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540 miliardi di sommerso. Un paese anormale.

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540 miliardi di sommerso. Un paese anormale.

Messaggioda flaviomob il 31/03/2012, 13:02

Il problema dell'Italia? L'articolo 18, è ovvio! :lol:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03 ... es/200924/

Eurispes: il sommerso vale un terzo del Pil
Solo una famiglia su 3 arriva a fine mese


Secondo i calcoli dell'istituto di ricerca il "nero" produce una ricchezza pari al prodotto interno di Finlandia, Portogallo, Romania e Ungheria messi insieme. I doppiolavoristi sarebbero 6 milioni e metà degli italiani dichiara meno di 15mila euro

L’economia sommersa in Italia vale tra i 529 e i 540 miliardi di euro, più di un terzo del Pil ufficiale. La stima è dell’Eurispes. In Italia nel 2010 il “nero” avrebbe generato almeno 529 miliardi di euro, mentre per il 2011 il volume stimato del sommerso è di 540 miliardi, pari a circa il 35% del Prodotto interno lordo italiano. Le cifre sono contenute nel rapporto “L’Italia in nero”, realizzato dall’istituto di ricerca e dall’Istituto San Pio V.

Secondo i calcoli dell’Eurispes il sommerso “equivale ai Pil di Finlandia (177 miliardi), Portogallo (162 miliardi), Romania (117 miliardi) e Ungheria (102) messi insieme”. “Ai 280 miliardi di euro circa derivanti dal lavoro sommerso – spiega il rapporto – si aggiungono 156 miliardi di sommerso generato dalle imprese italiane”. Nello studio si specifica che “è stato possibili stimare questo dato basandosi sulle operazioni condotte dalla Guardia di Finanza: su oltre 700 mila controlli effettuati presso le imprese sono stati riscontrati 27 miliardi di euro di base imponibile sottratta al Fisco”. Quindi, aggiunge l’Eurispes “se si considera che il numero delle imprese italiane di piccole e medie dimensioni supera quattro milioni di unità, mantenendo una proporzione con i dati emersi dalle operazioni campione della Guardia di Finanza, emerge che l’economia sommersa prodotta dalle imprese arriverebbe almeno a 156 miliardi”. Inoltre “esiste una terza porzione di sommerso che si annida ad esempio nel mercato degli affitti” e che “con 93 miliardi di euro rappresenta una fetta consistente dell’’altra economia”.

Le spese per una famiglia. L’Eurispes ha stimato anche il costo mensile per i beni essenziali di una famiglia composta da quattro persone: è di 30.276 euro l’anno cioè di 2.523 euro al mese. Il rapporto si basa su una famiglia tipo (idealmente composta da due adulti e due bambini) “che risparmia su tutto ma non fa mancare nulla ai figli e conduce un’esistenza quasi spartana ma dignitosa”. Solo la spesa alimentare per una famiglia tipo è pari a 825 euro (va da un massimo di 950 euro al mese nelle regioni del nord-ovest ad un minimo di 748 euro al mese nel Mezzogiorno). Secondo l’Eurispes, guardando alle diverse voci di spesa, in media per l’abbigliamento un nucleo di quattro persone spenderebbe 240 euro al mese, per la casa 890 euro e per le spese medico-sanitarie 950.

Solo una famiglia su tre arriva a fine mese. Solo un terzo delle famiglie italiane, spiega lo studio, arriva “tranquillamente” a fine mese. Tra gli altri punti emersi dalla ricerca almeno 500mila famiglie hanno difficoltà ad onorare i mutui per la casa, aumenta il credito al consumo dettato dalla necessità e cresce la povertà cosiddetta “in giacca e cravatta”, cioè quella dei lavoratori costretti a usufruire di mense e dormitori per i poveri. Cresce la schiera dei “working poors”, ossia quei lavoratori che, pur percependo uno stipendio, la sera, non avendo la possibilità di una casa nella quale rientrare, chiedono ospitalità nei dormitori pubblici. Alla povertà di lungo periodo si va sempre più affiancando una povertà circoscritta a eventi temporanei.

Metà degli italiani dichiara meno di 15 mila euro. Secondo il rapporto di Eurispes e Istituto Pio V con riferimento all’anno d’imposta 2009 poco meno della metà dei contribuenti persone fisiche (20,3 milioni, 49,1% del totale) ha dichiarato nel 2010 un reddito complessivo inferiore a 15mila euro (1.250 euro su base mensile). Solo lo 0,9% ha dichiarato più di 100mila euro.

