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Il capitalismo e la crisi

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Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Rosario Amico Roxas il 02/03/2009, 0:16

Il capitalismo e la crisi

Rosario Amico Roxas

Nel 1883 moriva Marx e nasceva Schumpeter, l’economista teorico massimo del capitalismo; questi rispose in anticipo alle accuse che sarebbero state rivolte, periodicamente, al capitalismo e cioè di essere in crisi. Le previsioni di Marx, circa la morte del capitalismo, che sarebbe inevitabilmente avvenuta, furono contraddette dalla storia; fu il sistema economico socialista a morire quando, superati gli schemi della contrapposizione ideologica democrazia/comunismo, si passò alla contrapposizione economica capitalismo/sistema socialista.
Schumpeter non solo non negò che periodicamente il capitalismo sarebbe caduto in crisi, ma identificò lo stesso capitalismo con la crisi: il capitalismo è la crisi, se periodicamente non si verificasse tale situazione si fermerebbe il progresso. I processi di concorrenza, di innovazione continua distruggono e creano allo stesso tempo, sconvolgono ciò che c’era e promuovono il cambiamento; il sistema capitalistico stimola il momento di crisi per modificare l’assetto precedente in una spirale di continua evoluzione.
In questo processo evolutivo è estremamente importante essere alla testa di tale evoluzione, cioè essere i piloti del circuito crisi-rinnovamento-crisi, in tal modo tutto il sistema capitalistico deve adeguarsi o soccombere; non c’è spazio per i Paesi in via di sviluppo che non possono seguire tale genere di modificazioni con i ritmi imposti da chi tali modificazioni programma e promuove.
Il detentore della tecnologia avanzata, che promuove le modificazioni, diventa il regista unico di riferimento.
Il dilatarsi dell’uso dei computer e della robotica nelle officine ha determinato una espansione produttiva senza precedenti che ha necessitato di sempre nuovi mercati ai quali imporre i propri prodotti: è la globalizzazione dei mercati.
Tutto ciò ha generato anche la delocalizzazione produttiva verso quei paesi che, per mancanza di tecnologie avanzate, sono rimaste indietro con la evoluzione che è stata imposta ai tempi tecnici dal capitalismo; la delocalizzazione produttiva è l’aspetto più disumanizzante, perché coincide con un nuovo e più aspro sfruttamento della manodopera a basso costo e del lavoro minorile, senza che venga lasciato nulla come valore aggiunto ai prodotti realizzati. Si tratta solamente di sfruttamento, quello imposto dalla globalizzazione, in alternativa all’integrazione fra i popoli.
I Paesi del terzo mondo, sottosviluppati e alle soglie dell’indigenza assoluta, cos’altro possono offrire all’opulento mondo occidentale se non manodopera a basso costo ?
La forbice economica tra la minoranza delle nazioni ricche e la maggioranza delle nazioni povere è destinata a dilatarsi sempre più. Il panorama che ci viene offerto è quello di un mondo di Paesi attenti alle innovazioni tecnologiche e Paesi impossibilitati a seguire il passo, destinati, quindi, a regredire sempre più e a subire quello sfruttamento che, almeno, consente loro di poter disporre dell’indispensabile per sopravvivere.
La storia, così, divide il mondo in popolo dei vinti e popolo dei vincitori.
All’Occidente-Europa si presentano due sole ipotesi di lavoro o due possibili panorami:
1) associarsi allo sviluppo industriale e inseguire l’evoluzione della tecnologia,
2) creare uno sviluppo autonomo dissociato dalla forsennata evoluzione dell’Occidente-America e realizzare in politica estera/interna una equivicinanza alternativa al capitalismo monopolistico sia con la nazione capofila della tecnologia avanzata che con tutti gli altri Paesi in via di sviluppo e/o sottosviluppati..

