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Il lavoro

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Il lavoro

Messaggioda ranvit il 12/08/2010, 19:12

Caro franz, in questo caso sono d'accordo, in gran parte, con pierodm....(ad eccezione dell'assoluzione che fa degli errori della sinistra. Compiuti, dico io, in particolare nella seconda metà della prima repubblica).

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 12/08/2010, 21:13

Caro Piero, l'emigrazione non è una soluzione politica. E chi lo ha detto?
E una soluzione individuale. Se funziona .... lo scoprirà chi la percorre.
Gli italiani che emigravano ed emigrano oggi (anche solo per cambiare regione) lo fanno per cercare lavoro ed una vita migliore. Scelta individuale che ha ovviamente ricadute politiche ed economiche. L'Italia degli anni 60 è stata alimentata anche dalle rimesse degli emigrati italiani. Il lavoro non manca dagli anni '90, come dice Gabriele. Manca da molto prima.
Lui essendo giovane ha una memoria solo degli ultimi anni ma il lavoro manca in Itala da almeno un secolo.
Chi ha tempo dia un'occhiata alla scheda http://it.wikipedia.org/wiki/Emigrazione_italiana

Franz
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Quando in una discussione di stretto significato politico, s

Messaggioda pierodm il 13/08/2010, 11:53

Quando in un discorso di stretto contenuto politico si arriva a discutere sui vari aspetti di una "soluzione", in rapporto al tema in questione, a me sembra che s'introduca automaticamente un senso molto politico in quella "soluzione".
Che si tratti, poi, di una soluzione individuale è ovvio: anche la raccomandazione dell'assessore di turno è una "soluzione individuale", dal punto di vista di chi sceglie di farne uso: e, quanto a questo, per molti funziona.
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Re: Quando in una discussione di stretto significato politico, s

Messaggioda franz il 13/08/2010, 12:14

pierodm ha scritto:Quando in un discorso di stretto contenuto politico si arriva a discutere sui vari aspetti di una "soluzione", in rapporto al tema in questione, a me sembra che s'introduca automaticamente un senso molto politico in quella "soluzione".
Che si tratti, poi, di una soluzione individuale è ovvio: anche la raccomandazione dell'assessore di turno è una "soluzione individuale", dal punto di vista di chi sceglie di farne uso: e, quanto a questo, per molti funziona.

Nel caso della raccomandazione dell'assessore abbiamo un rappresentante della polis da un lato ed un cittadino dall'altro.
Se la raccomandazione diventa un fattore generale esce dalla sfera puramente individuale e diventa politica.
Anche perché l'assessore non raccomanda gratis e comunque facemndolo dannaggia chi magari avrebbe piu' merito ma meno assessori tra i conoscenti.
L'emigrazione è un fatto diverso perché è veramente individuale (persona o famiglia) e non esiste un politico che organizza l'evento in cambio di .... non so cosa. Veramente un tempo l'emigrazione fu fatto politico quando agli inizi del 1900 si cercava di spostare l'eccesso dei contadini verso le colonie o terre conquistate (libia, somalia, etiopia etc.).
Ma a parte questo particolare contesto, l'emigrazione di fatto è una "strategia di exit" individuale, un modo per sfuggire ad una situazione che ha poche vie di fuga.
Naturalmente il fatto che "tra il 1861 e il 1985 sono state registrate quasi 30 milioni di partenze" è un dato politico, storico e sociale importante; non come "soluzione" ma come fenomeno. Contemporaneamente è fatto storico che alcuni paesi piu' di altri diventino ricettivi sul piano dell'immigrazione. Secondo alcune fonti gli oriundi italiani nel mondo sarebbero 80 milioni. Quelli in Australia sono piu' di quelli in Germania. Quanti sono gli immigrati tedeschi, francesi, americani ... svedesi in Italia? Ben pochi. Invece gli oriundi italiani in Francia sono 4 milioni.
L'emigrazione non è affatto paragonabile al rapporto clientelare con il funzionario di turno anzi è un modo per sfuggire a quel tipo di rapporto e trovare lavoro in modo dignitoso, sfuggendo alle mafie, alle caste, alle corporazioni.

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Re: Il lavoro

Messaggioda Myosotis il 13/08/2010, 19:45

Intanto ringrazio Gabriele per l'averci riportati agli aspetti essenziali: chè mi stavo un po' perdendo nei meandri di questa discussione :o .

