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Il mercato del lavoro: video lezione

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Il mercato del lavoro: video lezione

Messaggioda franz il 04/02/2012, 11:03

Quando avete 40 minuti ...

Introduzione al funzionamento del mercato del lavoro

Michele Boldrin tiene una lezione introduttiva sul mercato del lavoro e la teoria economica che lo descrive.
Si parla di come sia fuorviante pensare a quello del lavoro come a un mercato qualunque in cui semplicemente si incontrano domanda e offerta. La search theory introdotta dal Nobel Stigler ne mostra le caratteristiche peculiari dovute all’eterogeneità e dinamicità di lavoratori e imprese.
Bisogna guardare oltre al salario e considerare i costi per le imprese dovuti a complessità, tassazione, burocrazie – non tutti sono necessari e introducono distorsioni a discapito dell’occupazione.
L’economia è soggetta a shock tecnologici e di produttività, l’offerta di lavoro cambia nelle sue caratteristiche. Si rende necessaria una dose di flessibilità per adeguarsi alle condizioni del mercato e un’assicurazione per il lavoratore architettata in maniera tale da incentivarlo a trovare una nuova occupazione e da far assorbire all’impresa le esternalità negative dovute al licenziamento.

SCALETTA
La puntata di oggi affronta il funzionamento del mercato del lavoro.
Il mercato del lavoro: curve di domanda e offerta.
Peculiarità rispetto agli altri mercati.
Distorsioni operate dalla fiscalità.
Search Teory
Fluttuazioni nella domanda di lavoro e meccanismi assicurativi
Gestire la fine del rapporto di lavoro da entrambe le parti

Michele Boldrin è direttore del Dipartimento di Economia della Washington University (St.Louis), fra i fondatori del blog NoiseFromAmerika ed editorialista de Il Fatto Quotidiano e Linkiesta.

Questo video fa parte della rubrica settimanale "A Conti Fatti", curata da Boldrin insieme a Massimo Famularo e Federico Invernizzi.

http://www.oilproject.org/lezione/a-con ... -2188.html

Anche su Youtube

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Ultima modifica di franz il 06/02/2012, 13:41, modificato 2 volte in totale.
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Ichino su mercato del lavoro e posto fisso

Messaggioda franz il 06/02/2012, 10:24

SE IL POSTO FISSO DIVENTA UNA GABBIA

NON C’È LEGGE, GIUDICE O SINDACATO CHE PROTEGGA MEGLIO LA DIGNITÀ, LA LIBERTÀ E LA PROFESSIONALITÀ DI CHI LAVORA DI QUANTO LE GARANTISCA LA POSSIBILITÀ DI ANDARSENE DALLA PROPRIA AZIENDA, PERCHÉ CE N’È UN’ALTRA CHE OFFRE UN TRATTAMENTO MIGLIORE

Editoriale per la Newsletter n. 186, 6 febbraio 2012

L’accenno alla “monotonia del posto fisso” fatto da Mario Monti in una tramissione televisiva la settimana scorsa è stato infelice sul piano della comunicazione. Ma il premier intendeva proporci una considerazione sensata: un tessuto produttivo vischioso, nel quale il lavoro regolare a tempo indeterminato si caratterizza per una scarsa mobilità, non fa danno soltanto agli outsiders e ai new entrants, bensì anche a chi è riuscito a trovare un posto nella cittadella del lavoro protetto. Vediamo perché.

Per qualsiasi persona che cerchi un’occupazione, le occasioni di lavoro regolare non hanno tutte lo stesso valore: è facile convincersi che la loro appetibilità per ciascun lavoratore varia tra un minimo e un massimo, per la loro diversa dislocazione geografica, il loro diverso contenuto professionale, la diversa qualità dell’ambiente e dei colleghi, con i quali si può andare più o meno d’accordo. Per ciascuno di questi aspetti, l’azienda che è il first best per una persona può essere un second o un third best per un’altra. Ed è difficile che chi cerca un lavoro trovi il first best al primo colpo: in genere occorrono alcune esperienze di lavoro diverse prima di raggiungerlo. Sovente, poi, quella che è stata una buona occasione in una prima fase della vita lavorativa perde il suo appeal col passare degli anni; qualche volta essa diventa addirittura un inferno, quando accade che il lavoratore litighi con i propri colleghi o con i propri superiori nella gerarchia aziendale.

Il lavoratore stesso ha dunque interesse a stare in un tessuto produttivo in cui ci sia una discreta mobilità non soltanto nel settore dei rapporti poco o per nulla protetti, ma anche nel settore dei rapporti a tempo indeterminato.
In Italia, invece, oggi quattro quinti dei nuovi contratti di lavoro sono contratti a termine, con un tasso di conversione a tempo indeterminato molto basso. È questo il motivo per cui nell’area del lavoro a tempo indeterminato protetto, quando l’abbinamento tra lavoratore e impresa si rivela – o diventa col passare del tempo ‑ insoddisfacente, non è soltanto quest’ultima a non poter sciogliere il rapporto, ma è anche il lavoratore a non potersene andare, per carenza di alternative se non nell’area del lavoro precario.