Nel primo caso l’Europa sarebbe destinata a diventare succube degli USA e della sua corsa al tecnologicamente avanzato; finirebbe con il pagare il conto del susseguirsi delle crisi che lo sviluppo tecnologico crea per avanzare di livello.
Nel secondo caso si tratterebbe di realizzare una nuova politica di dissociazione e effettuare una scelta di equivicinanza ai nuovi poli che sono stati creati, Occidente e mondo arabo-islamico, differenziando alla base l’Occidente-Europa dall’Occidente-America.
L’integrazione fra i popoli può rendere più responsabili le nazioni più avanzate nei confronti delle nazioni sottosviluppate o in via di sviluppo, secondo l’itinerario del “crescere insieme”; è il concetto dell’umanesimo delle responsabilità descritto dalla Gaudium et Spes con una attualità che si rinnova costantemente; è la globalizzazione delle responsabilità, la globalizzazione dell’economia, la globalizzazione dello sviluppo equilibrato, che contrasta la globalizzazione dei mercati che mira ad assoggettare intere popolazioni e intere culture alla logica dell’interesse materiale del più forte.
Lo sviluppo dell’uomo non è più il problema prioritario della società civile che ha modificato anche la sua sociologia e la sua antropologia, perché ha favorito l’affermazione della nuova sociologia della tecnica, contro la sociologia del Nuovo Umanesimo.
Il problema economico diventa così il problema esistenziale, diventa un problema antropologico; occorre una scelta di fondo per riprogrammare i termini dello sviluppo globale.
• Continuare sulla scia del progresso della tecnica, mortificando la centralità dell’uomo; in questo caso il primato del capitalismo soffocherà ogni tentativo di sviluppo equilibrato dell’intero pianeta.
• Cambiare totalmente la via fin qui percorsa e indirizzarsi verso scelte di utilità per dilatare la fruizione del necessario a tutti i popoli della terra, specie a quelli che, oggi, mancano dell’indispensabile. Il tema è quello di riprogrammare le mete a misura di uomo, per far cresce l’umanità su fondamenta comuni e contenere le disparità che dividono l’Occidente opulento e il resto del mondo.

La politica e l’economia diventerebbero, così, antropologia e sociologia, naturalmente intrise di umanesimo; altrimenti sarà la sociologia a trasformarsi in un mero calcolo di maggior utile attraverso lo sfruttamento, fino all’implosione che non tarderebbe ad arrivare.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Stefano'62 il 02/03/2009, 0:30

Rosario Amico Roxas ha scritto:Il problema economico diventa così il problema esistenziale, diventa un problema antropologico; occorre una scelta di fondo per riprogrammare i termini dello sviluppo globale.
• Continuare sulla scia del progresso della tecnica, mortificando la centralità dell’uomo; in questo caso il primato del capitalismo soffocherà ogni tentativo di sviluppo equilibrato dell’intero pianeta.
• Cambiare totalmente la via fin qui percorsa e indirizzarsi verso scelte di utilità per dilatare la fruizione del necessario a tutti i popoli della terra, specie a quelli che, oggi, mancano dell’indispensabile. Il tema è quello di riprogrammare le mete a misura di uomo, per far cresce l’umanità su fondamenta comuni e contenere le disparità che dividono l’Occidente opulento e il resto del mondo.

Sono assolutamente d'accordo;
e aggiungo,è ora di finirla con il "business first".
Ciao,

Stefano
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda mario il 02/03/2009, 10:22

Rosario ha scritto:
"All’Occidente-Europa si presentano due sole ipotesi di lavoro o due possibili panorami:
1) associarsi allo sviluppo industriale e inseguire l’evoluzione della tecnologia,
2) creare uno sviluppo autonomo dissociato dalla forsennata evoluzione dell’Occidente-America e realizzare in politica estera/interna una equivicinanza alternativa al capitalismo monopolistico sia con la nazione capofila della tecnologia avanzata che con tutti gli altri Paesi in via di sviluppo e/o sottosviluppati."

Il capitalismo non consente la coesistenza di due modelli. Prima o poi uno dei due prevarrà sull’altro.
Non credo che sia possibile “uno sviluppo autonomo dissociato dalla forsennata evoluzione dell’Occidente-America”.
L’unica speranza è che ad una crisi globale si trovi una soluzione globale.
Molto dipenderà dagli accordi tra gli stati.
Il prossimo G8 dovrebbe stabilire nuove regole che:
proibissero l’uso della finanza derivata se non per fini assicurativi.
Eliminassero i paradisi fiscali
Penalizzassero i capitali non investiti in titoli di stato o attività produttive.
Proibissero alle società di capitali l’uso della leva finanziaria oltre un certo limite.

