gabriele ha scritto:In Italia non c’è lavoro.
E non c’è non solo perché ora stiamo passando un momento di crisi internazionale.
Il lavoro non c’è ormai da molto tempo. Almeno fin dagli anni novanta, da quando cioè sono stati creati i contratti a termine come le collaborazioni continuative, i lavori socialmente utili, il popolo delle partite IVA…e le altre forme di contratto tampone che danno qualche lavoretto ai “poveretti” e sollazzano le tasche dei potenti.
Molto probabilmente a quei tempi, quando le introdusse, non era intenzione di Prodi l’evolversi di queste forme contrattuali in un sistema così articolato e vasto da ricoprire ormai quasi un terzo della forza lavoro italiana, ma la condizione in cui ci troviamo ora sta superando una soglia critica che, a dire di molti, potrebbe sfociare nella violenza.
Il lavoro in Italia non c’è. E le cause sono dovute soprattutto ad un’economia arcaica e illiberale. In Italia esiste un mercato viziato dalle mafie e dai massoni, moderni o antichi. La loro invasione sistemica si interpone fra la domanda e l’offerta, riducendone di conseguenza il rendimento e generando pertanto povertà e mancanza di lavoro.
A questo vuoto, a causa dell’ennesima emergenza a cui occorreva rispondere, i poteri politici ed economici hanno cercato di dare una risposta introducendo forme contrattuali “anomale” nelle quali i basilari diritti dei lavoratori venivano scavalcati.
Tali forme hanno diviso il mondo del lavoro in due: lavoratori stabili, con contratto “fisso” a tempo indeterminato, e instabili, con contratti atipici. Ovviamente l’introduzione doveva riguardare solo coloro che si affacciavano per la prima volta al mondo del lavoro, e dovevano essere l’eccezione e non la regola…ovviamente questi lavoratori dovevano essere brevemente riassorbiti e quindi condurre una regolare vita lavorativa…ovviamente
…
Il sistema deve essere libero, cioè non vincolato da gruppi di potere ma da regole certe. Ma questo è un discorso vecchio, molto più dell’Italia…
Riparto da qui.
L'analisi di gabriele è corretta ma limitata nel tempo. Vero che il lavoro non c'è e da molto tempo ma gabriele indica i primi anni 90 come punto di frattura. Ho già detto che in realtà le cause sono antecedenti. Ho accennato a 30 milioni di emigrati e credo che questo dovrebbe bastare a dimostrare che il lavoro è un problema in Italia da almeno un secolo.
La parte giusta dell'analisi di gabriele sui vizi del mercato e sulla necessità di una sua liberalizzazione.
Ma vanno precisate alcune cose. Gabriele parla di un mercato arcaico ed illiberale. Ebbene, io credo che ogni paese avanzato abbia avuto a tempo debito un mercato arcaio. Che pero' si è evoluto nel tempo lungo una direttrice molto meno ingessata, irrigidita, ingabbiata dell'Italia; piu' liberale. Bisogna allora capire perché da noi i mercati arcaici non si sono evoluti in senso liberale. Gabriele allude a mafie e massoni. Io aggiungerei anche gilde, corporazioni e il loro rapporto con uno stato invadente ed una classe politica quanto meno pasticciona (ipotizzando la buona fede).
Ritengo che quando il mercato rimane arcaico e non si sviluppa, il problema riguardi principalmente le leggi dello stato. Non necessariamente le leggi sul mercato del lavoro (anche quelle incidono) ma prima vanno esaminate le leggi sul commercio interno ed internazionale. L'Italia ha avuto in passato un approccio fortememte protezionista, tendente ad ostacolare le importazioni e qualsiasi movimento di merce. Tanto per ricordare alcune cose del recente passato, prima dell'adozione dell'IVA (1972) in Italia c'erano ancora i dazi interni e quindi la merce che veniva da Bari a Milano pagava un'importo. Ricordo che fuori milano, lungo le strade principali, c'erano degli edifici messi sul confine comunale chiamati appunto Dazio, dove si pesava la merce e si pagava. Ancora piu' forti i vincoli all'importazione, tanto che ancora negli anni 60 quando in Europa già circolavano le prime macchine giapponesi economiche, da noi non se ne vedeva l'ombra (esistevano contingenti, paese per paese, per le macchine importabili). Ovviamente questi dazi erano imposti dall'autorità statale ma richiesti dal mondo economico italiano.
