Ma cita altri due indizi, che danno la misura del livello di allarme scattato anche nelle "province" dell'impero del capitale globale: "Primo: stamattina la Banca d'Italia ci ha chiesto di fornirgli entro mezz'ora, e dico entro mezz'ora, le posizioni aperte con Lehman da tutti noi operatori nazionali: una roba mai successa. Secondo: nel pomeriggio abbiamo vissuto momenti di forte tensione, perché neanche la Cassa di compensazione aveva più liquidità sufficiente. Cioè: la Cassa non paga, noi non paghiamo, e così tutto l'ingranaggio va in tilt da un momento all'altro". Il tema vero è: ci si può ancora salvare da questo Nuovo '29 che incombe?

L'operatore spera, ma non si avventura: "Parliamoci chiaro: qui, se siamo ancora in tempo, ci sono solo due possibilità per non far fondere tutta la macchina. La prima possibilità è che almeno un paio di grandissime banche commerciali di dimensione mondiale, che so, Hsbc tanto per fare un nome, si comprino le banche d'affari americane a un passo dal tracollo: operazione possibile, anche se molto complicata, che richiederebbe comunque una fortissima "moral suasion" da parte del potere politico. La seconda possibilità è che invece sia proprio la politica americana a fare il passo più estremo, nazionalizzando Morgan e Goldman prima che sia troppo tardi. Operazione complicata e forse impossibile, se non al prezzo di addossare ai contribuenti i costi enormi del doppio salvataggio e snaturare per sempre il modello liberale del capitalismo Usa".

Altre soluzioni, per il trader milanese, non ne esistono. E oltre tutto bisogna fare presto, perché la velocità con cui questa crisi si sta avvitando su se stessa è impressionante. Per questo, in attesa che qualcuno decida qualcosa, l'operatore ipotizza addirittura il ricorso all'arma fine di mondo: "Se questo è il clima, ci può stare anche che le autorità decidano, da un giorno all'altro di chiudere le Borse. È un'ipotesi estrema, è chiaro, che in Italia è successa solo nel luglio '81 dopo lo scandalo P2, e in America dopo l'attacco alle Torri Gemelle dell'11 settembre. Ma ora come ora non mi sento di escludere niente. Qualcosa bisogna pur fare. Bisogna prendere il toro per le corna. Anzi, stavolta bisogna prendere l'orso per la coda, visto che sul mercato, di tori, non ce ne sono più".

(18 settembre 2008)
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Capitalismo di Stato

Messaggioda franz il 18/09/2008, 9:19

IL COMMENTO
Capitalismo di Stato
di FEDERICO RAMPINI

Le drammatiche convulsioni dei mercati segnano la fine di un'epoca, e la fine del capitalismo americano come lo avevamo conosciuto. La nazionalizzazione della più grande compagnia assicurativa mondiale, l'American International Group rilevato dalla banca centrale Usa con un'iniezione salvavita di 85 miliardi di dollari, è stata un gesto estremo. Non ha precedenti in un secolo di vita della Federal Reserve. A malincuore l'autorità monetaria ha dovuto allargare a dismisura il proprio campo d'intervento, sobbarcandosi addirittura il controllo diretto di un gigante assicurativo, al termine di dieci giorni che hanno sconvolto le regole del gioco e ridisegnato la geografia dell'economia di mercato. Alle prese con una crisi storica, l'America diventa suo malgrado la patria di un nuovo capitalismo pubblico, dettato da uno stato di necessità. E' l'epilogo drammatico di un decennio di eccessi della finanza.

Se doveva arginare il panico delle Borse, la nazionalizzazione dell'Aig sembra un fiasco: ieri l'onda di paura non si è placata. Ma attenzione, non si può sapere che cosa sarebbe accaduto in assenza di questo inaudito salvataggio statale. Aig ha 116.000 dipendenti, quasi cinque volte quelli della banca d'affari Lehman lasciata fallire appena 48 ore prima. Aig emette polizze vita e gestisce fondi pensione per decine di milioni di famiglie; l'impatto sociale di una sua bancarotta poteva aprire una falla inquietante nel sistema del Welfare privatistico. Infine e soprattutto, l'Aig si era sciaguratamente "diversificata" in nuovi mestieri finanziari, come l'emissione di complessi contratti di assicurazione contro il rischio-fallimento (Credit Default Swaps).
Nati come strumenti di copertura del rischio, questi titoli "esoterici" sono diventati un immenso business speculativo con diramazioni nel mondo intero. Nell'impossibilità di onorare i suoi debiti, Aig si trovava quindi al centro di una ragnatela di rapporti finanziari con tutte le assicurazioni, banche e istituzioni finanziarie del pianeta, che rischiava di trascinare con sé nel disastro. Ancora più della dimensione sociale, è questo rischio sistemico che ha fatto vacillare la fermezza di Ben Bernanke.

Il banchiere centrale che a marzo aveva dovuto allungare un "aiutino" di 30 miliardi a JP Morgan Chase per farle comprare la Bear Stearns, e che due weekend fa aveva scaricato sul contribuente americano i colossi dei mutui Fannie e Freddie (costo minimo 120 miliardi), domenica scorsa aveva finalmente opposto un secco no alle richieste di salvataggio della Lehman. Il presidente della Fed sentiva di dover scrivere la parola stop, tracciare un limite alla catena di salvataggi. Sentiva montare l'insofferenza contro l'establishment di Wall Street, la cui ingordigia e i cui errori micidiali vengono ora "abbuonati" con la socializzazione delle perdite. Ma i principii severi non hanno retto alla prova dello choc.