Solo costringendo i capitalisti ad usare i loro soldi in attività produttive si avrà un maggiore sviluppo economico a beneficio soprattutto dei paesi del terzo mondo.
mario
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Rosario Amico Roxas il 02/03/2009, 11:40

Affidare al prossimo G8 le sorti del pianeta, come fa Mario nel suo commento, mi pare semplicistico, oltre che riduttivo e, nel caso specifico, contraddittorio.
L'alternanza periodica con la "crisi" se per un verso fornisce vitalità al capitalismo, per altro verso provoca un andamento "a singhiozzo" che permette alle fasce più opulente e meno dotate eticamente di riemergere dal precedente fallimento.
La posizione programmata da Obama entra in rotta di collisione con la programmazione italiana che aspirerebbe a diventare europea. La presenza di Berlusconi come presidente di turno, è un viatico di fallimento progettuale; basta solo un esempio: l'America rinnega l'opzione nucleare per le fonti energetiche, mentre l'Italia "ricomincia da tre", evidenziando interessi che nulla hanno di sociale ma si coniugano con i consueti personalismi corporativi.
E' pur vero che il capitalismo non consente due modelli, ma non possiamo trascurare che il capitalismo si sviluppa in un sistema democratico, ma quando si afferma rinnega la democrazia privilegiando i sistemi autoritari a tutela della concentrazione patrimoniale nelle mani di pochi "fedelissimi" del sistema.
L'esempio lo abbiamo con la Cina capitalistica, con un regime autoritario/comunista, dove il GAP che divide la popolazione, prima di essere economico è politico.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Stefano'62 il 02/03/2009, 13:24

mario ha scritto:Il prossimo G8 dovrebbe stabilire nuove regole che:
proibissero l’uso della finanza derivata se non per fini assicurativi.
Eliminassero i paradisi fiscali
Penalizzassero i capitali non investiti in titoli di stato o attività produttive.
Proibissero alle società di capitali l’uso della leva finanziaria oltre un certo limite.

Sono d'accordo,
ma sono molto scettico perchè è come chiedere al ladro di smettere di rubare.
Mi sembra anche che Rosario poi abbia detto una cosa simile,se ho capito bene.
Di solito chiedere non basta,occorre impedire.
Voglio dire che se la struttura del capitalismo mondiale è quella non è un caso.
E i risultati si sono visti.
Ora invece di arrivare alla conclusione che il capitalismo ha fallito,come si è detto per altri -ismi,si cerca di rianimarlo per riproporlo esattamente come era prima.
Io non sono mai stato molto d'accordo col Schumpeter e la sua visione delle crisi capitaliste,perchè l'ho sempre vista come una assurda scusante preventiva,invece che come auspicio;ma ora il capitalismo ha l'opportunità di dimostrare che invece dalle macerie può nascere davvero qualcosa di nuovo e migliore,e il modo peggiore è cercare di salvare chi ha agito spesso in malafede e addirittura ha fallito,magari con la scusa dei disagi che il lasciarli fallire causerebbe ai poveracci.
Ma questo è un ricatto bello e buono.
Il G8 dovrebbe stabilire che i lupi mannari vanno lasciati affogare insieme alla loro nave,e i passeggeri invece traghettati altrove.
I denari con cui si vuole contrastare la crisi non vanno assolutamente destinati ai soggetti falliti e spesso fraudolenti che minacciano di trascinare con se i poveracci che rischiano il posto di lavoro;vanno invece destinati o ai poveracci stessi,o a progetti nuovi che diano garanzie di ricostruire qualcosa di DIVERSO,di nuovo e virtuoso.
Non è possibile che un domani post-crisi sia gestito dagli stessi malfattori o dagli stessi metodi.
Il principio ispiratore del libero mercato non è forse quello che è l'unico modo di lasciar vincere i più efficienti ?
Che lo si dimostri.
L'alternativa è ammettere che il libero mercato è un'utopia.
Ciao,

Stefano
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Rosario Amico Roxas il 02/03/2009, 13:59

x Stefano che conclude il suo commento: L'alternativa è ammettere che il libero mercato è un'utopia.

