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Il lavoro

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Il lavoro

Messaggioda pierodm il 05/08/2010, 11:34

Franz, t'inventi un'interpretazione, poi ci costruisci sopra un discorso, poi polemizzi con la tua stessa interpretazione e il tuo stesso discorso.
E intanto fai coglionella, continuando a non rispondere a ciò che ho ripetutamente indicato come il senso del mio discorso.
Fa niente.

Ciò che dovevo dire l'ho detto: tu continua a divertirti a rivoltare la frittata del modello, o il modello della frittata.
Io intanto rifletterò per quanto le mie modeste facoltà mi permettono sulla Rivelazione: noi non percepiamo mai direttamente la realtà ma solo attraverso l'interposizione della nostra mente. Mi piace molto l'interposizione, che suggerisce qualcosa di surrettizio e dispettoso, ma d'altra parte - visto che c'è - questa mente qualcosa deve pur fare.
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 05/08/2010, 11:55

Robyn ha scritto:In realta le condizioni del lavoro migliorano se si fà in modo che l'offerta di lavoro superi di gran lunga la domanda.La produttività nel nostro paese è scesa perche con la flessibilità le aziende hanno incominciato ad assumere lavoratori con bassa formazione a basso reddito e quindi a bassa produttività.In realtà la produttività cresce se c'è formazione,ricerca,investimenti,innovazione detassazione dell'Irpef altre misure per la competitività.Tutte le misure fin qui usate come straordinari,detassazione del premio di produttività etc,restringono il campo dell'occupazione e peggiorano le condizioni del lavoro,quando in presenza di flessibilità ci sarebbe bisogno del contrario cioè di più lavoro ,per trovare lavoro nel più breve tempo possibile,e di ammortizzatori per accompagnare il passaggio da un lavoro all'altro Ciao Robyn

Sono solo parzialmente d'accordo. Se l'offerta superasse la domanda, succederebbe come già succede in molti paesi europei che arriverebbero lavoratori (qualificati e non) dall'estero. Quindi non capita mai che l'offerta superi la domanda. Ci sono 6.8 miliardi di persone nel mondo e centinaia di milioni sono estremamnte qualificati e diposti a muoversi. Sulla produttività, osservando i grafici costruiiti sui dati OCSE in Italia non è diminuita ma ristagna da 10-15 anni.
Immagine
mentre è aumentata quella delle altre economie trainanti.
Non so se quindi l'analisi che fai (le aziende hanno incominciato ad assumere lavoratori con bassa formazione a basso reddito e quindi a bassa produttività) che è sicuramente giusta, esaurisca tutto il problema. Qualsiasi siano le cause di questa stasi della produttività, partono dalla seconda metà degli anni 90 (prima il nostro rate di salita era paragonabile agli altri). Formazione, ricerca, investimenti, innovazione detassazione dell'Irpef altre misure per la competitività, come dici, a mio avviso sono carenti ed assenti da vari decenni e quindi non rappresentano una novità. Ecco, forse prima dell'avvento dell'Euro l'Italia ricuperava spazi di competizione nel commercio internazionale svalutando la lira. Con il serpente monetario prima e l'euro dopo, questo giochetto non è stato piu' possibile.

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Re: Il lavoro

Messaggioda Myosotis il 05/08/2010, 14:17

<b>Franz ha scritto</b>:
<i>Ma per me vale una considerazione: nulla è cambiato rispetto a 15 o 20 anni fa. Allora il trucco (il pasto gratis!) era mascherato da un 20% di inflazione e svalutazione della lira. Si credeva (illudendoci) di essere potenti ed al riparo da ogni perdita ma in realtà il potere di acquisto era inficiato da una inflazione galoppante al 15-20%.
Oggi per me a conti fatti si perde meno di 20 anni fa ma oggi viene meno l'illusione e quindi qualcuno finamente toglie la testa dal guscio della testugine e nota (solo ora) il peggioramento.</i>

------------------
Scusa Franz, io capisco tante cose ma non accetto da te, in quanto espressione contingente e formale del centrosinistra, un tale adeguamento a certi modelli che definirei "berlusconismo" senza se e senza ma: ovvero che tutto il divenire negletto e regressivo in termini di condizioni materiali, sociali e morali degli ultimi vent'anni lo si debba sostanzialmente attribuire ad una percezione erronea della realtà, per cui non è cambiato niente se non in termini di una soggettiva disillusione. Per cui oggi semplicemente vediamo ciò che primo non eravamo in grado di vedere, obnubilati com'eravamo dallo schermo dell'ideologia (di sinistra, s'intende).

