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Draghi ad Ancona

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Draghi ad Ancona

Messaggioda franz il 06/11/2010, 21:41

Testo completo http://www.bancaditalia.it/interventi/i ... ancona.pdf

Il nome di Giorgio Fuà è intimamente legato agli studi sullo sviluppo economico.
Lo ricordiamo come il responsabile del gruppo di lavoro italiano nel
grande progetto internazionale di ricerca sullo sviluppo dei paesi industrializzati
coordinato da Simon Kuznets e Moses Abramovitz1. A Fuà siamo debitori della
ricostruzione dei conti economici per l’Italia unita, ancora oggi punto di riferimento
per gli studiosi. Gli dobbiamo anche fondamentali approfondimenti metodologici,
come lo studio sull’indice a catena del prodotto interno lordo italiano,
pubblicato più di dieci anni prima che l’Istat lo adottasse. Al suo contributo farà
riferimento la Banca d’Italia negli studi per celebrare il 150° anniversario
dell’Unità del nostro paese.
Fuà tenne uno dei suoi più importanti interventi in occasione della Lettura
annuale dell’Associazione Il Mulino nel 1993. È da quel saggio che ho ripreso il
titolo di questa mia relazione.

Il problema di crescita dell’economia italiana
Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, la quota dell’area
dell’euro nel PIL mondiale, pari nel 2000 al 18 per cento, a parità di potere
d’acquisto, scenderà al 13 nel 2015. Nello stesso periodo la quota dei paesi emergenti
asiatici raddoppierà, dal 15 al 29 per cento: non tanto a causa della crescita
della popolazione, quanto per l’aumento del PIL per abitante, che passerà nel
2015 al 20 per cento di quello dell’area dell’euro, dall’8 del 2000.

È sufficiente questo dato per descrivere il mutamento radicale negli equilibri
economici mondiali. La nostra economia ne risente più di altre. Essa manifesta da
anni una incapacità a crescere a tassi sostenuti; l’ultima recessione ha fatto diminuire
il PIL italiano di quasi 7 punti.

Abbiamo subito una evidente perdita di competitività rispetto ai nostri principali
partner europei. Tra il 1998 e il 2008, nei primi dieci anni dell’Unione monetaria,
il costo del lavoro per unità di prodotto nel settore privato è aumentato del
24 per cento in Italia, del 15 in Francia; è addirittura diminuito in Germania.
Questi divari riflettono soprattutto i diversi andamenti della produttività del
lavoro: in quel decennio, secondo i dati disponibili, la produttività è aumentata del
22 per cento in Germania, del 18 in Francia, solo del 3 in Italia.

Nello stesso periodo il costo nominale di un’ora lavorata è cresciuto in Italia
del 29 per cento: più che in Germania (20 per cento), molto meno che in Francia
(37 per cento). La maggiore inflazione italiana ha contenuto i salari reali,
allineandone la dinamica a quella tedesca (3 per cento nel decennio); ma in Germania
le retribuzioni orarie medie, all’inizio del periodo, erano di oltre il 50 per
cento maggiori delle nostre. In Francia le retribuzioni reali orarie sono aumentate
del 16 per cento.

Per comprendere le difficoltà di crescita dell’Italia, dobbiamo innanzitutto
interrogarci sulle cause del deludente andamento della produttività.
I fattori sono molteplici. Alcuni sono simili a quelli che distinguevano il
“modello di sviluppo tardivo” dell’Italia, come lo definì Fuà: marcati e persistenti
dualismi nella dimensione delle imprese, nel mercato del lavoro. La loro origine
stava per Fuà nella difficoltà di introdurre in modo generalizzato le tecniche organizzative
e produttive sviluppate nei paesi leader. Ne derivava una segmentazione
della struttura produttiva tra imprese “moderne” e “pre-moderne”, con ampie differenze
di produttività, che si riflettevano nelle retribuzioni.

...

