Europa / Conti Pubblici
PERCHÉ GLI EUROBOND NON SONO LA SOLUZIONEdi Giancarlo Perasso 01.06.2012
Lungi dal risolvere la crisi, l'emissione di eurobond con gli attuali assetti politico-istituzionali europei comporterebbe più danni che benefici, sia dal punto di vista del rafforzamento delle democrazie europee, sia da quello strettamente economico. Darebbero il pessimo segnale di premiare governi che non seguono politiche fiscali rigorose, ponendo le basi per una spirale debitoria fuori controllo in tutta l'area. Per essere efficaci richiederebbero un cambiamento nell'architettura istituzionale europea. E dunque i tempi lunghi dell'approvazione di un Trattato.
Molti accademici, politici e organismi internazionali da tempo sostengono che l’Eurozona ha bisogno di emettere eurobond per superare l’attuale crisi e rilanciare la crescita. (1)
Questa posizione ha preso rinnovato vigore dopo la nomina di Mario Monti a primo ministro in Italia e l’elezione di François Hollande alla presidenza in Francia. Il più importante oppositore è il governo tedesco, che ha più volte ripetuto di non essere disponibile a trattare l’emissione di eurobonds. Ma è contrario agli eurobond anche il presidente della Bce Mario Draghi. (2)
Malgrado le obiezioni, il tema continua a essere predominante nelle discussioni sulla crisi della zona euro nella convinzione che rappresentino una importante componente della sua soluzione. A mio parere, invece, gli eurobond, nelle attuali condizioni politico-istituzionali europee, non solo non aiuterebbero a risolvere la crisi, ma la loro emissione comporterebbe più danni che benefici, sia dal punto di vista del rafforzamento delle democrazie europee, sia dal punto di vista strettamente economico.
I PROBLEMI DEGLI EUROBONDPer semplicità, supponiamo che l’Eurozona sia composta da due paesi, A e B, con governi nazionali eletti dai rispettivi cittadini: il paese “A” è un paese “cicala”, il paese “B” è un paese “formica”. Supponiamo ora che si pensi di emettere un eurobond per aiutare il paese A. Per il cittadino di A, i benefici sono chiari: nessun (o contenuto) aumento delle tasse, mantenimento o aumento del livello di spesa pubblica e quindi sforzo di aggiustamento più morbido. Per il cittadino del paese B, al contrario, si prospetta un aumento delle tasse e un possible contenimento della spesa pubblica causa l’aumento del deficit e del debito per sussidiare il paese A.
Il problema di deficit di democrazia è che le spese del paese A sono decise dal governo del paese A, eletto dai cittadini del paese A mentre i cittadini del paese B non hanno voce in capitolo nell’elezione del governo del paese A, ma sono chiamati a contribuire al finanziamento di queste spese. Possiamo immaginare che i cittadini del paese B non siano molto contenti e probabilmente non ri-voterebbero per il loro governo in carica. I più estremi potrebbero pensare che l'unione monetaria tra A e B non è poi una grande idea e valuterebbero l’opportunità di uscire loro, i più forti, dall’Unione. In pratica, è sempre la stessa storia: no taxation without representation. Devo pagare per rimborsare gli eurobond? Allora voglio anche scegliere chi spende quei soldi.
Dal punto di vista della politica economica, il segnale che darebbe l’emissione di eurobond sarebbe quello di premiare governi che non vogliono seguire politiche di aggiustamento fiscale e quindi si porrebbero le basi per una spirale debitoria fuori controllo non solo per quei paesi ma anche per altri, il ben noto problema del “moral hazard”. Se si emettono eurobond per un paese, infatti, perché non per un altro? Quindi, gli incentivi per seguire politiche fiscali prudenti verrebbero abbandonati in quanto “tanto poi ci sono gli eurobond e pagherà qualcun'altro”.
DEBITO SENIOR E DEBITO JUNIORNaturalmente, il problema del “moral hazard” non è stato dimenticato dai sostenitori degli eurobond. Ci sono stati suggerimenti di diverso tipo: gli eurobond sarebbero senior rispetto agli altri titoli, nel senso che verrebbero rimborsati prima degli altri e quindi comporterebbero un rischio minore; potrebbero essere emessi in ammontari ben definiti e in presenza di collaterale. (3)
Se gli eurobond fossero senior, allora gli altri junior bond porterebbero un premio al rischio più elevato proprio perché junior. Quando c'è parità di trattamento tra chi detiene titoli di uno stato sovrano, in caso di haircut ciascuno corre lo stesso rischio; ma se ci fossero due categorie di bond i detentori di titoli junior richiederebbero un premio extra, per l’essere appunto potenzialmente penalizzati in misura maggiore in caso di ristrutturazione. In definitiva, il costo medio del servizio del debito sarebbe una media ponderata delle due categorie: non credo sarebbe molto diverso rispetto al caso di assenza di eurobond. Inoltre, la presenza di titoli junior e senior segmenterebbe il mercato, così limitandone la profondità e, in definitiva, la trasparenza dei segnali che il mercato darebbe ai policy-makers.