Io ho molte difficoltà a scrivere. Abbiamo tre figli, nessun supporto dallo Stato a fronte di uno stipendio di 2300 euro al mese circa di mio marito che è ricercatore. Non posso permettermi niente, nemmeno di lavorare per poche centinaia di euro al mese. Stiamo pensando di emigrare, visto che i cervelli pagano. io penso che rimarrò qui col piccoletto di ventuno mesi e poi vedremo. La cosa pazzesca è che continuiamo a sentirci dei privilegiati, nonostante tutto.
Ma, certo, è solo una percezione.
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 05/08/2010, 15:41

Myosotis ha scritto:Scusa Franz, io capisco tante cose ma non accetto da te, in quanto espressione contingente e formale del centrosinistra, un tale adeguamento a certi modelli che definirei "berlusconismo" senza se e senza ma: ovvero che tutto il divenire negletto e regressivo in termini di condizioni materiali, sociali e morali degli ultimi vent'anni lo si debba sostanzialmente attribuire ad una percezione erronea della realtà, per cui non è cambiato niente se non in termini di una soggettiva disillusione. Per cui oggi semplicemente vediamo ciò che primo non eravamo in grado di vedere, obnubilati com'eravamo dallo schermo dell'ideologia (di sinistra, s'intende).

Io ho molte difficoltà a scrivere. Abbiamo tre figli, nessun supporto dallo Stato a fronte di uno stipendio di 2300 euro al mese circa di mio marito che è ricercatore. Non posso permettermi niente, nemmeno di lavorare per poche centinaia di euro al mese. Stiamo pensando di emigrare, visto che i cervelli pagano. io penso che rimarrò qui col piccoletto di ventuno mesi e poi vedremo. La cosa pazzesca è che continuiamo a sentirci dei privilegiati, nonostante tutto.
Ma, certo, è solo una percezione.

Non ci siamo (forse) capiti. Il divenire negletto non è da attribuire tanto ad una percezione erronea oggi della realtà di oggi (qui ci possiamo arrivare ma piu' in là) piuttosto dalla percezione erronea di 20 o 30 anni fa e dalle conseguenti scelte (sbagliate) fatte allora. Una volta realizzato almeno questo poi la strada per ricalibrare la percezione odierna dovrebbe essere in discesa, o almeno piu' facile. In sintesi non ci rendiamo contro oggi delle cose perché non realizziamo la storia (le cose avvenute nel recente passato). Io sostengo (ti sembro reazionario?) che il disastro di oggi è conseguenza di errori passati e che se non si capisce quello è inutile (o molto piu' arduo) tentare di analizzare e capire il presente.

Non me la sento di darti consigli sulla tua situazione ma io col pargoletto di 30 mesi il salto emigratorio l'ho fatto e non me ne pento. Tutta la famiglia si è spostata ed ora un figlio è già laureato, sposato e con un ottimo lavoro (quello che aveva 30 mesi) ed un altro arrivato un anno e mezzo dopo è in procinto di laurearsi. Questo non è una garanzia che cosi' vada per tutti, naturalmente.