Sei milioni di doppiolavoristi. L’Eurispes ipotizza anche che almeno il 35% dei lavoratori dipendenti “sia ormai costretto ad effettuare un doppio lavoro per far quadrare i conti e arrivare alla fine del mese. Questo vuol dire che sono almeno sei milioni i doppiolavoristi tra i dipendenti che, lavorando per circa quattro ore al giorno per 250 giorni, producono annualmente un sommerso” di quasi 91 miliardi di euro.


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Re: 540 miliardi di sommerso. Un paese anormale.

Messaggioda franz il 31/03/2012, 13:27

MI sembrano dati esagerati ma preferisco leggere i dati della ricerca e la metodologia, prima di emettere un giudizio definitivo. Perché se quello (35%) è il sommerso ed in piu' va aggiunto il fatturato della criminalità organizzata (non è chiaro) la situazione è peggiore di quanto si dice.

Il rapporto eurispes è qui: http://www.eurispes.it/index.php?option ... Itemid=135

Da notare lo <<Spread provinciale tra ricchezza “dichiarata” (Pil pro capite) e benessere reale>>




Rapporto sull’economia sommersa in Italia

«Tutte le analisi che l’Eurispes – sottolinea il Presidente dell’Istituto, Gian Maria Fara – aveva proposto e diffuso nel corso degli anni passati e che gli organi ufficiali avevano spesso contestato, oggi vengono comunemente accettate e condivise non più solo dai cittadini che vivono la crisi nella quotidianità, ma anche dalle stesse Istituzioni del nostro Paese. Perdita del potere d’acquisto, salari tra i più bassi d’Europa, aumento vertiginoso dei prezzi dei beni, anche quelli di prima necessità, ricorso sempre più ampio al credito al consumo come forma di integrazione al reddito, conseguente allargamento delle sacche di disagio e di povertà.

La riflessione – secondo il Presidente dell’Eurispes – deve oggi necessariamente partire da una domanda: ma come è possibile che gli italiani, nonostante la concomitanza di fattori così svantaggiosi e uno scenario economico tanto nefasto, anche rispetto alle previsioni per il futuro più prossimo, dimostrino tanta pazienza?

Se gli italiani non danno ancora vita a manifestazioni spontanee di forte, estremo, dissenso è solo perché esiste in forma diffusa nel nostro Paese un’altra ricchezza che è generata da un’economia non ufficiale: quella sommersa. Ma anche quella legata purtroppo ai business e ai proventi delle attività criminali.

Il rapporto L’Italia in nero si inserisce all’interno di un percorso di ricerca sul fenomeno del sommerso avviato dall’Eurispes e approfondito nel corso di trent’anni di vita dell’Istituto attraverso studi, ricerche, analisi e produzione di dati. Il Rapporto che, grazie anche alla collaborazione con l’Istituto di Studi Politici San Pio V, presentiamo oggi offre un quadro complessivo e quanto più possibile aggiornato dei molteplici aspetti dell’economia sommersa nel nostro Paese»

«L’Istituto di Studi Politici San Pio V, – dichiara il Presidente, Antonio Iodice – nell’ambito delle proprie attività e attraverso la stesura del suo Rapporto annuale, sta portando avanti un articolato discorso in tema di etica pubblica, al fine di promuovere la riscoperta del concetto di bene comune. La partecipazione di tutti attraverso il fisco, nonché la tenuta dei redditi familiari rappresentano basi fondamentali per la riflessione in materia, soprattutto dal punto di vista di un recupero della partecipazione civica.

In questa direzione è stata avviata una collaborazione scientifica di lungo periodo con l’Eurispes al fine di approfondire quelle tematiche che ruotano attorno al dibattito che il nostro Istituto sta promuovendo.

Il Rapporto sull’economia sommersa – spiega il Prof. Antonio Iodice, Presidente dell’Istituto di Studi Politici San Pio V – presenta un’analisi del contesto economico italiano, alla luce dei dati più recenti riguardanti l’evasione fiscale, il lavoro nero, l’azione dell’Agenzia delle Entrate, le difficoltà delle famiglie che affrontano la sindrome della terza settimana, il consumo dei beni di lusso e il fenomeno dei cosiddetti “falsi poveri”, le misure legislative miranti alla riemersione del’economia sommersa e il contrasto dell’evasione.

I dati e i risultati emersi all’interno del Rapporto offrono il ritratto di un’economia costretta a fare grande affidamento sul sommerso per affrontare la crisi, e nel quale l’evasione appare, in molti casi, quasi un’opzione di sopravvivenza».

