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Crisi: protezionismo o liberismo?

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Crisi: protezionismo o liberismo?

Messaggioda franz il 06/02/2009, 9:50

Agli americani piace il piano McCain
Editoriale di Obama: «Bisogna agire subito»


Obama fa pressioni per approvare il suo progetto, ma gli Usa guardano a quello del repubblicano
FRANCESCO SEMPRINI
NEW YORK

Per Barack Obama, ancora una volta sotto il fuoco incrociato della recessione - che, dice, «non mi fa dormire la notte» - e dell’opposizione repubblicana dall’altra, è ogni giorno più in salita il cammino verso la rinascita economica. La lunga giornata del presidente si apre di buon mattino con l’arrivo dei dati sulle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione salite la scorsa settimana di 35 mila unità a quota 626 mila, il massimo dal 1982, e ben oltre le attese degli analisti. Il bollettino è ancor più pesante per i lavoratori che ricevono sussidi, da oltre una settimana saliti a 4.778.000, il record dall’inizio delle rilevazioni del 1967. Oggi inoltre il dipartimento del Lavoro annuncerà altri 525 mila posti persi a gennaio che portano il tasso di disoccupazione al 7,5%. L’emergenza occupazionale, confermata dagli esperti dell’agenzia Adp che ammoniscono l’amministrazione a non indugiare, non è la sola bordata giunta dal fronte macroeconomico. Siluri arrivano dal versante dei consumi dove le grandi catene al dettaglio denunciano l’ennesima flessione di affari preceduta a dicembre dal quinto calo consecutivo degli ordinativi alle fabbriche.

In controtendenza è invece il dato sulla produttività delle aziende, balzato del 3,2%, molto più delle previsioni, grazie proprio ai tagli aggressivi che la Corporate America ha fatto sul personale (i più pesanti da metà Anni Settanta) e sui quali nel 2008 l’indicatore ha registrato la crescita più pronunciata dal 2004 (+2,8%). Il quadro non depone a favore di Obama che se da una parte cammina tra le rovine della recessione, dall’altra rischia di perdere - secondo gli analisti - la guerra delle pubbliche relazioni sul piano di stimoli da 900 miliardi. Nonostante goda di grande popolarità, il presidente ha visto ridursi l’indice di gradimento per il suo American Recovery and Reinvestment Plan da quando i repubblicani hanno sferrato la controffensiva in Senato e sulle cannoniere radiofoniche conservatrici. Secondo gli esperti il messaggio di Obama sulla necessità di «spendere» non convince rispetto al più accattivante «tagliare» sostenuto dall’opposizione. E a guidare la manovra del Grand Old Party nella Camera alta del Congresso è John McCain che ha presentato una ricetta alternativa da 445 miliardi di dollari a base di sgravi più ampi e con cui sta raccogliendo consensi fra repubblicani e i democratici conservatori fiscali.

Il ritorno del guerriero, uscito sconfitto il 4 novembre, costringe Obama in difesa: il presidente chiama l’ex rivale delle presidenziali per trovare un compromesso e riuscire a superare l’ostruzionismo. Nel frattempo il Senato ammorbidisce le clausole sul «Buy America», raccogliendo il plauso dei partner europei che avevano gridato al complotto protezionista Usa. Un’intesa è stata raggiunta anche sugli aiuti all’acquisto di immobili, con lo stanziamento di 15 mila dollari di sgravi per chi acquista un’abitazione. Da questi accordi Obama riparte tentando di risalire la china con un editoriale sul Washington Post, nel quale sferza il popolo americano: «Senza stimoli la crisi diventa irreversibile: a rischio ci sono altri cinque milioni di posti di lavoro». Il concetto è ribadito nel corso della visita di ieri al dipartimento dell’Energia, uno dei centri nevralgici della ripresa auspicata da Obama: «Il momento delle discussioni è finito - dice - si deve agire subito».

Il presidente interviene anche sul nodo finanziario e dopo il consueto briefing economico e l’incontro col segretario al Tesoro, Timothy Geithner, trapelano voci su un possibile annuncio del piano salva-banche «Tarp» già da lunedì. La notizia, che prelude a un accordo raggiunto in seno all’amministrazione sulla «bad bank», fa rimbalzare gli indici di Wall Street: il Dow Jones chiude a +1,34%, il Nasdaq a +2,06%. Mentre gli investitori sperano nel ritrovato ottimismo, il presidente si imbarca sull’Air Force One - è il suo primo volo presidenziale - alla volta di Williamsburg, Virginia: la missione è convincere l’assemblea degli eletti democratici - molti dei quali lo criticano in economia - che senza unità per il Paese non c’è futuro.
www.lastampa.it
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Re: Crisi: protezionismo o liberismo?