Supponiamo che in effetti gli eurobond abbassino il servizio del debito grazie alla credibilità aggiuntiva dovuta all’aver depositato un collaterale e ad averne limitato l’emissione. Ma la credibilità aggiuntiva potrebbe non essere sufficiente perché il paese in questione ne goda i benefici. Si pensi al Brasile del 2002: negli anni precedenti, aveva emesso dei Brady bonds, titoli il cui principale era garantito da titoli del Tesoro statunitense, ma ciò non ha impedito che i rendimenti degli altri titoli raggiungessero il 20-30 per cento, cioè un livello non sostenibile, quando fu eletto presidente Lula. (4) Solo politiche fiscali molto aggressive sotto l’egida del Fondo monetario permisero ai rendimenti di scendere e di innescare una spirale debitoria virtuosa. In un altro caso, l’esistenza di Brady bond non ha impedito all’Argentina di fare default anche su di essi, lasciando al Tesoro statunitense il rimborso del principale quando andranno in scadenza. (5)
L’obiezione allo scenario argentino è che il “fiscal compact” garantisce che la politica fiscale nazionale sarà prudente dal momento che il deficit strutturale non potrà essere superiore allo 0,5 per cento del Pil. Le prime indicazioni non sono però rassicuranti, basti pensare che in marzo il nuovo primo ministro spagnolo, Mariano Rajoy, subito dopo aver firmato l’assenso del suo governo al fiscal compact, ha annunciato che il suo paese non era in grado di rispettare gli impegni fiscali presi pochi mesi prima dal precedente governo e che quindi un nuovo, meno restrittivo, obiettivo andava definito con la Commissione. Cosa che è puntualmente avvenuta.
La credibilità del fiscal compact è oggi simile a quella del vecchio Patto di stabilità, cioè molto bassa. E una forte condizionalità deve essere pre-condizione all’emissione di eurobond, dal momento che buona parte di queste risorse andranno a paesi con posizioni fiscali precarie. Ma se gli eurobond sono associati a qualche forma di condizionalità, esistono già il Fondo monetario internazionale, l’Efsf e, tra breve, l’Esm: perché c’è bisogno degli eurobond? Meglio rafforzare l’Esm, allora, che concederà assistenza “under strict economic policy conditionality” piuttosto che emettere eurobond che non fanno parte di un programma di assistenza a condizioni ben precise. (6)
In conclusione, credo che vedremo gli eurobond, prima o poi. Ma la loro emissione richiede un cambiamento nell’architettura istituzionale europea prima della loro introduzione e questo cambiamento non è fattibile nel breve periodo. In particolare, senza un governo, o almeno un ministero delle Finanze europeo, ogni proposta di emissione di eurobond è destinata a morire sul nascere per il deficit di legittimazione democratica e scarsa credibilità descritti in precedenza. (7) E sappiamo tutti che la creazione di un ministero delle Finanze europeo richiede l’approvazione di un Trattato e quindi non è cosa da tempi brevi.
(1) La letteratura sugli eurobond è oramai vastissima. Su lavoce.info si veda Angelo Baglioni Eurobond: le proposte sul tappeto, lavoce.info, 26 agosto 2011 e Paolo Manasse My name is Bond, Euro Bond, lavoce.info, 17 dicembre 2010. Tra i primi articoli sulla stampa si veda J.C. Juncker e G. Tremonti “E-bonds would end the crisis”, Financial Times, 5 dicembre 2010. Recentemente, anche l’Oecd si è espresso a favore dell’emissione di eurobond, si veda: “OECD backs call for eurobonds”, The Daily Telegraph, 22 maggio 2012.
(2) In una intervista a Bild Zeitung, riportata in ECB Draghi: Too Early For Eurobonds, Transfer Union Now, MarketNews International, 22 marzo 2012 Mario Draghi dichiara: "The general rule is: If we want to protect tax-payers' money, the Eurozone must not turn into a transfer union in which one or two countries pay and the rest spends and all of this is financed by common Eurobonds. This must not be”.
(3) Si veda Angelo Baglioni e Umberto Cherubini, Eurobond senza costi per la Germania?, lavoce.info, 11 ottobre 2011.
(4) Il candidato Lula era un sostenitore del ripudio del debito estero.
(5) Si tratta dei “par bonds” denominati in dollari e con scadenza 2023.
(6) Si veda, Factsheet - Treaty establishing the European Stability Mechanism, 2 February 2012.
(7) Lo stesso Mario Draghi ha recentemente dichiarato che "Euro bonds make sense when you have a fiscal union, otherwise they don't make sense", secondo quanto riportato dall’agenzia Agi il 24 maggio 2012.http://www.lavoce.info/articoli/pagina1003102.html