L’economia sommersa muove nel nostro Paese circa 540 miliardi di euro. A fronte di un’inflazione in costante crescita negli ultimi 10 anni, e del livello dei salari italiani tra i più bassi d’Europa tanto da poter affermare che i lavoratori continuano ad essere pagati in lire, anche se comprano in euro, i sintomi della crisi sono ormai evidenti. Solo un terzo delle famiglie italiane, infatti, riesce ad arrivare tranquillamente a fine mese; almeno 500.000 famiglie hanno difficoltà a onorare i mutui per la casa; aumenta il credito al consumo (più del 100% tra 2002 e 2011) e cresce la povertà “in giacca e cravatta”. Uno dei mezzi principali ammortizzatori degli effetti della crisi sembra allora essere proprio l’economia sommersa, il cui valore complessivo è stimato dall’Eurispes per il 2011 in almeno 540 miliardi di euro, corrispondenti al 35% del Pil ufficiale.

Lo spread tra ricchezza “dichiarata” e benessere reale. Lo squilibrio tra entrate e uscite di cassa rileva la presenza di una ricchezza familiare “non dichiarata”, in assenza della quale anche le spese di normale amministrazione risulterebbero pressoché insostenibili nel medio/lungo termine. La discrasia tra ricchezza “dichiarata” e ricchezza reale delle famiglie italiane trova ulteriore conferma nel raffronto tra: l’esigua percentuale di redditi elevati dichiarati dai contribuenti persone fisiche (meno dell’1% supera la soglia dei 100.000 euro); il numero di super-ricchi (circa 180.000 nel 2009, in crescita rispetto agli anni precedenti) e, più in generale, le dimensioni del mercato italiano dei beni di lusso (primato europeo nel 2010 con un giro d’affari di 16,6 miliardi di euro).

Si è, quindi, deciso attraverso le analisi presentate in questo Rapporto di approfondire ulteriormente il tema del differenziale tra ricchezza “dichiarata” e “benessere reale” nel nostro Paese, adottando un approccio empirico e formulando un modello analitico basato su: la raccolta e messa a sistema di 13 variabili di contesto socio-economico regionale e provinciale; l’indicizzazione delle singole variabili oggetto di indagine; il calcolo del differenziale tra indicatori proxy della ricchezza “dichiarata” (Pil pro capite e reddito disponibile delle famiglie) e la media degli indicatori proxy del benessere. A valori negativi del differenziale corrisponde un benessere reale superiore alla ricchezza dichiarata e, quindi, un livello più o meno elevato di economia sommersa.

Per una più agevole lettura dei risultati, i valori differenziali sono stati, infine, riparametrati in base 100, per cui: a valori Indice pari o prossimi a 100 corrisponde un benessere reale certamente sostenibile in termini di ricchezza “dichiarata”; a valori Indice superiori a 100 corrisponde un benessere reale insostenibile in termini di ricchezza “dichiarata”, ovvero una maggiore incidenza del sommerso sull’economia del territorio.

A livello regionale si sottolinea, in particolare, il primato assoluto della Puglia, con uno spread di 54, seguita da Sicilia, Campania e Calabria (spread rispettivamente di 53, 51 e 50). Si registrano invece valori intermedi di spread (compresi tra 40 e 50) in sei regioni, di cui cinque nel Mezzogiorno (Molise, Abruzzo, Sardegna, Basilicata) e una nel Centro Italia (Umbria). Mentre valori minimi di spread (inferiori a 30) sono riscontrabili nelle rimanenti 11 regioni, localizzate in massima parte nel Nord Italia, con valori minimi in Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Lombardia (spread, rispettivamente, di 1, 11 e 12).

In 18 province lo spread supera quota 50 punti (Catania, Ragusa, Sassari, Brindisi ed Agrigento in testa, con spread pari o superiore a 57). Altre 60 province (la maggioranza assoluta) ha uno spread compreso tra 20 (Reggio nell’Emilia) e 50 (Avellino, Siracusa, Reggio di Calabria).

La tabella successiva illustra nel dettaglio lo spread provinciale.
Spread provinciale tra ricchezza “dichiarata” (Pil pro capite) e benessere reale
Anno 2012
Valori indice
tabella_spread
Fonte: Stima Eurispes.