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Re: Il lavoro

Messaggioda Myosotis il 07/08/2010, 21:37

Caro Franz, possiamo tentare di capire e di analizzare il presente ma non possiamo sfuggire alla necessità di un punto di vista soggettivo perchè di questo presente e del suo divenire le nostre vite, le nostre aspettative e il nostro modo di pensare sono parte integrante. E, in ogni caso, anche 20-30 anni fa come oggi, del resto, l'analisi e la comprensione del presente aveva portato a conclusioni profondamente diverse là dove, s'intende, non meramente strumentali ad interessi "altri" da quelli generali. Quindi, venti/trent'anni fa come oggi, c'era chi credeva fermamente nella necessità di politiche di privatizzazione e di liberalizzazione del mercato, credeva nel così detto Stato leggero, nella "flessibilizzazione" del mercato del lavoro e chi, d'altra parte, li contrastava anche per il timore - rivelatosi poi fondato - di un depauperamento progressivo della Res pubblica, di un progressivo smantellamento dei diritti acquisiti e dello stato sociale. Alla luce del fatto che in un Paese come il nostro, stretto tra una storica arretratezza economica e culturale e una classe dirigente mediocre, quando non corrotta e servile, difficilmente non si sarebbe fatto il sacco della ricchezza mobilitata attraverso le così dette riforme.
Il disastro di oggi era pertanto, se non scontato, quantomeno prevedibile. Nè ci aiuta il fatto di prendere coscienza di questo, dal momento che, indubbiamente, la classe dirigente sopravvissuta alla strage di tangentopoli sembra non imparare niente dai propri errori, e il "nuovo" emerso dopo tangentopoli è mille volte peggio del vecchio che c'era prima.
Ecco perchè non sono d'accordo con te: che - a fronte di una reale comprensione, consapevolezza degli eventi degli ultimi venti/trent'anni, di una loro "realizzazione storica", ancorchè nei limiti del contingente, su come siamo arrivati a questa situazione - la strada sia in discesa. Al contrario, proprio al fondo della stessa consapevolezza io la vedo tutta in salita, e per molto tempo ancora.
Questo per me significa essere "realista" mentre ritengo che l'ottimismo di cui godi sia dovuto ad un tuo punto di vista particolare, di persona che non vive quotidianamente sulla sua pelle e su quella dei propri cari gli errori del passato, lo scempio che si consuma quotidianamente sotto i nostri occhi.

Quanto al salto migratorio, non è solo la mia situazione ma quella di tante famiglie di ricercatori che, e ti ringrazio del sale umano che mi hai donato, ma sono talmente radicate che, probabilmente, rimarranno in bilico tra loro destinazione finale e l'Italia finchè avranno gambe per camminare. Per me non è più questione di scelta, ma di necessità.

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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 07/08/2010, 22:08

Myosotis ha scritto:Quindi, venti/trent'anni fa come oggi, c'era chi credeva fermamente nella necessità di politiche di privatizzazione e di liberalizzazione del mercato, credeva nel così detto Stato leggero, nella "flessibilizzazione" del mercato del lavoro e chi, d'altra parte, li contrastava anche per il timore - rivelatosi poi fondato - di un depauperamento progressivo della Res pubblica, di un progressivo smantellamento dei diritti acquisiti e dello stato sociale. Alla luce del fatto che in un Paese come il nostro, stretto tra una storica arretratezza economica e culturale e una classe dirigente mediocre, quando non corrotta e servile, difficilmente non si sarebbe fatto il sacco della ricchezza mobilitata attraverso le così dette riforme.

A me pare che oggi l'Italia non viva affatto la situazione di uno "stato leggero" (basta vedere l'onere delle spese dello stato su PIL, che è tra i piu' alti) e pare che la flessibilizzazione sia stata fatta (eccessiva) su metà della forza lavoro, visto che sull'altra metà nulla si è mosso. Alla luce di questi fatti pero' una sinistra che 20 0 30 anni fa si definiva ancora leninista avrebbe dovuto capire che per far uscire il paese dalla sua storica arretratezza occorreva aiutare la debole borghesia a svilupparsi pienamente, a farla abbandonare la mentalità corporativa e meschina, invece di contrastarla avviluppandola in una morsa vischiosa di leggi (nel periodo consociativo con la DC) che l'hanno resa ancora piu' dipendente dallo Stato e dai suoi aiuti clientelari.
Myosotis ha scritto:Questo per me significa essere "realista" mentre ritengo che l'ottimismo di cui godi sia dovuto ad un tuo punto di vista particolare, di persona che non vive quotidianamente sulla sua pelle e su quella dei propri cari gli errori del passato, lo scempio che si consuma quotidianamente sotto i nostri occhi.