Io penso che il fenomeno dell'emigrazione - non l'emigrare in sè quale espressione di scelte individuali - sia, al contrario, tra i temi dai contenuti più eminentemente politici.
Lasciamo perdere la repressione delle libertà individuali, là dove l'esprimere le proprie idee o il parlare la propria lingua ed esercitare le proprie tradizioni, ovvero la propria fede, si traduce nella condizione degli esuli e nell'esercizio del diritto di asilo. Per cui l'accoglienza di questi migranti dovrebbe essere sacra ad un regime democratico che si taccia di difendere certi diritti e di esserne espressione.
Poi, c'è il discorso di quanti scappano dalla guerra o dall'indigenza per rincorrere la mera sopravvivenza: della carne da macello dei traffici di esseri umani e del principale sottobosco della clandestinità; nonchè, ultimi tra gli ultimi, dei principali capri espiatori della criminalità di tutt*. E se non esprima contenuti politici la "tolleranza", da una parte e la repressione, dall'altra, di una condizione "sociale" di fatto fatta priva di qualsiasi diritto compreso quello ad esistere, allora io non so più cosa significhi la politica.
Poi c'è il discorso di quanti emigrano in senso stretto spinti dai bisogno di una speranza di migliorare le proprie condizioni di vita e quelle della propria famiglia. Fermo restando che tra l'andare a fare il pizzettaro, o l'operaio al nero e in subappalto, ovvero il manager o il ricercatore universitario o chi più ne ha più ne metta, è d'uopo distinguere tra bisogni d'origine e diritti di approdoprofondamente diversi. E siccome è degli "altri" che stiamo parlando e non di "noi", allora questa forza lavoro che non è clandestina per i diritti minimi di cittadinanza ma lo è, purtroppo, per lo Statuto dei lavoratori, riversa sulle nostre presunte certezze un velo di inquietudine. E se non ha una sostanza politica una competizione al ribasso tra i lavoratori di serie A, B e C, non capisco più nemmeno che senso abbia discutere di politica.
ciao
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Re: Il lavoro

Messaggioda pianogrande il 13/08/2010, 21:19

Quando erano ancora in vita tanti fascisti che avevano indossato la camicia nera, li ho sentiti più volte definire il popolo italiano come capace solo di fare la valigia e scappare.
Il duce la carne da macello la voleva tutta in patria.
Certo che l'emigrazione ha un grosso contenuto ed una enorme ricaduta politica.
Intanto, trovare o non trovare lavoro a casa propria ha sempre avuto un risvolto politico pesantissimo (il lavoro fattelo dare da baffone, dice il caporale al bracciante in un famoso film) e ci possono essere milioni di altri esempi.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 14/08/2010, 9:19

gabriele ha scritto:In Italia non c’è lavoro.

E non c’è non solo perché ora stiamo passando un momento di crisi internazionale.

Il lavoro non c’è ormai da molto tempo. Almeno fin dagli anni novanta, da quando cioè sono stati creati i contratti a termine come le collaborazioni continuative, i lavori socialmente utili, il popolo delle partite IVA…e le altre forme di contratto tampone che danno qualche lavoretto ai “poveretti” e sollazzano le tasche dei potenti.

Molto probabilmente a quei tempi, quando le introdusse, non era intenzione di Prodi l’evolversi di queste forme contrattuali in un sistema così articolato e vasto da ricoprire ormai quasi un terzo della forza lavoro italiana, ma la condizione in cui ci troviamo ora sta superando una soglia critica che, a dire di molti, potrebbe sfociare nella violenza.

Il lavoro in Italia non c’è. E le cause sono dovute soprattutto ad un’economia arcaica e illiberale. In Italia esiste un mercato viziato dalle mafie e dai massoni, moderni o antichi. La loro invasione sistemica si interpone fra la domanda e l’offerta, riducendone di conseguenza il rendimento e generando pertanto povertà e mancanza di lavoro.

A questo vuoto, a causa dell’ennesima emergenza a cui occorreva rispondere, i poteri politici ed economici hanno cercato di dare una risposta introducendo forme contrattuali “anomale” nelle quali i basilari diritti dei lavoratori venivano scavalcati.