Messaggioda franz il 06/02/2009, 11:59

I rischi oggi di risposte errate alla crisi sono elevati.
Se una risposta è sbagliata, la crisi puo' peggiorare.
Come si legge, nascono un po' ovunque richieste di tipo protezionistico: consumiamo italiano, diciamo noi, "buy america" dicono in USA. Tendenze nazionaliste simili le troviamo un po' ovunque e non hanno limiti.
In Sicilia potrebbero dire "consumiamo siciliano" ed a Bergamo pure. Ma anche a Bergamo Alta.
Fortunatamente quasi tutti i governi si stanno rendendo conto che se ogni nazione attua sue misure protezionistiche, la situazione peggiora.
Eppure i governi vogliono "fare" ed anche qui c'è il rischio di fare pasticci, azioni scoordinate, controproducenti.
L'attuale dibattito in USA è significativo. Non solo è rispuntato McCain ma ben 200 economisti, tra cui 3 Nobel, hanno pubblicamente bacchettato Obama sul N.Y. Times alla fine di gennaio.
http://cato.org/special/stimulus09/cato_stimulus.pdf
Obama aveva detto "There is no disagreement that we need action by our government, a recovery plan that will help to jumpstart the economy". Non c'è disaccordo che ci sia bisogno di una azione del nostro governo, un piano di intervento per rilanciare l'economia. Ma il disaccordo c'è e appunto 200 economisti hanno risposto che "

With all due respect
Mr.President, that is not true
.
Notwithstanding reports that all economists are now Keynesians and that we all support a big increase in the burden of
government, we the undersigned do not believe that more government spending is a way to improve economic performance.
More government spending by Hoover and Roosevelt did not pull the United States economy out of the Great Depression in the 1930s. More government spending did not solve Japan’s “lost decade” in the 1990s. As such, it is a triumph of hope over experience to believe that more government spending will help the U.S. today. To improve the economy, policymakers should focus on reforms that remove impediments to work, saving, investment and production. Lower tax rates and a reduction in the burden of government are the best ways of using fiscal policy to boost growth.

In parole povere, affermano che non vi è alcuna evidenza storica che la maggiore spesa governativa abbia risolto passate crisi economiche come la grande depressione del '30 o la crisi giapponese degli anni '90.
Affermano pero' che il governo puo' e deve fare qualche cosa: rimuovere impedimenti statali al lavoro, all'investimento produttivo, al risparmio, diminuire le imposte. Il rischio invece, questo lo aggiungo io, è che le imposte aumentino, per sanare il grande salasso di spesa pubblica. Vediamo già oggi i segnali qui in Italia:

Pressione fiscale a livelli record
nel 2009 sarà al 43,3 per cento

Secondo le stime del governo, il livello delle tasse tornerà ai livelli del 2007. Per il Pil una contrazione dell'1,7%, il deficit salirà al 3,7%, il debito pubblico aumenta di quasi cinque punti balzando al 111,2%

http://www.repubblica.it/2009/01/sezion ... fisco.html

Ciao,
Franz
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Re: Crisi: protezionismo o liberismo?

Messaggioda franz il 06/02/2009, 14:48

Per superare la crisi riscopriamo (e rinnoviamo) il vecchio modello europeo la soluzione americana...
Crisi, riflessioni dopo Davos


GLI SPOT DEL SUPERBOWL, LA SPERANZA EUROPEA

Intervento su Il Messaggero del 6 febbraio 2009

di Romano Prodi

IL DISASTRO dell`economia mondiale è così grande che, al vertice di Davos, perfino i no-global non sapevano che pesci prendere. Nonostante ì drammi causati dal crollo dell`economia erano infatti ben pochi a protestare. Le proteste, inoltre, non si rivolgevano verso le difficili decisioni da prendere o le spaventose ingiustizie da sanare, ma si concentravano nel contestare il fatto che a parlare di rimedi fossero soprattutto coloro che erano stati la causa della crisi.

Se questo avveniva nelle strade di Ginevra e Davos non minore era la confusione nei saloni dove si svolgevano i dibattiti e le discussioni. Tre sentimenti sono tuttavia emersi sopra tutti- gli altri nei giorni dì Davos, cioè un sentimento di paura, uno di imbarazzo e uno di speranza.