Vero, visto che me ne sono liberato con una personale "strategia di exit", insieme a milioni di altre persone.
Il mio punto di vista particolare è di chi ha scoperto, da due decenni, che "un altro mondo è possibile", per parafrasare uno slogan usato in altri contensti (diversi ma fondalmentalmente economici). Con me lo hanno scoperto milioni di lavoratori e famiglie che si sono trasferite in decine di paesi europei, del nord e sud america, fino alla lontana australia.
Parimenti il pessimismo e la rassegnazione di chi è rimasto in patria (a parte chi tra caste, baronie e clientele ha trovato ottime nicchie di sopravvivenza) è frutto della constatazione della evidente incapacità di riuscire a cambiare il sistema.
È evidente che io sono piu' ottimista di te e di tanti altri. Altrettanto evidente che come molti italiani all'estero sono testimone di una realtà diversa, una realtà possibile.
Myosotis ha scritto:Quanto al salto migratorio, non è solo la mia situazione ma quella di tante famiglie di ricercatori che, e ti ringrazio del sale umano che mi hai donato, ma sono talmente radicate che, probabilmente, rimarranno in bilico tra loro destinazione finale e l'Italia finchè avranno gambe per camminare. Per me non è più questione di scelta, ma di necessità.

Comincia a pensare alla tua situazione. Immagino che un eventuale miglioramento della tua famiglia non comporterebbe un peggioramento per chi rimane (altri ricercatori, familiari ed amici) e quindi si tratterebbe di una scelta pareto-efficente. Scelta o necessità in questo caso è comunque piu' facile (soprattutto se i pargoli sono in età prescolare). Se invece il tuo miglioramento comporta il peggioramento di altri ecco che (necessità o scelta) la decisione è estremamente difficile e "drammatica". In ogni caso ricorda che gli italiani nel mondo sono cosi' tanti (circa 60 milioni) che nessuno rischia di rimanere solo.

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Re: Il lavoro

Messaggioda Myosotis il 10/08/2010, 17:09

Franz ha scritto:
A me pare che oggi l'Italia non viva affatto la situazione di uno "stato leggero" (basta vedere l'onere delle spese dello stato su PIL, che è tra i piu' alti) e pare che la flessibilizzazione sia stata fatta (eccessiva) su metà della forza lavoro, visto che sull'altra metà nulla si è mosso. Alla luce di questi fatti pero' una sinistra che 20 0 30 anni fa si definiva ancora leninista avrebbe dovuto capire che per far uscire il paese dalla sua storica arretratezza occorreva aiutare la debole borghesia a svilupparsi pienamente, a farla abbandonare la mentalità corporativa e meschina, invece di contrastarla avviluppandola in una morsa vischiosa di leggi (nel periodo consociativo con la DC) che l'hanno resa ancora piu' dipendente dallo Stato e dai suoi aiuti clientelari.


Caro Franz, il problema dell'aumento della spesa pubblica italiana si può affrontare solo alla luce delle cause che lo determinano. Se la spesa pubblica aumenta anche a fronte dei tagli che, una finanziaria dopo l'altra, hanno interessato i beni ed i servizi essenziali di questo paese, significa solo che i nostri soldi escono dal circuito altrimenti. Capire dove vada a finire le nostre ricchezze è relativamente facile, a fronte del fatto che la forbice tra ricchi e poveri si è allargata in un baratro insormontabile anche data la sostanziale assenza di mobilità sociale. Capire come questi soldi pubblici - in larga parte finanziati dai salari dei lavoratori - finiscano nelle tasche di una sparuta minoranza di gente, implica necessariamente il prendere atto dell'esistenza di un "sistema" che, profondamente infiltrato nel tessuto politico, economico e sociale di questo paese, rischia di portarlo al collasso. Per esempio, quanto ci costa, in termini di spesa pubblica, il grande business della corruzione: dallo scambio di voti a quello di favori, per tacere delle connivenze tra amministrazione pubblica e criminalità organizzata. Quanto ci sta costando la privatizzazione del sistema scolastico e sanitario là dove operata in nome di interessi avulsi da quelli collettivi, magari a favorire direttamente, impudentemente, se stessi e i propri congiunti. Se tale "sistema", ormai pervasivo ad ogni livello dello Stato, non viene nemmeno messo in discussione, ogni soldo in più tagliato ai diritti e ai bisogni delle persone sarà un soldo in più devoluto a questo intreccio parassita e criminale che ci sta rovinando.
Il discorso sul leninismo mi sembra peloso dal momento che la sinistra italiana degli ultimi venti/trent'anni - con l'eccezione di una modesta minoranza - è stata espressione di un pensiero sostanzialmente socialdemocratico nella forma come nella sostanza.

