Gli investimenti esteri in Italia

Questa è una notizia di due anni fa, ancora attuale
Crollano gli investimenti esteri In Italia -57 per cento
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLi ... 7a81dfc3bd
Questo articolo invece è di pochi giorni fa.
http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/ ... tp/434045/
Spogli: "L’Italia adesso deve cambiare
per far tornare investitori stranieri"
Ronald Spogli
«Riforme radicali subito»
LAO PETRILLI
«L’Italia deve cambiare, è vitale che riesca ad attrarre investimenti dall’estero»: quand’era il very outspoken rappresentante degli Stati Uniti a Roma, Ronald Spogli si è consumato nel dirlo. Oggi quel mantra lo ripete. Se possibile con più forza. Tornato al mondo degli affari (guida la Freeman Spogli & Co., società di private equity che ha cofondato), l’ex ambasciatore afferma che il nostro Paese è ad un bivio e lancia un appello per riforme radicali subito, altrimenti, è il suo monito, «l’Italia fallirà, trascinando con sé l’euro».
Non le sono piaciute le prime mosse varate dal governo Monti?
«Senza volerli minimizzare in alcun modo, devo notare che i primi provvedimenti hanno solo ridotto la pressione dei mercati. E per qualche giorno. Gli speculatori sono tornati e torneranno alla carica fino a che sarete deboli. Fino a che non metterete il Paese sulla strada di un nuovo e moderno modello economico che induca gli investitori stranieri, contrariati dalle promesse non mantenute dei mesi scorsi, ad avere fiducia nell’Italia, che non è giusto definire un capro espiatorio di questa crisi globale».
E cosa soddisfarebbe, secondo lei, gli investitori stranieri?
«Azioni credibili e durature. La staticità italiana è ormai insostenibile. Occorre una rivoluzione culturale, sia nel pubblico che nel privato, per poter produrre e soprattutto attirare business. Un economista illustre come Mario Monti sa bene quali strumenti usare. La leva fiscale, per esempio. Spero dal profondo del mio cuore, perché amo il Paese dei miei progenitori, che faccia della questione un imperativo strategico nazionale. Senza un impegno immediato per la crescita che incoraggi gli investimenti stranieri i mercati reagiranno e l’Italia fallirà, assieme all’euro».
Il ministro Passera ha riconosciuto che tutto sarà molto più difficile senza aziende e capitali stranieri…
«Passera ha ragione da vendere. Ma bisognerà che se ne convincano tutti e alla svelta. Qualche tempo fa un vostro importante uomo d’affari mi disse che l’Italia era stracolma di capitali e che investimenti dall’estero non erano necessari. Un’assurdità, come è assurdo, e per certi versi vergognoso, date le relazioni fra i nostri Paesi, che l’Italia attragga meno investimenti americani di tutti nell’Eurozona, con le eccezioni di Portogallo e Grecia. C’è bisogno di uno sforzo coordinato del governo e delle Regioni per attrarre capitali, oltre che per creare un ecosistema favorevole al business».
Quali sono i timori delle imprese straniere quando si tratta di aprire uno stabilimento in Italia?
«Di timori ce ne sono tanti. Bisognerebbe fare degli sforzi per consentire l’apertura di stabilimenti più velocemente e con meno lacci burocratici. Per noi americani, sul fronte del business, l’Italia è un Paese opaco. Prendiamo, ad esempio, la macchina della giustizia. E non parlo di processi a questo o a quel politico. Parlo delle leggi e della loro applicazione in campo economico-commerciale. Non c’è alcuna certezza su tempi e trasparenza delle decisioni anche rispetto a semplici dispute fra aziende. Servono riforme che assicurino una reputazione di efficienza e imparzialità».
Imparzialità?
«Beh, ci sono stati storicamente dei favoritismi dei quali hanno goduto le imprese italiane. Questo poteva anche andare bene il secolo scorso. Ma, signori, questo è il 2011 e il vostro sistema è stato creato quando i cicli di vita dei prodotti e dei servizi erano infinitamente più lunghi di oggi. Crescere significa innovare, aprirsi, produrre e quindi lavorare di più e meglio, più intelligentemente. Tutti. Anche noi americani ce ne stiamo rendendo conto. Per voi vuol dire che l’era del posto fisso è finita. Il mercato del lavoro deve essere davvero flessibile e si deve adattare alle esigenze produttive di questo secolo. Ma vuol dire anche che se le aziende italiane non sono in grado di reggere la sfida globale, anche per motivi dimensionali, sarà meglio favorire l’arrivo di società dall’estero. Creeranno occupazione, portando tecnologia e know how. E spingeranno le imprese italiane ad investire in ricerca e sviluppo, cosa che oggi, con qualche rara eccezione, non fanno assolutamente in maniera adeguata. Bisogna capire che solo innovando si può garantire un futuro ai giovani. Puntare davvero su di loro è un’altra necessaria riforma strutturale, perché la fuga di cervelli continua e si rischia una nuova migrazione».
L’Italia secondo lei è pronta per questa specie di rivoluzione per il business che auspica?
«C’è voglia di cambiare. Però manca la scintilla».
Crollano gli investimenti esteri In Italia -57 per cento
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLi ... 7a81dfc3bd
a crisi ha duramente colpito gli investimenti esteri: a livello globale dal 2007 a oggi si sono quasi dimezzati, passando da 2 mila miliardi di dollari a 1,2 mila miliardi. E la ripresa sarà lenta: neanche nel 2011 torneremo ai livelli del 2007. L'Italia è uno dei paesi che soffre di più.