Il sentimento di paura è quello del protezionismo. Non solo il protezionismo sul commercio dei beni, ma anche riguardo alla circolazione dei capitali e alla mobilità della mano d`opera. Ed è una paura giustificata perché gli americani minacciano misure contro le importazioni (una sorta di “buy american“), i francesi sembrano orientarsi verso una politica di aiuti limitata alle imprese nazionali, e gli esempi potrebbero essere moltiplicati.
Quanto al mondo del lavoro, come sta avvenendo in Gran Bretagna, la politica contro gli operai stranieri sta raggiungendo ovunque elevatissimi livelli di popolarità, se perfino un ministro del Governo italiano ha dichiarato che i lavoratori inglesi sono un modello a cui ispirarsi. Se questo processo non viene arrestato da un coordinamento delle politiche di tutti i grande Paesi, non solo la crisi si aggraverà ma ne usciremo fuori solo fra moltissimi anni.

Il secondo sentimento (di imbarazzo) riguarda il nuovo ruolo che i governi stanno assumendo nella vita economica mondiale per effetto di anni di errori politici e di mancanze etiche. Dal punto di vista politico troppi pensavano (o tentavano di farci credere) che il mercato da solo è sempre capace di riequilibrare il sistema economico e di correggerne gli errori. Per coloro che avevano seguito questa dottrina giudicandola infallibile è infatti imbarazzante dover ammettere la necessità di un massiccio intervento dello Stato per impedire che le banche (e di conseguenza le imprese) crollino come castelli di carta. L`allargamento dell`intervento pubblico appare quasi la soluzione di ogni problema. Siamo ormai arrivati all`assurdo che proprio coloro che in passato avevano sostenuto necessario il ruolo dello stato come arbitro autorevole e severo del quadro economico debbano ora adoperarsi perché l`intervento pubblico non diventi troppo pesante e non pregiudichi il necessario funzionamento del mercato. Essere arbitro autorevole e severo significa oggi applicare regole e comportamenti etici che sono stati ignorati o calpestati nei passati due decenni.
Non esiste infatti un`economia senza regole e senza la forza di chi le faccia rispettare.

Il terzo sentimento (quello di speranza) riguarda il ruolo futuro dell`Europa.
Un`Europa che era nata non solo per creare sviluppo, ma anche per costruire una politica di maggiore equilibrio fra Paesi ricchi e Paesi poveri e per dare un minimo di sicurezza a tutti i propri cittadini, anche e soprattutto nei momenti di difficoltà.
Un`Europa che è nata per promuovere il mercato ma anche per proteggere i cittadini dalle suemancanze e dai suoi errori .
Un`Europa in cui Stato e mercato giocano un ruolo distinto macomplementare e sono entrambi sottomessi a precise regole e in cui la protezione dei più deboli nei momenti di difficoltà non deriva dalla carità o da buoni sentimenti, ma da obblighi di comportamento collettivo e dal riconoscimento dei diritti delle persone.
Nel primo dopoguerra per definire il modello europeo, si usava la definizione di “economia sociale di mercato”.
È una terminologia un po` antica ma che rende bene l`idea della direzione da tenere in questo momento critico e del ruolo di equilibrio che l`Europa potrà e dovrà svolgere nel mondo.
Vorrei concludere con una riflessione finale che non mi appare inappropriata.

Pochi giorni fa si è svolto negli Stati Uniti il famoso “Superbowl” l`avvenimento sportivo più seguito da tutti gli americani.
Basti pensare che i telespettatori sono solitamente superiori di numero rispetto agli americani che si recano a votare alle elezioni presidenziali. Potete immaginare quale cifra astronomica costino gli spot pubblicitari durante questo avvenimento.
Ebbene i telespettatori si sono trovati di fronte a uno spazio pubblicitario (chiamato cash for gold) che offriva “la migliore valutazione” ai milioni di cittadini che erano costretti a vendere gli anelli o le collane d`oro per potere tirare avanti.
Mentre un`altra pubblicità prometteva di restituire il prezzo di acquisto di un`automobile a chi fosse successivamente rimasto disoccupato. Sono questi gli aggiustamenti che noi affidiamo al mercato?
lo penso di no.

Penso perciò che valga la pena di riprendere in esame e riscoprire (rinnovandolo) il vecchio modello europeo.
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