Ciao
Myos

Myosotis ha scritto:Questo per me significa essere "realista" mentre ritengo che l'ottimismo di cui godi sia dovuto ad un tuo punto di vista particolare, di persona che non vive quotidianamente sulla sua pelle e su quella dei propri cari gli errori del passato, lo scempio che si consuma quotidianamente sotto i nostri occhi.


Vero, visto che me ne sono liberato con una personale "strategia di exit", insieme a milioni di altre persone.
Il mio punto di vista particolare è di chi ha scoperto, da due decenni, che "un altro mondo è possibile", per parafrasare uno slogan usato in altri contensti (diversi ma fondalmentalmente economici). Con me lo hanno scoperto milioni di lavoratori e famiglie che si sono trasferite in decine di paesi europei, del nord e sud america, fino alla lontana australia.
Parimenti il pessimismo e la rassegnazione di chi è rimasto in patria (a parte chi tra caste, baronie e clientele ha trovato ottime nicchie di sopravvivenza) è frutto della constatazione della evidente incapacità di riuscire a cambiare il sistema.
È evidente che io sono piu' ottimista di te e di tanti altri. Altrettanto evidente che come molti italiani all'estero sono testimone di una realtà diversa, una realtà possibile.

Conosco molto bene questa antifona e la comprendo profondamente. Ma si tratta, appunto, di "personali" strategie di sopravvivenza in linea con un modo di sentire e di essere soggettivi, difficilmente omologabili alle esigenze prettamente materiali della "famiglia".
E, comunque, due dei miei figli hanno tredici anni e il diritto ad avere aspettative future almeno paragonabili a quelle che avevo io alla loro età.

Myosotis ha scritto:Quanto al salto migratorio, non è solo la mia situazione ma quella di tante famiglie di ricercatori che, e ti ringrazio del sale umano che mi hai donato, ma sono talmente radicate che, probabilmente, rimarranno in bilico tra loro destinazione finale e l'Italia finchè avranno gambe per camminare. Per me non è più questione di scelta, ma di necessità.

Comincia a pensare alla tua situazione. Immagino che un eventuale miglioramento della tua famiglia non comporterebbe un peggioramento per chi rimane (altri ricercatori, familiari ed amici) e quindi si tratterebbe di una scelta pareto-efficente. Scelta o necessità in questo caso è comunque piu' facile (soprattutto se i pargoli sono in età prescolare). Se invece il tuo miglioramento comporta il peggioramento di altri ecco che (necessità o scelta) la decisione è estremamente difficile e "drammatica". In ogni caso ricorda che gli italiani nel mondo sono cosi' tanti (circa 60 milioni) che nessuno rischia di rimanere solo.

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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 11/08/2010, 7:46

Myosotis ha scritto:Caro Franz, il problema dell'aumento della spesa pubblica italiana si può affrontare solo alla luce delle cause che lo determinano. Se la spesa pubblica aumenta anche a fronte dei tagli che, una finanziaria dopo l'altra, hanno interessato i beni ed i servizi essenziali di questo paese, significa solo che i nostri soldi escono dal circuito altrimenti. Capire dove vada a finire le nostre ricchezze è relativamente facile, a fronte del fatto che la forbice tra ricchi e poveri si è allargata in un baratro insormontabile anche data la sostanziale assenza di mobilità sociale. Capire come questi soldi pubblici - in larga parte finanziati dai salari dei lavoratori - finiscano nelle tasche di una sparuta minoranza di gente, implica necessariamente il prendere atto dell'esistenza di un "sistema" che, profondamente infiltrato nel tessuto politico, economico e sociale di questo paese, rischia di portarlo al collasso. Per esempio, quanto ci costa, in termini di spesa pubblica, il grande business della corruzione: dallo scambio di voti a quello di favori, per tacere delle connivenze tra amministrazione pubblica e criminalità organizzata. Quanto ci sta costando la privatizzazione del sistema scolastico e sanitario là dove operata in nome di interessi avulsi da quelli collettivi, magari a favorire direttamente, impudentemente, se stessi e i propri congiunti. Se tale "sistema", ormai pervasivo ad ogni livello dello Stato, non viene nemmeno messo in discussione, ogni soldo in più tagliato ai diritti e ai bisogni delle persone sarà un soldo in più devoluto a questo intreccio parassita e criminale che ci sta rovinando.