È già accaduto, in un lontano passato. All’inizio del Seicento, gli stati della
penisola italiana erano ancora tra i più ricchi del pianeta, nonostante le guerre che
avevano segnato il secolo precedente. Secondo le stime di Angus Maddison, pur
controverse, il prodotto pro capite annuo, valutato ai prezzi internazionali del
1990, era pari a 1.100 dollari, un valore doppio della media mondiale, superato
solo nei Paesi Bassi22. “Tre generazioni più tardi – ha scritto Carlo Cipolla –
l’Italia era un paese sottosviluppato, prevalentemente agricolo, importatore di manufatti
ed esportare di prodotti agricoli, dominato da una casta di possenti proprietari
agrari che avevano ricacciato in secondo piano gli operatori mercantili, manifatturieri
e finanziari”. La stagnazione proseguì nei decenni successivi e nel
1820 il PIL pro capite era fermo al livello di due secoli prima. Quali le ragioni di
questo “lungo gelo” dell’economia italiana? Vi erano fattori esterni, come il collasso
dei principali mercati di sbocco dei prodotti italiani del tempo, ma per Cipolla
le ragioni erano soprattutto interne: salari non coerenti con la produttività del
lavoro, un elevato carico fiscale, un difetto di capacità imprenditoriale che impedì
di cogliere i mutamenti nella domanda; “il potere e il conservatorismo caratteristici
delle corporazioni in Italia bloccarono i necessari mutamenti tecnologici e di
qualità che avrebbero potuto permettere alle aziende italiane di competere con la
concorrenza straniera”.

Non voglio forzare più di tanto il parallelismo, nonostante la straordinaria
somiglianza tra i fattori individuati da Cipolla per spiegare quella lontana crisi e i
temi di cui dibattiamo oggi. Voglio solo suggerire che, come allora, ci potremmo
trovare di fronte a un bivio.
Gli indicatori delle organizzazioni internazionali, sia pure con le criticità
prima esposte, ci dicono che gli italiani sono mediamente ricchi, hanno un’elevata
speranza di vita, sono in gran parte soddisfatti delle loro condizioni: l’inazione è
sostenibile per un periodo anche lungo; potrebbe generare un declino protratto.
Ma quegli stessi indicatori mostrano che l’inazione ha costi immediati: la ricchezza
è il frutto di azioni e decisioni passate, il PIL, legato alla produttività, è frutto
di azioni e decisioni prese guardando al futuro. Privilegiare il passato rispetto al
futuro esclude dalla valutazione del benessere la visione di coloro per cui il futuro
è l’unica ricchezza: i giovani.
La mobilità sociale persistentemente bassa che si osserva in Italia deve allarmarci.
Studi da noi condotti mostrano come, nel determinare il successo professionale
di un giovane, il luogo di nascita e le caratteristiche dei genitori continuino
a pesare molto di più delle caratteristiche personali, come il livello di istruzione. Il
legame tra risultati economici dei genitori e dei figli appare fra i più stretti nel
confronto internazionale.
Dobbiamo tornare a ragionare sulle scelte strategiche collettive, con una visione
lunga. Cultura, conoscenza, spirito innovativo sono i volani che proiettano
nel futuro. La sfida, oggi e nei prossimi anni, è creare un ambiente istituzionale e
normativo, un contesto civile, che coltivino quei valori, al tempo stesso rafforzando
la coesione sociale.
È questo l’invito che rivolgo qui a voi, eredi della scuola di Ancona: tornare
a ragionare intorno alle strategie di sviluppo, a immaginare quali direzioni di progresso
il nostro paese possa prendere. Con tutto “il fascino e la scomodità” che,
per Fuà, questo impegno comporta.
Ultima modifica di franz il 07/11/2010, 10:52, modificato 1 volta in totale.
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Re: Draghi ad Ancona

Messaggioda ranvit il 06/11/2010, 22:11

nel 19933 :D

fra 17.923 anni? :D
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Draghi ad Ancona

Messaggioda franz il 07/11/2010, 10:53

ranvit ha scritto:nel 19933 :D

fra 17.923 anni? :D

Corretto, :oops: era la nota numero tre, che aggiunta all'anno faceva 19933
Credevo di averle tolte tutte.
Franz
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