Non occorre quindi ipotizzare particolari mafie, o massonerie. Basta solo comprendere che la mentalità illiberale e protezionistica del nostro capitalismo arcaico ha prodotto come filo conduttore nazionale non solo l'autarchia fascista ma il protezionismo come forma principale di tutela degli interessi di parte (corporativi e sindacali). Ritengo infatti che anche la forte rigidità del mercato del lavoratori dipendenti (le conquiste sindacali dei lavoratori) siano un aspetto di protezionismo, teso a tutelare categorie abbastanza forti da poter richiedere particolari tutele legali allo stato.
L'analisi degli economisti classici è che un mercato vincolato, protetto e bloccato (non libero) si sviluppa meno di uno piu' libero e che l'effetto delle regole poste per tutelare alcuni avrà effetti compensatori su altri. Se non puoi importare merci, esporterai lavoratori. La soluzione allora non è di aggiungere nuove leggi per compensare gli effetti negativi di altre ma di abolire quelle leggi che pur fatte anche in buona fede hanno dimostrato "effetti collaterali" imprevisti che hanno ulterirmente depresso il mercato (anzi i mercatI: merci, lavoro, casa, ...). Gli anni '90 non sono un punto di frattura ma uno dei tanti casi in cui per riparare un elemento di rigidità imposto da leggi e contratti, si sono inseriti elementi ulteriori. Ma chi mai avrebbe accettato di eliminare tutti gli elementi di rigidità?
Chiaramente questo è difficile perché in un "sistema protetto" abolire regole protezionistiche solleva le forti resistenze di corporazioni e gilde organizzate e molto potenti. Nessuno vuole perdere la sua sia pur piccola parte di protezione.
Mantiene la sua a scapito di altri e fa di tutto perché nello Stato rimangano i referenti politici che assicurino le loro tutele particolari. Per dire: a Londra chiunque puo' fare il tassita: basta superare un esame (mi dicono molto severo). In Italia invece compri una licenza e queste sono limitate. Se uno che nemmeno conosce le strade di Napoli (come mi è capitato) riesce in qualche modo (lascio i particolari alla vostra immaginazione) ad avere una licenza, guiderà un taxi. E mi chiederà se conosco piu' o meno come andare dove voglio andare.
Qui sta il punto. Un capitalismo protezionistico, non aperto al mercato, ha prodotto un sistema povero in cui tutti stanno aggrappati a forme di tutele (corporative, sindacali). Sistemi simili è difficile sbloccarli e spesso l'unica via di fuga è ... la fuga. Lavoratori (da un secolo) e aziende, da qualche anno.
La soluzione è nella chiusa di gabriele:
Il sistema deve essere libero, cioè non vincolato da gruppi di potere ma da regole certe.. Concordo ed una delle regole certe è "meno regole possibile" e sempre con un occhio agli effetti compensatori che certe regole inevitabilmente producono. Lo statuto dei lavoratori per esempio ha prodotto per primo la divisione in due di cui parla gabriele. Prima degli anni 90. Anche l'equo canone (una legge che prevede di fissare l'affitto con una formula matematica al posto del mercato) ha prodotto danni irreparabili, eliminando quasi del tutto l'affitto e costringendo piu' del 70% degli italiani a comprarsi la casa. Se vogliamo piu' lavoro dobbiamo avere piu' mercato e meno leggi che lo limitino.
Franz
“Il segreto della FELICITÀ è la LIBERTÀ. E il segreto della Libertà è il CORAGGIO” (Tucidide, V secolo a.C. )
“Freedom must be armed better than tyranny” (Zelenskyy)