http://www.eurispes.it/images/stories/t ... spread.jpg

I redditi dichiarati dagli italiani. Sulla base delle statistiche ufficiali del Ministero dell’Economia e delle Finanze relative alla dichiarazione dei redditi degli italiani ai fini del calcolo dell’Irpef, il numero di contribuenti-persone fisiche è pari a 41,5 milioni (2009). La tipologia di dichiarazione maggiormente utilizzata è il Modello 730 (17,2 milioni di contribuenti, 41,5% del totale), seguito dal Modello 770 (13,7 milioni di contribuenti, 33% del totale) e dal Modello Unico (10,5 milioni di contribuenti, 25,5% del totale); i maschi rappresentano la maggioranza assoluta dei contribuenti (21,8 milioni, 52,7% del totale), contro il 47,3% delle contribuenti femmine (19,6 milioni). La più alta percentuale di contribuenti si registra nel Nord-Ovest (11,7 milioni, 28,2% del totale) rispetto al Nord-Est (8,7 milioni, 21,1% del totale), al Sud (8,5 milioni, 20,6% del totale), al Centro (8,3 milioni, 20,2% del totale) e alle Isole (4 milioni, 9,8% del totale); il primato assoluto spetta alla Lombardia, nella quale si concentra il 17,1% dei contribuenti-persone fisiche (7,1 milioni), mentre l’incidenza delle altre regioni sul totale nazionale è inferiore al 10% e compreso tra il 9,2% del Lazio e lo 0,2% della Valle d’Aosta (rispettivamente 3,8 e circa 100.000 contribuenti).

Analizzando le dichiarazioni dei redditi 2010 dei 41,5 milioni di contribuenti-persone fisiche (anno d’imposta 2009), si rileva, anzitutto, l’estrema eterogeneità del dato relativo al reddito medio dichiarato (media nazionale di 19.030 euro) in relazione all’area geografica e alla regione di riferimento. In particolare:

nel Nord-Ovest si registra il più alto reddito medio dichiarato, pari a 21.553 euro (+13,3% rispetto al dato medio nazionale). Seguono il Centro e il Nord-Est con un reddito medio dichiarato di circa 20.000 euro (+5% rispetto al dato medio nazionale, -7% rispetto al Nord-Ovest). Notevolmente distanziate le altre due aree geografiche, essendo il reddito medio dichiarato pari a 15.686 euro nelle Isole (-17,6% rispetto al dato medio nazionale, -27,2% rispetto al Nord-Ovest) e a 15.316 euro nel Sud (-19,5% rispetto al dato medio nazionale, -28,9% rispetto al Nord-Ovest). A livello regionale, è la Lombardia a detenere il primato per reddito medio dichiarato (22.430 euro, +17,9% rispetto alla media nazionale), seguito dal Lazio (21.440 euro, +12,7% rispetto alla media nazionale) e dalla Valle d’Aosta (20.690 euro, +8,7% rispetto alla media nazionale). Situazione diametralmente opposta in Molise, Basilicata e Calabria, dove si registrano i più bassi redditi medi dichiarati, pari, rispettivamente, a: 14.690 euro (-22,8% rispetto alla media nazionale); 14.580 euro (-23,4% rispetto alla media nazionale); 13.860 euro (-27,2% rispetto alla media nazionale). Complessivamente, il differenziale tra i due estremi regionali (Lombardia e Calabria) è superiore al 60% (circa 8.500 euro).

Poco meno della metà dei contribuenti-persone fisiche (20,3 milioni, 49,1% del totale) ha dichiarato nel 2010 un reddito complessivo inferiore a 15.000 euro (1.250 euro su base mensile), mentre la stessa percentuale, riferita alle successive classi di importo, tende a decrescere all’aumentare del reddito complessivo dichiarato (35,2% tra 15.000 e 30.000 euro di reddito; 11,3% tra 30.000 e 50.000 euro; 3,5% tra 50.000 e 100.000 euro; solo lo 0,9% più di 100.000 euro). Tra coloro che hanno dichiarato un reddito complessivo inferiore ai 15.000 euro l’11,8% si colloca al di sotto dei 1.000 euro (5,6% del totale dei contribuenti), il 16,1% nella fascia 7.500-10.000 euro (7,7% del totale dei contribuenti), mentre il 19,4% nella fascia 12.000-15.000 euro (9,2% del totale dei contribuenti).

Infine, relativamente alla tipologia di reddito, quelle maggiormente dichiarate dai contribuenti-persone fisiche sono i redditi da lavoro dipendente, da fabbricati e da pensione in termini di: numero di contribuenti (rispettivamente 20,8, 20 e 15,3 milioni) e reddito complessivamente dichiarato (rispettivamente 413, 36 e 223 miliardi di euro).