Tali forme hanno diviso il mondo del lavoro in due: lavoratori stabili, con contratto “fisso” a tempo indeterminato, e instabili, con contratti atipici. Ovviamente l’introduzione doveva riguardare solo coloro che si affacciavano per la prima volta al mondo del lavoro, e dovevano essere l’eccezione e non la regola…ovviamente questi lavoratori dovevano essere brevemente riassorbiti e quindi condurre una regolare vita lavorativa…ovviamente

Il sistema deve essere libero, cioè non vincolato da gruppi di potere ma da regole certe. Ma questo è un discorso vecchio, molto più dell’Italia…

Riparto da qui.
L'analisi di gabriele è corretta ma limitata nel tempo. Vero che il lavoro non c'è e da molto tempo ma gabriele indica i primi anni 90 come punto di frattura. Ho già detto che in realtà le cause sono antecedenti. Ho accennato a 30 milioni di emigrati e credo che questo dovrebbe bastare a dimostrare che il lavoro è un problema in Italia da almeno un secolo.

La parte giusta dell'analisi di gabriele sui vizi del mercato e sulla necessità di una sua liberalizzazione.
Ma vanno precisate alcune cose. Gabriele parla di un mercato arcaico ed illiberale. Ebbene, io credo che ogni paese avanzato abbia avuto a tempo debito un mercato arcaio. Che pero' si è evoluto nel tempo lungo una direttrice molto meno ingessata, irrigidita, ingabbiata dell'Italia; piu' liberale. Bisogna allora capire perché da noi i mercati arcaici non si sono evoluti in senso liberale. Gabriele allude a mafie e massoni. Io aggiungerei anche gilde, corporazioni e il loro rapporto con uno stato invadente ed una classe politica quanto meno pasticciona (ipotizzando la buona fede).

Ritengo che quando il mercato rimane arcaico e non si sviluppa, il problema riguardi principalmente le leggi dello stato. Non necessariamente le leggi sul mercato del lavoro (anche quelle incidono) ma prima vanno esaminate le leggi sul commercio interno ed internazionale. L'Italia ha avuto in passato un approccio fortememte protezionista, tendente ad ostacolare le importazioni e qualsiasi movimento di merce. Tanto per ricordare alcune cose del recente passato, prima dell'adozione dell'IVA (1972) in Italia c'erano ancora i dazi interni e quindi la merce che veniva da Bari a Milano pagava un'importo. Ricordo che fuori milano, lungo le strade principali, c'erano degli edifici messi sul confine comunale chiamati appunto Dazio, dove si pesava la merce e si pagava. Ancora piu' forti i vincoli all'importazione, tanto che ancora negli anni 60 quando in Europa già circolavano le prime macchine giapponesi economiche, da noi non se ne vedeva l'ombra (esistevano contingenti, paese per paese, per le macchine importabili). Ovviamente questi dazi erano imposti dall'autorità statale ma richiesti dal mondo economico italiano.

Non occorre quindi ipotizzare particolari mafie, o massonerie. Basta solo comprendere che la mentalità illiberale e protezionistica del nostro capitalismo arcaico ha prodotto come filo conduttore nazionale non solo l'autarchia fascista ma il protezionismo come forma principale di tutela degli interessi di parte (corporativi e sindacali). Ritengo infatti che anche la forte rigidità del mercato del lavoratori dipendenti (le conquiste sindacali dei lavoratori) siano un aspetto di protezionismo, teso a tutelare categorie abbastanza forti da poter richiedere particolari tutele legali allo stato.

L'analisi degli economisti classici è che un mercato vincolato, protetto e bloccato (non libero) si sviluppa meno di uno piu' libero e che l'effetto delle regole poste per tutelare alcuni avrà effetti compensatori su altri. Se non puoi importare merci, esporterai lavoratori. La soluzione allora non è di aggiungere nuove leggi per compensare gli effetti negativi di altre ma di abolire quelle leggi che pur fatte anche in buona fede hanno dimostrato "effetti collaterali" imprevisti che hanno ulterirmente depresso il mercato (anzi i mercatI: merci, lavoro, casa, ...). Gli anni '90 non sono un punto di frattura ma uno dei tanti casi in cui per riparare un elemento di rigidità imposto da leggi e contratti, si sono inseriti elementi ulteriori. Ma chi mai avrebbe accettato di eliminare tutti gli elementi di rigidità?

Chiaramente questo è difficile perché in un "sistema protetto" abolire regole protezionistiche solleva le forti resistenze di corporazioni e gilde organizzate e molto potenti. Nessuno vuole perdere la sua sia pur piccola parte di protezione.
Mantiene la sua a scapito di altri e fa di tutto perché nello Stato rimangano i referenti politici che assicurino le loro tutele particolari. Per dire: a Londra chiunque puo' fare il tassita: basta superare un esame (mi dicono molto severo). In Italia invece compri una licenza e queste sono limitate. Se uno che nemmeno conosce le strade di Napoli (come mi è capitato) riesce in qualche modo (lascio i particolari alla vostra immaginazione) ad avere una licenza, guiderà un taxi. E mi chiederà se conosco piu' o meno come andare dove voglio andare. :(

Qui sta il punto. Un capitalismo protezionistico, non aperto al mercato, ha prodotto un sistema povero in cui tutti stanno aggrappati a forme di tutele (corporative, sindacali). Sistemi simili è difficile sbloccarli e spesso l'unica via di fuga è ... la fuga. Lavoratori (da un secolo) e aziende, da qualche anno.

