Secondo un rapporto di Confindustria, nella classifica mondiale la Penisola nel 2010 è scivolata dal quinto al settimo posto, superata da India e Corea del Sud
■ MILANO L'Italia resta il secondo produttore industriale europeo, alle spalle della Germania, ma scivola dalla quinta alla settima posizione mondiale, superata da India e Corea del Sud. Lo rivela il rapporto sugli Scenari industriali del Centro Studi di Confindustria, l'associazione delle imprese italiane, che lancia l'allarme sul rallentamento dell'attività manifatturiera tricolore: negli ultimi tre anni è calata del 17% cumulato, il doppio o il triplo di quelle dei maggiori concorrenti (ha fatto peggio solo la Spagna). Pur essendo ancora un Paese a forte vocazione industriale, l'Italia dal 2007 al 2010 ha visto scendere dal 4,5 al 3,4 la sua quota percentuale di valore sulla produzione mondiale. La perdita di competitività accumulata in precedenza e gli effetti della crisi si sono ripercossi sull'attivo negli scambi internazionali di prodotti manufatti, che si è dimezzato dai 63 miliardi di euro del 2008 ai 39 del 2010. Inoltre la produzione industriale italiana è quasi ferma ai livelli dell'estate scorsa, con appena uno 0,1% di crescita media mensile da luglio 2010 a marzo 2011.
«Non pare esserci piena coscienza nel Paese del ruolo cruciale giocato dalle attività manifatturiere come principale motore della crescita dell'intera economia», si legge nel rapporto. All'industria sono infatti legati direttamente e indirettamente più di un terzo del PIL e 8,2 milioni di unità di lavoro: senza il suo contributo determinante agli scambi con l'estero, il sistema economico italiano imploderebbe. Lo dimostra, tra l'altro, la stretta correlazione tra grado di industrializzazione e livello del benessere raggiunto, valida ovunque ma in particolare in Italia, dove Lombardia ed Emilia-Romagna risultano le prime regioni sia per il valore aggiunto industriale pro capite sia per il PIL pro capite a parità di potere d'acquisto.
Il motivo? Attraverso l'innovazione introdotta dal manifatturiero nei prodotti e nei processi si genera l'aumento di produttività anche per gli altri settori: l'informatizzazione dei servizi, per fare un esempio, non sarebbe mai avvenuta senza il «manufatto» computer. Tanto più che è nel manifatturiero che si effettuano la ricerca e lo sviluppo, base dell'innovazione. «È l'altra faccia del dualismo economico e civile tra Nord e Sud del Paese - commenta il rapporto -. Il Mezzogiorno è rimasto arretrato anche perché non si sono create le condizioni per la sua industrializzazione».
L'Italia tuttavia, sottolinea Confindustria, non è la sola a perdere quote della «torta» globale. In quello che si conferma come un colossale spostamento del baricentro manifatturiero mondiale, tutti i Paesi di più antica industrializzazione hanno fatto passi indietro a vantaggio degli Emergenti asiatici, che tra il 2007 e il 2010 hanno conquistato 8,9 punti percentuali e sono saliti al 29,7% sul valore della produzione industriale totale. La sola Cina è al 21,7% (+7,6 punti) e si trova ora saldamente prima.
L'India ha guadagnato quattro posizioni ed è quinta. Se si allarga lo spettro a un periodo più ampio, dal 2000 al 2010, colpisce l'arretramento degli Stati Uniti (che in dieci anni hanno lasciato sul campo il 9,2% del valore del manifatturiero globale) e del Giappone (-6,7%), un tempo locomotive mondiali.
ENRICO MARRO, www.cdt.ch