Occorre invece un tessuto produttivo più fluido, nel quale le protezioni siano distribuite in modo più equo e il lavoratore abbia maggiore libertà di passare da un posto a un altro senza peggiorare il proprio status giuridico. Il difetto di questa mobilità nel settore del lavoro più protetto è una delle cause della peggiore allocazione delle risorse umane e della conseguente minore produttività e più bassa retribuzione media del lavoro degli italiani.

Mario Monti si è rivolto a quella parte di essi che ancora aspira al “posto della vita”, per metterla in guardia contro il rischio che quel posto diventi una gabbia. E ha proposto loro una riflessione che può apparire ovvia, ma nella nostra cultura prevalente non lo è affatto: non c’è legge, giudice, sindacato o ispettore che garantisca meglio la libertà, la dignità e la professionalità di chi lavora di quanto le garantisca la possibilità di andarsene sbattendo la porta da un’azienda perché ce ne è un’altra che offre un trattamento migliore.



Nota di Franz: sabato ho segnalato a Ichino la videolezione di cui sopra e nel giro di poche ore mi ha ringraziato, definendola "Davvero una lezione interessantissima". Mi pare che alcuni aspetti siano stati ripresi nel testo che ha scritto ora.
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Lavoro: quattro lezioni tedesche

Messaggioda franz il 09/02/2012, 9:20

Lavoro: quattro lezioni tedesche
Oscar Giannino

Da Panorama Economy

Licenziamenti, ristrutturazioni d’impresa e CIG, lavoro nero, indennità di disoccupazione. Su questo quattro punti, a tavolo aperto da parte di Monti e Fornero, l’esempio tedesco dovrebbe parlare all’Italia.

Leggo da una tabella pubblicata sulla Frankfurter Allgemeine il 31 dicembre del 2011. Eon, 6 mila dipendenti; Media-Saturn, 3000;Nokia-Siemens, 3000; WestLB, 2700; Axa, 1600; Deutsche Telekom, 1600; Praktiker, 1400; Areva, 1300; RWE, 1000; Unicreditbank, 1000; Koeing&Bauer, 700. E via proseguendo. Sono licenziamenti. Nella tabella c’è l’intera lista delle maggiori imprese germaniche, di ogni settore della manifattura e dei servizi, che abbiano attuato dismissioni supeiori ai 200 addetti per ciascuna nel 2011: il conto finale delle 40 maggiori supera abbondantemente le 30 mila unità.

C’è una tabella a fianco. Quella delle assunzioni. Qui la lista delle maggiori imprese che hanno assunto più di 200 unità aggiuntive è più lunga, siamo a più di 60. E 15 tra esse sono superiori a 2000 nuovi assunti ciascuna come McDonald’s e BMW, su su fino ai 4000 di Daimler, ai 6000 di Volkswagen, ai 7000 di Adecco, agli 8.500 addirittura di Rundstad Deutschland. Oltre metà delle 60, hanno assunto più di mille dipendenti a testa.

Ogni anno la FAZ pubblica queste tabelle riepilogative. E’ un sano e trasparente esercizio di rendiconto delle capacità delle imprese, e delle loro difficoltà. Il senso delle tabelle è chiaro:in Germania le imprese assumono molto, ma al contempo licenziano anche molto. Se si procedere a ritroso, si osserva che più hanno iniziato ad assumere, quanto più hanno potuto al contempo anche ristrutturare al variare della domanda, dei prodotti e dei processi, e conseguentemente anche licenziare. Negli ultimi anni le cose sono andate di bene in meglio, con le crescite record del Pil al più 3.6% nel 2010 e al più 3% nel 2011, al netto di un ultimo trimestre in cui è cominciata un forte rallentamento. Ma il miglioramento da metà anni 2000 è stato graduale e costante, rispetto al 2001,-2002 e 20003-2004 in cui la disoccupazione tedesca toccò i livelli record del secondo dopoguerra, superando il 10% e le 5,5 milioni di unità, con una media superiore all’8% nella ex Germania Ovest e fino al 18% nella ex DDR. Nel gennaio 2012, i disoccupati tedeschi sono scesi al 5,5%, il minimo dal 1983 poco più della disoccupazione frizionale, 2,8 milioni di unità cioè meno della metà rispetto a 7 anni prima.

E stato solo merito della ripresa economica? Concordano economisti e studiosi di ogni scuola: nossignore, non è stato solo merito della ripresa. Anzi, la ripresa è venuta tanto più robusta perché, tra le altre cose, la politica tedesca e innanzitutto la SPD di Schroeder misero mano a un coraggioso pacchetto complessivo di riforma del mercato del lavoro e del welfare, articolato nei quattro pacchetti Hartz del 2002-2003, che hanno preso il nome da uno che di mercato del, lavoro s’intendeva, visto che Peter Hartz era l’ex capo del personale della Volkswagen.

