Ferrante (Cattolica): pensioni? Serviva una maggiore equità
“E’ soltanto una favoletta. Ma noi vogliamo davvero che fino a 66 anni la gente vada al lavoro? E crediamo davvero che a quell’età si alzeranno alle 6 del mattino come quando erano giovani? Vedrà che aumenteranno notevolmente le pensioni di invalidità, come altrove”.
Vincenzo Ferrante, docente ordinario di Diritto del lavoro e docente di Diritto della previdenza sociale all’Università Cattolica di Milano. Non nasconde più di una perplessità sulla riforma delle pensioni varata dall’attuale governo.
“In Svezia e in Germania, dove hanno già applicato un’età pensionabile elevata si è fatto semplicemente un maggiore ricorso al pensionamento anticipato per motivi di salute o altro. Si sono inoltre varate riduzioni individuali dell’orario lavorativo. In Germania sono stati previsti anche 20 giorni di ferie in più gratis. In Francia, dove in precedenza era stata portata l’età pensionabile da 60 a 62 anni si sono visti giorni di sciopero in un Paese poco avvezzo a questo genere di proteste. Il risultato è stato che Hollande ha dovuto riportare a 60 anni la soglia”.
Però il passaggio definitivo al metodo contributivo è stato visto come un sollievo per le finanze pubbliche, si parla anche di perequazione generazionale e di genere…
Sicuramente se questa pensione ci fa abbassare lo spread è un bene, come il deciso passaggio al metodo contributivo, ma per i giovani si è fatto troppo poco. Bisognava innanzitutto alzare le aliquote contributive della Gestione Separata per equipararle a quelle del lavoro subordinato: tutti al 33 per cento. Con il 27,72% siamo già vicini, ma bisognava imporre la parificazione. Perché i co.co.co. devono pagare di meno?
Però con l’innalzamento delle aliquote per il lavoro a tempo determinato qualcosa si è fatto.
Io non sono mai stato d’accordo con l’idea che il lavoro temporaneo debba costare più di quello a tempo indeterminato. Basterebbe la parità dell’aliquota pensionistica per tutti. Quanto alla perequazione fra uomini e donne ricordo che l’idea funesta era stata quella di togliere la parità nel 2003. Le introdusse Maroni e fu un errore, oggi si è soltanto rimediato.Piuttosto si dovrebbe imporre una soglia massima alle pensioni pubbliche (per esempio in Germania non si possono superare i 3000 euro). Si dovrebbe intervenire anche sui vitalizi di senatori e deputati. Questi sì che sarebbero segnali di equità.(Questo qua, è da nominare Ministro al posto di Fornero e Patroni Griffi)
Cosa c’è di positivo in questa riforma secondo lei?
Il fatto che si siano adeguati i coefficienti di trasformazione in modo da favorire coloro che rimangono sul posto di lavoro più a lungo.
Cosa pensa degli esodati?
E’ una questione spinosa. Ma ricordo che si tratta di massima parte di persone di 52-53 anni: prendiamo i bancari che hanno una permanenza nel Fondo per 6 anni e a 53 anni hanno cominciato a ottenere per non lavorare l’80% dei contributi per il resto del tempo che li separa dal pensionamento effettivo. Le banche pagano e non si capisce perché debbano mantenere questo privilegio di anzianità ridotta e di versamenti per stare a casa. Basterebbe il 20% in più per mantenerli al lavoro a servizio pieno, ora mi sembra che Intesa abbia avviato degli interventi, ma francamente sono situazioni ancora incomprensibili. Il loro numero? Semplice sono 65 mila l’anno, come previsto dalla Fornero, che per 5 anni ci dà la cifra di circa 320 mila (togliendo alcuni casi specifici, si giunge dunque alla cifra dell’Inps). Quello che inquieta è ancora una volta la constatazione di una superficialità estrema. Va però detto che con questa riforma si mantiene al lavoro chi ha più di 40 anni di contributi in quanto l’assegno pensionistico aumenta, a differenza di prima. Quando, però, i contributi in eccesso andavano al pubblico.
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