Direi piuttosto che il libero mercato è una truffa, intelligentemente e consapevolmente orchestratra.
Lo ripeto da tempi non sospetti: Roosevelt affrontò il dopo-crisi del 1929 capovolgendo tutti i parametri dell'economia, riportando l'economia del lavoro alternativo e sostitutivo dell'economia della finanza. Non fu un caso che decollò il fordismo:
" I miei operai devono poter comprare ciò che producono !!" Fu l'esordio di una serie di ampi mutamenti, il più ampio e profondo dei quali fu l'istituzione del sistema della Social Security, una forma di stato sociale che fu ideato per fornire supporto ai cittadini a basso reddito e a quelli più anziani. La "furba" piccola e media borghesia italiana era intenta ad osannare il suo carnefice, esaltandolo ai piedi dei balcone di Piazza Venezia.
E' la medesima piccola e media borghesia americana che oggi si rivolge ad Obama per rimettere in piedi la carretta sgangherata dalla follia di Bush; le premesse sociali ci sono e i programmi di Obama finiranno con lo scontro prevedibile al prossimo G8, nel quale il cavaliere, oltre a portare i suoi CD con le sue canzonette accompagnato da Apicella, porterà la sua incontaminata convinzione di dover fare risorgere il capitalismo del mercato dalle sue ceneri. Anche in questa occasione la piccola e media borghesia italiana inneggia al suo carnefice, vagando da Piazza San Babila, nota per lo storico predellino, a Palazzo Grazioli, notissimo per le sue non più segrete alcove, tenendosi alla larga (magari per scaramanzia) da Piazzale Loreto.
Quanto poi a Shumpeter, ho cercato di evidenziare le contraddizioni nelle quali fu costretto a dibattersi, dentro una involuzione ideologica che avrebbe travolto l'Europa prima e il mondo intero poi, perchè il transito dalla crisi del 1929 al nazi-fascismo ed alla 2° guerra mondiale è conseguenziale.
Nessuno si domandò: "Oggi Marx sarebbe marxista ?". Sarebbe bastato saper rispondere per evitare la catastrofe.
Questa involuzione travolge tutte le ideologie, sconvolgendo antiche certezze, arriviamo all'estremo dove la domanda è addirittura diventata: " Ma Cristo, oggi, sarebbe cristiano !"; e non si tratta di un quesito confessionale, ma, prevalentemente laico e sociale, se si imparasse a conoscere la laicità di Cristo, di quel Cristo che scacciò i mercanti, i cambiavalute e i lenoni dal tempio, il quesito avrebbe la sua risposta. Oggi, invece, vediamo un tempio dove Cristo è solamente dipinto in un affresco, ma nient'altro, mentre i mercanti, i cambiavalute e i lenoni bivaccano senza pudore.
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Paolo65 il 02/03/2009, 14:11

Il libero mercato con tutti i suoi limiti ed ipocrisie è il miglior sistema economico mai messo in atto dall'uomo, in quanto tiene conto soprattutto della libertà di scelta dell'individuo, che è impossibile vincolare perchè innaturale. Ognuno di noi ha come primo obiettivo essere liberi,per quanto possibile, di scegliere cosa fare e come vivere.

Il libero mercato ha prodotto molta ricchezza e se oggi milioni di uomini sono sfuggiti alla povertà ed alla miseria, questi lo devono al capitalismo e più in generale al libero mercato.

Oggi però tutti i sistemi economici, e quindi anche il libero mercato,hanno un vincolo oltre il quale non possono andare se non si vuole l'autodistruzione del pianeta: l'ecosostenibilità.

La libertà d'impresa, di commercio e la concorrenza debbono essere vincolati a questo paletto.

Se l'uomo sarà capace allora il resto dei problemi si chiameranno disuguaglianza ed ingiustizia, peraltro sempre esistite da sempre, al contrario non ci sarà futuro per nessuno.

