Basta che funzioni, ovvero l'astrologia della finanza

L’ANALISI
Basta che funzioni
Macroeconomisti in crisi. D’identità
Ma come hanno fatto gli economisti a sbagliare in modo così grossolano? Se lo chiede (The Profession and the Crisis, Eastern Economic Journal, 2011) uno tra i più eminenti di loro, il Nobel di Princeton Paul Krugman. E la risposta non risiede in una scontata critica delle proprietà predittive della macroeconomia; ma in una feroce disamina dell'incapacità della professione di giustificare la propria ragione d'essere mostrando di avere soluzioni valide per reagire alla crisi.
E' una battuta ricorrente quella per cui l'unica virtù delle predizioni economiche è di fare apparire rispettabile anche l'astrologia. Eppure, non sarebbe leale incalzare gli economisti per non avere saputo prevedere. Il loro torto maggiore è stato non aver saputo adempiere alla loro funzione sociale una volta che la crisi ci ha fulminati.
Se prima della crisi era sufficiente che il peso della stabilizzazione macroeconomica fosse sostenuto della politica monetaria, ora è evidente che non lo è più. La crisi ha richiesto che la professione pensasse fuori dagli schemi dominanti per proporre azioni pertinenti e ben ponderate, «ma è venuto fuori che non è in grado di farlo». E neppure gli economisti sono in grado di aggrapparsi a vecchie-nuove idee (tipo le politiche keynesiane della domanda?) perché non le conoscono più, essendo state osteggiate dall'establishment per quarant'anni. Senza futuro e senza memoria del passato, la professione sarebbe piombata in un nuovo Medio Evo.
Come si è arrivati a ciò? Gl i economisti avrebbero deragliato per aver scambiato bellezza e rigore formale per verità. Eppure, l'ambizione universalista delle scienze mature, fisica compresa, negli anni recenti è stata sottoposta a stringenti critiche. Anche le migliori ipotesi scientifiche forniscono predizioni accurate solo in contesti determinati e grazie a un duro lavoro sperimentale che spesso impone dei correttivi ad hoc.
Ansiosi di vedere riconosciuta la propria scientificità, gli economisti hanno matematizzato rapidamente il proprio linguaggio, dimenticando che il rigore formale conta poco o nulla se divaricato dalla ricerca applicata. Quando arriva il momento delle scelte di politica economica, c'è sempre una soluzione formale, plausibile e … sbagliata. Se la professione vorrà cercare soluzioni alla crisi dovrà «sporcarsi le mani» con individui non perfettamente razionali e con mercati non perfettamente efficienti. Per dirla con Larry Summers: «E' pieno di idioti là fuori. Guardati in giro!».
L'analisi teorica in economia gode ancora e nonostante tutto di un prestigio sproporzionato che non trova riscontro in nessun'altra disciplina scientifica applicata. Questa crisi richiede di ribilanciare il rapporto tra teoria ed evidenza. Certo la Idiots Economics avrebbe un fascino meno irresistibile, ma, giunti a questo punto, basta che funzioni.
Matteo Motterlini
Corriere.it
http://www.corriere.it/economia/fondi/1 ... bb0f.shtml
Basta che funzioni
Macroeconomisti in crisi. D’identità
Ma come hanno fatto gli economisti a sbagliare in modo così grossolano? Se lo chiede (The Profession and the Crisis, Eastern Economic Journal, 2011) uno tra i più eminenti di loro, il Nobel di Princeton Paul Krugman. E la risposta non risiede in una scontata critica delle proprietà predittive della macroeconomia; ma in una feroce disamina dell'incapacità della professione di giustificare la propria ragione d'essere mostrando di avere soluzioni valide per reagire alla crisi.
E' una battuta ricorrente quella per cui l'unica virtù delle predizioni economiche è di fare apparire rispettabile anche l'astrologia. Eppure, non sarebbe leale incalzare gli economisti per non avere saputo prevedere. Il loro torto maggiore è stato non aver saputo adempiere alla loro funzione sociale una volta che la crisi ci ha fulminati.
Se prima della crisi era sufficiente che il peso della stabilizzazione macroeconomica fosse sostenuto della politica monetaria, ora è evidente che non lo è più. La crisi ha richiesto che la professione pensasse fuori dagli schemi dominanti per proporre azioni pertinenti e ben ponderate, «ma è venuto fuori che non è in grado di farlo». E neppure gli economisti sono in grado di aggrapparsi a vecchie-nuove idee (tipo le politiche keynesiane della domanda?) perché non le conoscono più, essendo state osteggiate dall'establishment per quarant'anni. Senza futuro e senza memoria del passato, la professione sarebbe piombata in un nuovo Medio Evo.
Come si è arrivati a ciò? Gl i economisti avrebbero deragliato per aver scambiato bellezza e rigore formale per verità. Eppure, l'ambizione universalista delle scienze mature, fisica compresa, negli anni recenti è stata sottoposta a stringenti critiche. Anche le migliori ipotesi scientifiche forniscono predizioni accurate solo in contesti determinati e grazie a un duro lavoro sperimentale che spesso impone dei correttivi ad hoc.
Ansiosi di vedere riconosciuta la propria scientificità, gli economisti hanno matematizzato rapidamente il proprio linguaggio, dimenticando che il rigore formale conta poco o nulla se divaricato dalla ricerca applicata. Quando arriva il momento delle scelte di politica economica, c'è sempre una soluzione formale, plausibile e … sbagliata. Se la professione vorrà cercare soluzioni alla crisi dovrà «sporcarsi le mani» con individui non perfettamente razionali e con mercati non perfettamente efficienti. Per dirla con Larry Summers: «E' pieno di idioti là fuori. Guardati in giro!».
L'analisi teorica in economia gode ancora e nonostante tutto di un prestigio sproporzionato che non trova riscontro in nessun'altra disciplina scientifica applicata. Questa crisi richiede di ribilanciare il rapporto tra teoria ed evidenza. Certo la Idiots Economics avrebbe un fascino meno irresistibile, ma, giunti a questo punto, basta che funzioni.
Matteo Motterlini
Corriere.it
http://www.corriere.it/economia/fondi/1 ... bb0f.shtml