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Draghi a Wsj, modello sociale Ue morto

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Draghi a Wsj, modello sociale Ue morto

Messaggioda franz il 23/02/2012, 18:55

Intervista presidente Bce
23 febbraio, 17:44

Draghi a Wsj, modello sociale Ue morto (ANSA) - NEW YORK, 23 FEB - La crisi dell'area euro mostra come il modello sociale europeo e' morto. Lo afferma il presidente della Banca Centrale Europea (Bce), Mario Draghi, in un'intervista al Wall Street Journal.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 05070.html

Draghi al Wsj: liberalizzazioni riforma prioritaria in Europa
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Re: Draghi a Wsj, modello sociale Ue morto

Messaggioda flaviomob il 24/02/2012, 12:03

Mi pare che il modello sociale dei paesi più evoluti dell'Europa stia piuttosto bene, se guardiamo Germania e paesi scandinavi (o la stessa Svizzera, fuori dall'area euro). Paesi in cui la qualità della vita è molto più alta che negli USA ed anche la qualità dei prodotti...


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Re: Draghi a Wsj, modello sociale Ue morto

Messaggioda franz il 24/02/2012, 12:47

flaviomob ha scritto:Mi pare che il modello sociale dei paesi più evoluti dell'Europa stia piuttosto bene, se guardiamo Germania e paesi scandinavi (o la stessa Svizzera, fuori dall'area euro). Paesi in cui la qualità della vita è molto più alta che negli USA ed anche la qualità dei prodotti...

Germania e Svezia hanno fatto riforme molto profonde negli ultimi 10-15 anni. Ed anche la Svizzera riforma a cadenza decennale (in modo sistematico) la previdenza, la sanità e le altre forme di welfare. Se ne è parlato poco (chissà perché?) ma non per questo sono cose che non esistono. Proprio per questo sono i piu' "evoluti". Ora tocca agli altri.
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Re: Draghi a Wsj, modello sociale Ue morto

Messaggioda flaviomob il 25/02/2012, 1:31

Appunto. In Europa (non dappertutto, ma c'è) abbiamo l'eccellenza dello stato sociale. Paesi con la tripla A, che ora gli USA si sognano...
Draghi ha comunque sostenuto - a posteriori - che le sue dichiarazioni sono state tradotte male.

18:41 23 FEB 2012

(AGI) Roma - La crisi ha dimostrato che il modello sociale europeo e' "tutto fuorche' morto". Lo ha dichiarato il presidente della Bce, Mario Draghi, in un'intervista al 'Wall Street Journal'. Parlando della riforma del mercato del lavoro e quella del mercato dei beni e dei servizi Draghi ha dichiarato "Sono le due principali riforme strutturali che devono essere adottate a livello europeo" .

http://www.agi.it/iphone/notizie/201202 ... atto_morto

+ + + + +

Il welfare state all'europea non è morto ma potrebbe star meglio, se non lo ammazziamo prima
Prima ancora che le conclusioni, nelle scelte economiche e politiche, contano le premesse


[ 24 febbraio 2012 ]

Luca Aterini

Prima ancora che le conclusioni, nelle scelte economiche e politiche, contano le premesse

"Lo stato sociale europeo è morto!" Anzi, no. Non è propriamente morto, ma evidentemente obsoleto. Le parole del presidente della Bce, Mario Draghi, dall'intervista rilasciata sulle pagine del Wall Street Journal hanno fatto il giro dei media, e sono state rese in Italia ancora più crude a causa di un'erronea traduzione. (ma guarda che caso, peccato che il Corriere &c. non abbiano pubblicato la rettifica Ndr)

L'Europa dovrà rinunciare al modello di stato sociale che la contraddistingue? A esplicita domanda, Draghi ribatte affermando più o meno che il «modello sociale europeo è già andato quando vediamo prevalere il tasso di disoccupazione giovanile in alcuni paesi», per poi citare l'economista tedesco Rudiger Dornbusch, il quale era solito affermare che «gli europei sono così ricchi che si possono permettere di pagare chiunque per non lavorare. Questo tempo è finito» - ha chiosato Draghi.

Draghi spinge sul pedale dell'acceleratore, tirando la folata anche per il premier Monti, l'altro Super Mario chiamato a far da timoniere in questa crisi: afferma che sono necessarie riforme per incrementare l'occupazione in Europa, specialmente quella giovanile, facendo riferimento implicito specialmente alle riforma liberalizzatrice che sta investendo - di nuovo - l'economia Ue, e la riforma per aumentare la flessibilità del lavoro, voluta anche dall'italico governo tecnico.

