da pierodm il 12/08/2010, 17:26
Innanzi tutto un pensiero grato a Gabriele, del quale condivido molte cose dette, ma soprattutto il fatto che abbia dato un taglio deciso ad un discorso che si stava incartando nella solita palude.
Franz: Io sostengo (ti sembro reazionario?) che il disastro di oggi è conseguenza di errori passati e che se non si capisce quello è inutile (o molto piu' arduo) tentare di analizzare e capire il presente.
No Franz, non sembri reazionario. Sembri uno che dice una cosa tanto corretta quanto ovvia: non la chiami "storia" perché se no Popper s'innervosisce, ma quella è.
Poi. L'emigrazione non mi sembra che si possa presentare come soluzione, specialmente dal punto di vista politico.
Politicamente e, per certi aspetti, anche dal punto di vista etico, equivale - come soluzione - a quella di chi cerca una raccomandazione, o una finta pensione d'invalidità, o un rapporto clientelare con il sottosegretario di turno: individualmente, ognuno si arrangia come può, rispetto alla collettività e ai problemi sociali che gli stanno intorno.
Certamente, comunque, chi se la squaglia all'estero mostra di avere una grande volontà nell'ambito personale, ma anche una rassegnazione assai più grande di chi resta, politicamente, moralmente e socialmente.
Quindi ci andrei piano con lo scoop della scoperta che "un altro mondo è possibile", con annessi e connessi.
Il problema che Myosotis tentava di spiegare è che "un altro mondo" esiste anche qui, ma è perdente, schiacciato da una realtà soffocante e implacabile: un altro mondo umano, s'intende, che non si rassegna al clientelismo, né alla disonestà obbligata, né all'assistenzialismo, e che s'interroga su come fare per diventare anche mondo politico ed economico.
La risposta all'interrogativo, in questi anni - rileggendo quella che hai evocato come storia degli "errori passati" - è stata assolutamente nihilista, e allo stesso tempo contraddittoria: come tu stesso hai fatto nei messaggi precedenti, tutti gli attori della storia repubblicana sono stati, in un modo o nell'altro, demoliti, la DC in un senso, il PCI in un altro, il PSI in un altro, etc.
Però, poiché quelli erano e quelli rimangono gli antefatti politici e culturali della nazione, in questi anni, contraddittoriamente, si è cercata una sintesi tra l'uno e l'altro di questi antefatti, supponenedo di trovare qualcosa di buono in mezzo alle macerie di quello che si è demolito.
Una supposizione, d'altra parte, corretta, perchè qualcosa di buono effettivamente c'è stato: non è tutta da demolire la prima repubblica.
Cacciari, per esempio, ha ragione quando dice che c'è una forte tradizione socialista e socialdemocratica: forte, non grande nei numeri elettorali, e tuttavia anche elettoralmente non disprezzabile.
Ma se, come tu hai fatto in uno degli intrventi di questi giorni, attribuisci la dimensione asfittica della borghesia e della cultura borghese italiana all'atteggiamento del PCI e della sinistra in generale, non si viene a capo di niente: la sinistra non ha mai avuto il potere di creare o plasmare la borghesia, né in Italia, né in altri luoghi, e la borghesia italiana è quella che è ben prima dell'era repubblicana.
Non c'è mai stata, nemmeno in epoca pre-fascista, una borghesia liberale, politicamente ed economicamente solida: dopo la guerra c'è stato il boom, ma è stato come l'assalto alla diligenza, in cui si è creata una classe di arricchiti, qualche buon imprenditore, molti traffichini. Ma non basta il livello di reddito, e nemmeno il ruolo di imprenditore, per fare "classe borghese", che è una cosa molto più seria e molto più profondamente influente nel tessuto socio-culturale di una nazione.
Anche lasciando da parte Marx, la borghesia è il tessuto connettivo di una società liberale, sia nella versione liberal-democratica, sia in qualla liberal-socialista: la mitteleuropa, l'altro"mondo possibile" che hai conosciuto, ha una borghesia antica, che era forte e politicamente solida centinaia d'anni prima che qualcuno s'inventasse la democrazia parlamentare.
Anche in Italia ci sono zone dove esiste una coscienza borghese consolidata, una società tendenzialmente più ordinata e più vicina agli standard europei: là dove c'è stata storicamente una borghesia forte, la Toscana, l'Italia dei Comuni e dei principati, quell'Italia che probabilmente non per caso è identificata da decenni come le Regioni Rosse.
La forza della sinistra italiana è stata quella di aver unito il senso della comunità e dello stato della borghesia, con la spinta alla democratizzazione della classe operaia, negli anni in cui questa era forte.
In questi anni ultimi, a fronte di un grande chiacchiericcio liberaloide, in realtà la borghesia italiana - quel che ne erano le truppe sparse o i presupposti di evoluzione - è stata polverizzata, annichilita in un pastone sociale depresso economicamente e culturalmente.
La difficoltà della sinistra oggi - o più semplicemente del PD - non è tanto e soltanto la regressione della classe operaia, ma soprattutto l'evanescenza di una borghesia liberale, dotata di un senso della decenza e senso dello stato, oltre che di una propria autonomia economica solida e reale.
Questa è l'Italia, non né la Svizzera, né la Germania o che altro: è lecito guardare alla nostra storia con l'occhio critico e perfino disgustato che ha il diritto di avere chi vive nell'altro "mondo possibile". Ma fare politica è più difficile che tracciare dei sommari percorsi storici nihilisti.