Paolo
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Rosario Amico Roxas il 02/03/2009, 15:32

x Paolo 65

Non posso essere d'accordo con la sua affermazione circa la bontà esclusiva del libero mercato; potrebbe essere tutto vero ciò afferma ad una sola condizione, che al nastro di partenza si fosse tutti ugualmente dotati, sia economicamente, intellettualmente, culturalmente etc.etc.
Ma così non è, per cui rientra nella natura dell'uomo la tentazione di sopraffare il vicino più debole, così come periodicamente si lascia affascinare dall'ipotesi di distruggere una parte dell'umanità.
*************
Un racconto arabo, inserito in una serie di racconti databili intorno al 1300, recuperato da uno scritto di Ibn Kaldoun, narra di Bechir, un uomo che viveva la sua vita in maniera tranquilla, serena, in dignitosa povertà. Abitava in uno di quei “dammusi” che si aprono all’interno di fatiscenti cortili. Un tempo erano stalle dei padroni delle case sovrastanti, quindi, agglomerati nel tessuto urbano, divennero abitazioni, perché proibito tenere bestie all’interno dei quartieri abitati. La mattina si recava a lavorare il suo orticello e rientrava la sera con la sua borsa con le vivande. Un giorno nel “dammuso” accanto arrivò un nuovo inquilino, rumoroso, prepotente; Bechir non ne fu contento, ma finì con l’adattarsi alla nuova realtà. Una sera il nuovo arrivato, aprì la porta del suo “dammuso” e invitò Bechir a entrare. Appena fu entrato Bechir fu riempito di botte e il nuovo arrivato gli sottrasse anche quanto aveva portato con sé per la cena. Bechir non sapeva se denunciare l’accaduto ai maggiorenti della tribù, non aveva prove, così finì con il subire. La storia continuò così ogni sera: Bechir veniva costretto a entrare nel “dammuso” e lì botte con annessa sottrazione del cibo. Continuò per mesi, fino a quando Bechir non decise di portare con sé un bastone; non appena l’uomo gli si avvicinò per costringerlo a entrare nel suo “dammuso” per la quotidiana dose di legnate, gli sferrò una bastonata. L’uomo urlò, accorsero i vicini e videro Bechir con il bastone in mano e l’altro sanguinante; Bechir cercò di chiarire come erano andate le cose, ma nessuno lo lasciò parlare, anche perché il ferito urlava e si dichiarava vittima dell’aggressione.
Uno dei vicini lanciò un primo sasso, imitato subito dagli altri; l’uomo invocava la possibilità di parlare, di difendersi, di dire le proprie ragioni, ma nessuno lo ascoltava; le sue suppliche erano sovrastate dalle urla del vicino ferito. Bechir morì lapidato, così il vicino potè prendersi anche il suo “dammuso” diventato disabitato.
I racconti arabi non propongono una morale da recuperare dal nesso del racconto, questa morale viene affidata alla interpretazione di ciascuno, secondo il proprio cuore, e all’Imam che narra il racconto al termine della preghiera del venerdì, traendo da esso, anche l’insegnamento e la morale.

A me sembra proprio che si tratti della morale del "libero mercato".
Rosario Amico Roxas
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda franz il 02/03/2009, 15:51

Rosario Amico Roxas ha scritto:Non posso essere d'accordo con la sua affermazione circa la bontà esclusiva del libero mercato; potrebbe essere tutto vero ciò afferma ad una sola condizione, che al nastro di partenza si fosse tutti ugualmente dotati, sia economicamente, intellettualmente, culturalmente etc.etc.
Ma così non è, per cui rientra nella natura dell'uomo la tentazione di sopraffare il vicino più debole, così come periodicamente si lascia affascinare dall'ipotesi di distruggere una parte dell'umanità.

Infatti sono due cose edue concetti diversi.
L'umanità ha i suoi pregi e difetti, tra cui quelli che riassumi (ed altri peggiori).
Sul piano modellistico e concettuale pero' per ora non esiste nulla meglio di un mercato libero.
O qualcuno pensa che un mercato ingessato, vincolato, meno libero, sia meglio indipendentemente dai difetti dell'uomo?