La soluzione è nella chiusa di gabriele: Il sistema deve essere libero, cioè non vincolato da gruppi di potere ma da regole certe.. Concordo ed una delle regole certe è "meno regole possibile" e sempre con un occhio agli effetti compensatori che certe regole inevitabilmente producono. Lo statuto dei lavoratori per esempio ha prodotto per primo la divisione in due di cui parla gabriele. Prima degli anni 90. Anche l'equo canone (una legge che prevede di fissare l'affitto con una formula matematica al posto del mercato) ha prodotto danni irreparabili, eliminando quasi del tutto l'affitto e costringendo piu' del 70% degli italiani a comprarsi la casa. Se vogliamo piu' lavoro dobbiamo avere piu' mercato e meno leggi che lo limitino.

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Re: Il lavoro

Messaggioda pierodm il 14/08/2010, 14:33

Qui sta il punto. Un capitalismo protezionistico, non aperto al mercato, ha prodotto un sistema povero in cui tutti stanno aggrappati a forme di tutele (corporative, sindacali). Sistemi simili è difficile sbloccarli e spesso l'unica via di fuga è ... la fuga. Lavoratori (da un secolo) e aziende, da qualche anno.
La soluzione è nella chiusa di gabriele: Il sistema deve essere libero, cioè non vincolato da gruppi di potere ma da regole certe.. Concordo ed una delle regole certe è "meno regole possibile" e sempre con un occhio agli effetti compensatori che certe regole inevitabilmente producono. Lo statuto dei lavoratori per esempio ha prodotto per primo la divisione in due di cui parla gabriele. Prima degli anni 90. Anche l'equo canone (una legge che prevede di fissare l'affitto con una formula matematica al posto del mercato) ha prodotto danni irreparabili


Franz fa un lungo ragionamento, e alla fine approda là dove , qui e in altri post, eravamo partiti: certo usa altri termini, diciamo così meno pericolosamente affetti da un sapore "di sinistra" (non sia mai), ma il senso di un "capitalismo protezionistico, non aperto al mercato" è inequivocabile - ricordo quando Franz mi chiedeva, con studiata innocenza, cosa intendessi per "rendite di posizione", contestandone non ricordo se l'importanza o la semplice esistenza.

Equiparare lo Statuto dei lavoratori alla legge sull'Equo canone è davvero curioso: capisco la ragione dell'accostamento, ma semplicemente non la trovo condivisibile, e anzi diciamo pure capziosa, perché ignora completamente il senso etico e politico dello Statuto e, come sempre, finisce per scaricare sulle spinte alla democratizzazione le responsabilità di un sistema che ha ragioni ben altrimenti consistenti di degrado. Una posizione, anzi una prospettiva di destra, insomma.

L'Equo canone fu un impiastro, ideologicamente incoerente con la realtà e mal congegnato.
Ma il problema della casa esisteva, a prescindere da come fu affrontato da questa legge, e ha molte connessioni con il sistema distorto e iniquo della speculazione edilizia, della legislazione caotica e restrittiva sulle concessioni edilizie e altri fattori che francamente conosco solo per larga approssimazione.

Infine il discorso sulle "regole": tutto giusto, ma i gruppi di potere non chiedono il permesso per esistere.
Là dove s'intende intervenire con invasività regolativa - anche dotata di buone intenzioni - i gruppi di potere sono tali poiché hanno la posibilità di piegare le costituende regole a proprio vantaggio.
Là dove, però, s'intende adottare poche regole, in un sistema meno vincolato, ugualmente il poteere è potere: la prevaricazione è quasi certa, perché la competizione è falsata in partenza.
Per inciso: un sistema dove ciò non sia possibile, o almeno non inevitabile, è ciò che s'intendeva per democrazia economica, quando se ne parlava.
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Re: Il lavoro

Messaggioda ranvit il 14/08/2010, 16:12

In questo caso sono d'accordo, in gran parte, con Franz....lo Statuto dei lavoratori e in particolare l'art. 18 è stato un elemento fortemente distorsivo (oltre che anticostituzionale perchè distingue tra lavoratori di serie A e B...