Bernanke ha dovuto rinnegare la sua linea del rigore di fronte all'evidenza: era semplicemente inconcepibile affrontare una bancarotta dell'Aig. E tuttavia dopo la nazionalizzazione dell'Aig la reazione dei mercati è stata quell'incubo che Bernanke sperava di evitare. Gli investitori si sono subito chiesti quale sarà il prossimo crac. Morgan Stanley, Goldman Sachs - le due ultime merchant bank sopravvissute alla carneficina - sono finite nel vortice delle speculazioni ribassiste. E se Bernanke scoprisse che anche loro sono "troppo grandi e troppo interconnesse" per lasciarle fallire? Già si affaccia al Congresso di Washington un piano d'intervento eccezionale: la creazione di un maxi-trust federale, finanziato con risorse pubbliche, che nazionalizzi una dopo l'altra tutte le banche che cadranno. L'Iri all'ennesima potenza. Solo il New Deal di Franklin Roosevelt adottò mezzi così radicali, per affrontare le conseguenze della Grande Depressione.

Si può ironizzare sul fatto che queste spregiudicate nazionalizzazioni vengono dalla patria del liberismo e da un'amministrazione repubblicana che venerava lo "Stato minimo". Oppure ci si può inchinare di fronte a una qualità che caratterizza una certa classe dirigente americana, di cui Bernanke è un perfetto esponente: il pragmatismo. Se siamo di fronte a una crisi di proporzioni storiche, come sostengono Alan Greenspan e Mario Draghi, non serve più a nulla invocare i principii. Perfino la coerenza passa in secondo piano. Quando l'aereo è in picchiata non si chiede al pilota di consultare il manuale d'istruzioni: è il momento in cui la salvezza può dipendere dai riflessi istintivi, dall'intuizione giusta, dalla capacità di navigare a vista. Bernanke e il ministro del Tesoro Henry Paulson procedono a tentoni, con una visibilità nulla sul futuro. Se ce la faranno a uscirne, le nuove regole del gioco le stanno scrivendo loro in queste ore. Altrimenti il giudizio storico sarà pesantissimo.

I "precedenti" non sono di alcun aiuto. Certo l'America fu capace di altrettanto pragmatismo quando sotto Nixon, Carter e Reagan usò denari pubblici per salvare la Lockheed, nazionalizzare temporaneamente la Chrysler, ripianare i buchi di bilancio delle casse di risparmio. Ma nessuna di quelle bancarotte aveva una caratteristica della tempesta attuale: la capacità di destabilizzare l'intera economia globale. Il provvedimento con cui il governo russo ieri ha dovuto chiudere la Borsa di Mosca (un infausto presagio che potrebbe contagiare altri mercati) è emblematico della dimensione nuova di questa crisi.

E' proprio la dimensione inusitata, quella che fa sorgere un dubbio tremendo: che l'ampiezza della metastasi e la gravità della malattia superi perfino i mezzi della più potente banca centrale e della nazione più ricca del pianeta. Ieri non è sfuggito ai mercati un provvedimento eccezionale: il Tesoro di Washington ha dovuto varare in fretta e furia delle emissioni speciali di titoli per rifinanziare la stessa Federal Reserve. L'autorità monetaria americana - pur essendo per definizione il creditore di ultima istanza, dotato della facoltà di stampar moneta - deve farsi rifinanziare con un nuovo canale di debito pubblico. Dunque ecco il Tesoro che "presta" alla Fed. Ma chi presta al Tesoro? E chi finanzierà il maxi-trust - l'Iri made in Usa - se il Congresso sarà costretto a varare il piano delle nazionalizzazioni bancarie a tappeto?
Certo le famiglie americane dovranno subìre un ridimensionamento del loro tenore di vita, e per generazioni ripianeranno questi debiti con le loro tasse. Intanto i Treasury Bonds (i Bot americani) li abbiamo comprati anche noi, ne sono strapieni i portafogli di tutte le istituzioni finanziarie del mondo: le assicurazioni europee e asiatiche, i fondi comuni italiani, la banca centrale di Pechino. L'effetto-contagio è appena agli inizi.
(18 settembre 2008)
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Re: Borse e mercati

Messaggioda franz il 18/09/2008, 9:26

chiudere le borse in caso di eccesso di ribasso (speculativo o no che sia) mi pare una operazione di buon senso.
Di solito si sospendono singoli titoli, in questi casi. Per fronteggiare l'attuale ondata forse chiuder ele borse per una settimana puo' essere utile.
Ma l'operazione andrebbe fatta anche per eccesso di rialzo (speculativo o no che sia) per evitare poi rapidi crolli.
Il tempo di predisporre nuove regole e poi si potrebbe riaprire.
Per esempio sarebbe importante, d'ora in poi, che gli investitori versassero ogni volta tutto il capitale per le loro operazioni, come fanno i comuni mortali quando comprano obbligazioni o azioni.
Questo porterebbe ad un forte rallentamento delle attività speculative al rialzo, anche se non femerebbe quelle attuali (al ribasso).
Ciao,
Franz
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