Anche se il nastro di partenza fosse uguale per tutti (ed è evidente che ora non lo è) non esiste alcun sistema economico che ci mantenga uguali e che parimenti ci arricchisca tutti (nel senso culturale, dei saperi, della qualità della vita, ed economico).
Ovviamente ogni mercato deve essere regolato (e quindi non è del tutto "libero", vedere le classiche "tre D") ma queste sono cosa già note, che fanno parte della cultura liberale, la quale è profondamente diversa dalla legge del soppruso e del piu' forte che hai raccontato. Infatti il liberalismo si basa sui diritti di proprietà, contro i sopprusi dei prepotenti (ladri e predoni).
Lo stato infatti (nel senso di comunità) ha questa funzione difensiva primaria, da qualche migliaio di anni a questa parte.
Difendere i diritti di Bechir dai sopprusi del prepotente. Bechir ha sbagliato, facendosi giustizia da solo.
Quella la morale. Strano che qualcuno possa trovare interpretazioni diverse e sbagliate.

Ciao,
Franz
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Re: Il capitalismo e la crisi

Messaggioda Stefano'62 il 02/03/2009, 16:14

Paolo65 ha scritto:Oggi però tutti i sistemi economici, e quindi anche il libero mercato,hanno un vincolo oltre il quale non possono andare se non si vuole l'autodistruzione del pianeta: l'ecosostenibilità.

La libertà d'impresa, di commercio e la concorrenza debbono essere vincolati a questo paletto.

Giustissimo.

Fai attenzione però perchè il libero mercato è una cosa,l'economia di mercato è un'altra,ed è quest'ultima che tra luci ed ombre (molte ombre) ha portato l'uomo nel duemila,non il libero mercato che per me avrebbe fatto meglio ma ancora (purtroppo) non si è visto.
Faccio chiarezza:il libero mercato che intendo io (e non solo) non è il mercato senza alcuna regola,è il mercato gestito con pochi e semplici regole volte a far sì che il mercato non diventi una bestia immonda che sbrana i più deboli,ma invece resti uno strumento di sviluppo dell'economia,che per definizione è 'la scienza del soddisfacimento dei bisogni umani';per analogia il mercato è libero (da condizionamenti particolaristici) se gli è consentito di operare per soddisfare appunto questi bisogni.
Se invece il mercato diventa qualcosa di asservito ai bisogni di qualcuno che lo controlla,l'umanità vive un progresso fittizio.
Inventare e commercializzare qualcosa di necessario,ma renderlo disponibile solo a una piccola percentuale di gente giocherellando con la legge della domanda e dell'offerta,non è soddisfare un bisogno;alle volte significa amplificarlo.
Progresso era risolvere quello stesso problema in modo più razionale per renderlo più accessibile.
Che l'azienda abbia come obiettivo il profitto è giusto perchè funziona da stimolo al progresso,però l'economia ha un altro obiettivo più alto come abbiamo visto prima,e le politiche economiche devono essere ispirate a questo e stabilire di conseguenza come le aziende possano muoversi per evitare che il mercato,da strumento positivo,diventi il teatro di uno sfruttamento indegno dei bisogni umani (reali o indotti).

Quello che hai scritto per esempio sullo sviluppo ecosostenibile,e che condivido nel merito e nello spirito,è un brillante esempio di questa mia posizione.

PS:
Il capitalismo,cioè la concentrazione delle risorse,in teoria sarebbe un dato positivo perchè consentirebbe traguardi più ambiziosi e maggior benessere.
Che già diverse volte invece il sistema abbia fatto crac nonostante queste ipotetico vantaggio la dice molto lunga,se non sulla adeguatezza del sistema,come minimo sulle reali intenzioni di chi lo controlla.
La mi opinione è che ciò dipenda dall'ingerenza dei gruppi capitalisti nella vita amministrativa e nel conseguente controllo delle politiche economiche;
Ha ragione Rosario:fuori i mercanti dal tempio.
Stefano'62
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