Vittorio
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 14/08/2010, 17:12

Ok sulle "rendite di posizione", alla fine ci siamo capiti ma vorrei capire le origini di un modello di pensiero per cui chi si sente debole di fronte alla competizione con altri chiede (ed ottiene) elementi di rigidità protettiva e puo' quindi godere di "rendite di posizione". Altrimenti chiamati "diritti".

L'accostamento tra i due piu' notevoli casi di distorsione del mercato degli anni 70 (casa e lavoro) sarà anche percepito come capzioso ma serve a far notare un fatto comune ad entrambi: le distorsioni generate nei rispettivi mercati, le scappatoie trovate, gli effetti deleteri sul mercato a causa degli elementi di rigidità inseriti dal legislatore. Do' per scontata la buona fede ma contano i risultati.

Piero sostiene che dove si mettono meno regole il potere è potere ed è sempre prepotente. Non sono d'accordo. Se i vincoli che eliminiamo sono quelli che impediscono l'accesso dei nuovi concorrenti, la competizione farà il suo corso. Negli anni 80 IBM era assolutamente il gruppo informatico piu' potente, seguto da altri nomi come Unisys, Digital, HP. Sono passati alcuni decenni ed oggi troviamo Microsoft, Oracle, Google. Nomi diversi, prodotti ed architetture Hardware e Software diverse. Sono abbastanza convinto che se andiamo a prendere i nomi delle piu' grandi 100 compagnie del mondo di 30, 20, 10 anni fa e di oggi e li confrontiamo troveremo un numero notevole di new entry che hanno scalato i vertici e molte che sono sparite o cadute in fondo alla graduatoria. Competizione e innovazione scompaginano i piani dei potenti e dei gruppi di potere, sempre che la normativa anti-trust sia adeguata ed applicata.

Venendo alla "democratizzazione" io non reputo ad essa finalizzato un sistema di leggi per cui si creano lavoratori iper-tutelati di serie A ed altri di serie B. Direi che è un caso di protezionismo istituzionalizzato (questo si' di destra). Ma è solo questione di intenderci.

Come dovremmo intenderci sul concetto (mitico) di speculazione edilizia. Non ho mai capito realmente cosa significa speculare in campo edilizio. Immagino che sia prendere un terreno a basso costo e poi costruire una casa per venderla ad un costo elevato. Ammesso che un piano regolatore stabilisca che si possa. Diciamo allora che ogni volta che qualcuno sa fiutare e realizzare un buon affare allora per le persone di sinistra è uno speculatore. Certo che sarebbe illecito corrompere un funzionario per trasformare un terrendo agricolo in edificabile o per aumentare gli indici di costruzione ma questo è possibile solo perché esiste un piano regolatore. Sarebbe un illecito penale e non una speculazione. Prima della seconda metà del 1800 non esistevano piani regolatori e devo presumere che non esistesse nemmeno la speculazione. ;) Eppure città splendide come Venezia, Firenze, Londra, Parigi .... come tutte le città del mondo sono sorte senza alcun piano regolatore. Eppure sono cresciute costruendo case a chi le chiedeva senza bisogno di inventare l'equo canone.

Vero che la crescita tumultuosa della popolazione degli ultimi 100 anni e soprattutto l'accresciuta mobilità delle persone (immigrazione interna ed internazionale) ha prodotto un forte incremento della domanda di case (e quindi oggettivamente un aumento del prezzo) ma la risposta doveva essere un'edilizia pubblica oppure forme di aiuto sociale per l'accesso alla casa per i poveri, come in UK. da noi invece la mentalità ha prodotto l'equo canone.

E torniamo alla mentalità (la domanda iniziale). Vorrei capire le origini di un modello di pensiero per cui chi si sente debole di fronte alla competizione con altri chiede (ed ottiene) elementi di rigidità protettiva e puo' quindi godere di "rendite di posizione". Secondo me è fortemente implicata l'etica cattolica (tendenzialmente tesa all'assistenzialismo di gruppo) mentre l'etica protestante è piu' orientata al merito individuale. Anche l'etica protestante prevede il sostegno del debole ma solo a livello individuale, di singolo caso. Da noi invece prevale l'idea che ad essere aiutati e protetti siano interi gruppi. Settori industriali, categorie di lavoratori. Fino ai tassiti con le loro licenze, i notai, i farmacisti e via dicendo. Ognuno chiede leggi o privilegi a loro tutela. I risultati si vedono.

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