Senza cadere nel riformismo a tutti i costi (perché non sempre tutto ciò che si muove e cambia lo fa in positivo, specialmente in tempo di crisi, incertezza e paura), qualcosa effettivamente si è inceppato nel welfare state europeo. Non per questo, però, è ora da bollarsi come sorpassato, ma anzi è necessario individuare quali sono le criticità di questo modello - che rimane uno dei tratti più distintivi ed invidiati dell'Europa intera, paese più paese meno - per guarirlo, tutelarlo e rilanciarlo più forte ed esteso di prima, tampone contro il dilagare della disuguaglianza, che poi è proprio quella ferita primigenia dalla quale è fuoriuscito il marasma economico dal quale siamo ora travolti.

Posto che qualcosa è necessario cambiare - perché altrimenti non ci troveremmo ormai da anni ad annaspare a causa della crisi - la scelta deve ricadere sul cosa e sul come. E, in questo senso, tutto dipende completamente dalle premesse che si adottano, e sulle quali si giustificano azioni e programmi. Specialmente quando ogni risultato, in particolar modo quando si gioca con teoremi, leggi e modelli economici, dipende dalle premesse che si adottano: un tratto fondamentale della scienza economica e non solo, ma sul quale solitamente si preferisce glissare.

Draghi suggerisce, giustamente, che è necessario puntare sulla ripresa dell'occupazione, giovanile e non. Subito dopo, però, precisa che questo incremento serve per rilanciare «spesa e consumi», senza ulteriori distinguo. Oppure, ancora. Draghi ritiene la via del consolidamento fiscale l'unica percorribile dall'Europa, sebbene sia cosciente che ‹‹questa è causa di contrazione economica (o meglio, di recessione, ndr) nel breve periodo››, ma viene ritenuta il presupposto per una «crescita sostenibile nel lungo periodo», se nel frattempo verranno perseguite le riforme strutturali (sopra)indicate, oltre all'indirizzare la spesa pubblica - già decurtata - in infrastrutture ed investimenti.

Le conclusioni di Draghi peccano appunto nelle premesse. Il rilancio dell'occupazione è l'imperativo forse più impellente del momento, ma non perché risulti un mezzo per rilanciare spesa e consumi tout-court, facendo riprendere ai cittadini-consumatori il ruolo di criceto all'interno della ruota del capitalismo, finché morte non li separi. È necessario rilanciare l'occupazione per dare dignità e libertà effettiva ai cittadini, ma questo non può essere ottenuto tramite una riduzione per vie traverse dei loro diritti, pena il tradimento della nuova premessa, quella della "dignità e libertà effettiva dei cittadini". I consumi e la spesa saranno semmai da riorientare verso obiettivi e modalità sostenibili: il loro ruolo è quello di mezzo, non quello di fine da perseguire.

Riguardo all'austerity necessaria per la crescita (quando sarebbe meglio parlare di sviluppo) solo nel lungo periodo, al redivivo "non ci sono alternative", sarebbe fin troppo semplice ribattere con la famosa battuta keynesiana per la quale «nel lungo periodo saremo tutti morti». Ma per quale motivo è necessario puntare su una politica dei due tempi, prima austerità e poi crescita, anziché scegliere il consiglio (anch'esso keynesiano, ma meno tagliente) rispolverato dal premio Nobel per l'economia Paul Krugman, per cui «l'austerità è la medicina da prendere in tempi di vacche grasse, mentre quando le cose vanno male rischia di uccidere il malato»? La risposta che esplicita Draghi è proprio quella che convince di più, ovvero che è evidente il timore di perdere il plauso degli schizofrenici mercati.

Anche qui, dunque, si riscontra una premessa errata. Quella che pone le leggi del mercato (o meglio, delle paure dei mercanti), strumento in mano alla democrazia, ad un livello superiore alla guida politica, ridotta impotente se non impalpabile. Porre il carro davanti ai buoi è del tutto insensato, ed è questo che porta poi a conclusioni, sì coerenti, ma fuorvianti. Appare dunque evidente che la priorità assoluta che ci si delinea di fronte è una ed una soltanto: permetterci e permettere alla democrazia di riprendersi il diritto ed il dovere di delineare e decidere quelle premesse dalle quali dipanare non solo una politica macroeconomica, ma un nuovo e sostenibile modello di vita. E per farlo deve in primis rimettere mano sul fattore "tempo", quello necessario per l'analisi e per compiere le scelte, scippato dalla turboinformatizzazione dell'economia finanziaria...

http://www.greenreport.it/_new/index.ph ... t&id=14713


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