...
Da uno studio illustrato dal professore Davide Castellani, docente di economia all'università di Perugia, emerge che la bassa attrattività dell'Italia é dovuta a fattori istituzionali quale la bassa istruzione dei lavoratori occupati nel settore terziario e l'elevato numero delle procedure del processo civile che ne allungano i tempi.
Questo articolo invece è di pochi giorni fa.
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Spogli: "L’Italia adesso deve cambiare
per far tornare investitori stranieri"
Ronald Spogli
«Riforme radicali subito»
LAO PETRILLI
«L’Italia deve cambiare, è vitale che riesca ad attrarre investimenti dall’estero»: quand’era il very outspoken rappresentante degli Stati Uniti a Roma, Ronald Spogli si è consumato nel dirlo. Oggi quel mantra lo ripete. Se possibile con più forza. Tornato al mondo degli affari (guida la Freeman Spogli & Co., società di private equity che ha cofondato), l’ex ambasciatore afferma che il nostro Paese è ad un bivio e lancia un appello per riforme radicali subito, altrimenti, è il suo monito, «l’Italia fallirà, trascinando con sé l’euro».
Non le sono piaciute le prime mosse varate dal governo Monti?
«Senza volerli minimizzare in alcun modo, devo notare che i primi provvedimenti hanno solo ridotto la pressione dei mercati. E per qualche giorno. Gli speculatori sono tornati e torneranno alla carica fino a che sarete deboli. Fino a che non metterete il Paese sulla strada di un nuovo e moderno modello economico che induca gli investitori stranieri, contrariati dalle promesse non mantenute dei mesi scorsi, ad avere fiducia nell’Italia, che non è giusto definire un capro espiatorio di questa crisi globale».
E cosa soddisfarebbe, secondo lei, gli investitori stranieri?
«Azioni credibili e durature. La staticità italiana è ormai insostenibile. Occorre una rivoluzione culturale, sia nel pubblico che nel privato, per poter produrre e soprattutto attirare business. Un economista illustre come Mario Monti sa bene quali strumenti usare. La leva fiscale, per esempio. Spero dal profondo del mio cuore, perché amo il Paese dei miei progenitori, che faccia della questione un imperativo strategico nazionale. Senza un impegno immediato per la crescita che incoraggi gli investimenti stranieri i mercati reagiranno e l’Italia fallirà, assieme all’euro».
Il ministro Passera ha riconosciuto che tutto sarà molto più difficile senza aziende e capitali stranieri…
«Passera ha ragione da vendere. Ma bisognerà che se ne convincano tutti e alla svelta. Qualche tempo fa un vostro importante uomo d’affari mi disse che l’Italia era stracolma di capitali e che investimenti dall’estero non erano necessari. Un’assurdità, come è assurdo, e per certi versi vergognoso, date le relazioni fra i nostri Paesi, che l’Italia attragga meno investimenti americani di tutti nell’Eurozona, con le eccezioni di Portogallo e Grecia. C’è bisogno di uno sforzo coordinato del governo e delle Regioni per attrarre capitali, oltre che per creare un ecosistema favorevole al business».
Quali sono i timori delle imprese straniere quando si tratta di aprire uno stabilimento in Italia?
«Di timori ce ne sono tanti. Bisognerebbe fare degli sforzi per consentire l’apertura di stabilimenti più velocemente e con meno lacci burocratici. Per noi americani, sul fronte del business, l’Italia è un Paese opaco. Prendiamo, ad esempio, la macchina della giustizia. E non parlo di processi a questo o a quel politico. Parlo delle leggi e della loro applicazione in campo economico-commerciale. Non c’è alcuna certezza su tempi e trasparenza delle decisioni anche rispetto a semplici dispute fra aziende. Servono riforme che assicurino una reputazione di efficienza e imparzialità».
Imparzialità?
«Beh, ci sono stati storicamente dei favoritismi dei quali hanno goduto le imprese italiane. Questo poteva anche andare bene il secolo scorso. Ma, signori, questo è il 2011 e il vostro sistema è stato creato quando i cicli di vita dei prodotti e dei servizi erano infinitamente più lunghi di oggi. Crescere significa innovare, aprirsi, produrre e quindi lavorare di più e meglio, più intelligentemente. Tutti. Anche noi americani ce ne stiamo rendendo conto. Per voi vuol dire che l’era del posto fisso è finita. Il mercato del lavoro deve essere davvero flessibile e si deve adattare alle esigenze produttive di questo secolo. Ma vuol dire anche che se le aziende italiane non sono in grado di reggere la sfida globale, anche per motivi dimensionali, sarà meglio favorire l’arrivo di società dall’estero. Creeranno occupazione, portando tecnologia e know how. E spingeranno le imprese italiane ad investire in ricerca e sviluppo, cosa che oggi, con qualche rara eccezione, non fanno assolutamente in maniera adeguata. Bisogna capire che solo innovando si può garantire un futuro ai giovani. Puntare davvero su di loro è un’altra necessaria riforma strutturale, perché la fuga di cervelli continua e si rischia una nuova migrazione».
L’Italia secondo lei è pronta per questa specie di rivoluzione per il business che auspica?
«C’è voglia di cambiare. Però manca la scintilla».