Ho scritto “tra l’altro”, perché le riforme Hartz da sole neppur esse avrebbero spiegato il miracolo tedesco. I 30 punti di competitività guadagnati sull’Italia da allora dipendono non solo dal mercato del lavoro cambiato. Hanno concorso al successo due altri pilastri. Grandi contratti di produttività condivisi e non avversati dal sindacato in tutti i grandi gruppi di Deutschland AG – in parole povere: più lavoro flessibile per retribuzione ferma o addirittura cedente, solo negli ultimi due anni siamo in presenza di richieste salariali superiori all’inflazione, a successo avvenuto e registrato. E poi uno Stato che ha deciso di darsi un’energica riregolata abbattendo spesa pubblica e tasse di più di 6 punti di Pil, per pesare meno sulla Germania produttiva e sul lavoro.

Ma qui parliamo appunto di riforma del mercato del lavoro. E sono tanti, gli spunti offerti dai pacchetti Hartz che stridono con le proposte che alcuni qui da noi avanzano al tavolo aperto dal governo Monti e dal ministro Fornero. Stridono con molti luoghi comuni italiani, su almeno quattro diversi punti: sia sui licenziamenti, sia sul tema della durata dell’equivalente della nostra CIG, sia sul lavoro nero o precario e sui relativi costi e contributi, sia infine sulle indennità di disoccupazione.

Poiché l’obiettivo dei diversi interventi è stato quello di potenziare l’occupabilità, sì, è stata toccata anche la materia qui tabù dei licenziamenti. E’ stato deciso di non applicare la precedente tutela per le aziende che coi nuovi assunti superavano dal 2004 la soglia dei 10 dipendenti – equivalente alla nostra dei 15 dipendenti, stabilita nello Statuto dei lavoratori - e di consentire a tutti i dipendenti l’opzione di rinunciare alla tutela giudiziale in cambio di un indennizzo pari a mezza mensilità per ogni anno di anzianità.

Non solo si è riformato l’intero impianto del collocamento pubblico, in un’ottica totalmente mista pubblico-privato, sussidiaria e aperta alla somministrazione di lavoro sia a tempo indeterminato sia determinato che part time. La legge che ha fatto del part time una grande forma di conciliazione dei tempi parentali era in Germania precedente, del 2000. E a fine 2008, di fronte ai morsi della crisi, si è deciso una sua estensione con rapporti part time che arrivano fino a 6 mesi di non lavoro in attesa che l’impresa valuti se procedere al riassorbimento o meno degli addetti (l’equivalente della nostra Cig, che da noi estesa in forma straordinaria può durare invece anni e anni).

Ma al contrario di quel che si pensa da noi, per favorire anche i mini jobs – cioè quella che si definisce spesso precarietà in nero e a bassa qualifica – non si è affatto pensato che fosse utile alzare tasse e contributi per renderli svantaggiosi, perché così si avrebbe solo ottenuto l’effetto di far scomparire quelle forme di occupazione, o di farle restare vieppiù in nero. In Germania al contrario si è deciso a questo scopo di innalzare la quota di salario non soggetta a imposizione fiscale di qualunque genere fino ai 400 euro, e di tenere fino agli 800 euro aliquote fiscali e contribuitive iper-ridotte. Allo stesso modo, per l’auto occupabilità si sono concesse aliquote di grande favore alle imprese che prestano servizi in mansioni non complesse, le cosiddette Ich-AG, fondate da disoccupati. In questo caso l’aliquota è del 10% fino ai 25mila euro di reddito l’anno, e l’agevolazione sale ulteriormente se all’impresa sono associati componenti della famiglia.

Infine, si è intervenuti con decisione suitrattamenti di integrazione del reddito. Il sussidio di disoccupazione di natura assicurativo-contributiva e dunque a carico per lo più delle imprese è stato ridotto – non aumentato ma ridotto – dai precedenti 32 mesi a 12 o eccezionalmente 18, in base all’età del disoccupato e per un importo pari al 60% del salario op del 67% se con un figlio a carico. Il disoccupato non si può sottrarsi alle proposte di rioccupazione, altrimenti il diritto decade . E il sussidio per le persone in grado di lavorare non è più cumulabile, come in precedenza, con il sussidio sociale di indigenza. Quest’ultimo,a carico della fiscalità generale, e con contributi per una casa e per il sostentamento, gestito dai Comuni, è riservato agli inabili temporanei o permanenti per almeno tre ore di lavoro al giorno al lavoro, è proporzionato al carico familiare, ed è gestito dai Comuni che si riservano di offrire a questa fascia lavori socialmente utili a bassa intensità e bassa remunerazione (fino a 3 euro l’ora e anche meno, in Italia sarebbe considerato uno scandalo). Inutile,dire che bisogna comunicare tempestivamente ogni cambiamento del reddito, e che i controlli sono rigorosi e implacabili.

Su questi quattro punti, io sono per la linea tedesca. E possibile farla costare meno alle imprese e meno ai lavoratori, se lo Stato decide di dimagrire invece di continua[re ad ingrassare]
http://www.chicago-blog.it/2012/02/08/l ... -tedesche/
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