L’analisi delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti-persone fisiche è propedeutica all’elaborazione di un modello statistico in grado di valutare la sostenibilità dei consumi delle famiglie italiane (con esplicito riferimento a talune tipologie in termini di numero di componenti e classi di reddito) nelle ipotesi in cui: il reddito dichiarato corrispondesse a quello realmente percepito dai contribuenti; il reddito dichiarato corrispondesse solamente ad una parte, più o meno consistente, del reddito realmente percepito dagli italiani, i cui consumi verrebbero quindi sostenuti anche da altre fonti di reddito (economia sommersa).

940 miliardi di euro l’anno: la spesa realmente sostenuta dalle famiglie. A tanto ammonta la spesa attualmente sostenuta dalle famiglie per l’acquisto di beni (durevoli e non) e servizi, che ha registrato, nell’arco temporale che va dal 2000 al 2009, un incremento significativo, seppur in parte ridimensionato nel corso del 2009 a causa della grave e generalizzata crisi economica. Nel 2000, la spesa complessiva delle famiglie italiane era pari a circa 727,2 miliardi di euro (valori a prezzi correnti); dieci anni più tardi, nel 2009, lo stesso valore ha superato i 918,6 miliardi di euro, con una flessione del 2% rispetto al 2008 e un incremento, rispetto al 2000, del 26,3%. Nel corso del 2010, la spesa complessiva delle famiglie italiane è tornata a crescere, registrando un incremento del 2,4% rispetto al 2009.

Il bilancio familiare letto attraverso le spese di una “famiglia tipo”. Individuando le caratteristiche di una famiglia tipo (idealmente composta da due adulti e due bambini che risparmia su tutto ma non fa mancare nulla ai figli e conduce una esistenza quasi spartana ma dignitosa), l’Eurispes ha quantificato il costo mensile necessario per mantenere stabile il livello del tenore di vita individuato.

Per le sole spese alimentari si va da un massimo di 950 euro in media al mese nelle regioni del Nord-Ovest ad un minimo di 748 euro al mese nel Mezzogiorno, con una media nazionale di 825 euro/mese.

Forti differenze si ritrovano anche per le spese della casa: nel Nord-Est e del Sud, ad esempio, per un trilocale e servizi si possono spendere 850 euro al mese; nelle Isole circa 700 euro. Mentre al Nord-Ovest e al Centro si raggiungono in media cifre comprese tra i 1.050 e i 1.100 euro (media nazionale 890 euro/mese).

Per le spese di trasporto la spesa media mensile si attesta complessivamente a 339 euro/mese con una valore massimo calcolato per il Nord-Est (370) e quello minimo nelle Isole (310 euro). Invece, le uscite del bilancio familiare dedicate agli acquisti per l’abbigliamento raggiungono in media 240 euro mensili.

A queste voci di vanno aggiunte le bollette, i costi per la mensa scolastica dei bimbi, la cui spese media mensile per famiglia tipo si aggira attorno ai 150 euro. Se si aggiungono anche le spese medico-sanitarie (medicinali, analisi, esami, dentista, ecc.) i valori aumentano di circa 950 euro l’anno.

In conclusione, si è potuto calcolare che il costo medio per i beni essenziali di una famiglia composta da quattro persone è di 30.276 euro l’anno, cioè di 2.523 euro al mese.

Se alle voci considerate si aggiungessero categorie quali comunicazione, arredamenti, tempo libero, cultura, sport e le spese impreviste, la spesa mensile necessaria subirebbe un aumento di circa il 25%. Il che equivale ad una spesa mensile complessiva di 3.154.

Come è facile intuire, il reddito medio delle famiglie, non arriva a questa cifra. Come spiegare, allora, la circostanza che le famiglie che si trovano nelle condizioni ipotizzate dall’Eurispes e che non sono certamente poche nel nostro Paese, possano sopravvivere? La risposta arriva dalle rilevazioni della Banca d’Italia che ci dimostrano come in moltissime famiglie al reddito da lavoro si aggiungano altri redditi: innanzitutto i trasferimenti, che possono provenire dallo Stato e dagli Enti locali e/o da altre famiglie (nonni, genitori). Una seconda fonte di entrate è data naturalmente dai redditi da capitale mobiliare e immobiliare, che per la Banca d’Italia rappresentano una quota non trascurabile dei redditi complessivi delle famiglie italiane. Infine, un’ulteriore fonte di reddito è rappresentata dal secondo lavoro, spesso esercitato in nero
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Re: 540 miliardi di sommerso. Un paese anormale.

Messaggioda franz il 31/03/2012, 13:35

Qui il rapporto http://www.istitutospiov.it/notizie/litalia-nero .... ma non è online.

Noto che nel testo originale eurispes si insiste sulle differenze locali (provinciali) di evasione ma non trovo nulla di questo nell'articolo del Fatto. Che strano.
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