Sicuramente le cause iniziano negli anni 80 (anno dell'esplosione della spesa e del debito) e si tratta di spesa clientelare.
Grandi comparti come scuola e sanità erano feudi DC e per ottenere voti le maggioranze di allora spendevano soldi pubblici elargendo cosuzze come i miliardi della cassa del mezzogiorno (pozzo senza fondo), le baby pensioni. Il debito allora era principaalmente previdenziale ed assistenziale, unito ad una serie di voragini di malaffare nel meridione (cassa del mezzogiorno, irpinia, finte pensioni di invalidità etc). In quegli anni i percettori non erano una "sparuta minoranza" ma coloro che accettavano il voto di scambio. Sicuramente una minoranza rispetto ai 55 milioni di italiani di quegli anni ma non sparuta, non una casta. Poi caduto il muro, quando i partiti hanno dovuto cercare altre forme di finanziamento, si è aperta anche la voragine di tangentopoli, delle opere pubbliche incompiute, del malaffare.
I tagli di cui parli sono iniziati nei primi anni 90, per blooccare l'emorragia (il deficit) e per cercare di ridurre il debito.

Difficile dire, quando in casa si spende piu' di quanto si guadagna, se il rosso è stato generato dal computer di papà, dalle vacanze tutti insieme o dal motorino nuovo per il figlio. Idem per lo stato. Principalmente pero' la spesa pubblica italiana è di tipo clientelare e quindi va a i "clientes". Essi sono non solo la casta pubblica che ben conosciamo (baronie universitarie comprese) ed i loro amici "privati" (i furbetti del quartierino), ma anche una grande platea di percettori soprattutto nel meridione, che ricevono assistenzialismo a pioggia (ovviamente in cambio del voto). Questo flusso è cosi' grande che strozza la vera spesa pubblica, quella che serve al paese) come scuola, polizia, sanità, giustizia, assistenza sociale. Quindi se vai oltre le alpi trovi che per la scuola si spende di piu' ed i libri sono gratis. Da noi invece si spende di meno, i libri li paghi ma a 57 anni si va in pensione, per trovare il lavoro ci sono le raccomandazioni, per avere l'assistenza quando non hai reddito devi conoscere il politico che ti fa avere una finta pensione di invalidità o che ti aggiudica una gara d'appalto (se sei indipendente).

E' questo sistema che a mio avviso se non viene nemmeno messo in discussione, ogni soldo in più tagliato ai diritti e ai bisogni delle persone sarà un soldo in più devoluto a questo intreccio parassita e criminale che ci sta rovinando. È questo sistema che fa mancare lavoro vero e promette solo quello assistito o precario.
Come vedi con qualche puntino sulle "i" sono d'accordo con te.

Franz
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Re: Il lavoro

Messaggioda gabriele il 11/08/2010, 12:22

Carissimi,

ammiro il vostro entusiasmo e la vivacità del vostro dibattito.
Vorrei dare un piccolo contributo.
Parto da una affermazione. Poi provo a costruire un’analisi.

In Italia non c’è lavoro.

E non c’è non solo perché ora stiamo passando un momento di crisi internazionale.

Il lavoro non c’è ormai da molto tempo. Almeno fin dagli anni novanta, da quando cioè sono stati creati i contratti a termine come le collaborazioni continuative, i lavori socialmente utili, il popolo delle partite IVA…e le altre forme di contratto tampone che danno qualche lavoretto ai “poveretti” e sollazzano le tasche dei potenti.

Molto probabilmente a quei tempi, quando le introdusse, non era intenzione di Prodi l’evolversi di queste forme contrattuali in un sistema così articolato e vasto da ricoprire ormai quasi un terzo della forza lavoro italiana, ma la condizione in cui ci troviamo ora sta superando una soglia critica che, a dire di molti, potrebbe sfociare nella violenza.

Il lavoro in Italia non c’è. E le cause sono dovute soprattutto ad un’economia arcaica e illiberale. In Italia esiste un mercato viziato dalle mafie e dai massoni, moderni o antichi. La loro invasione sistemica si interpone fra la domanda e l’offerta, riducendone di conseguenza il rendimento e generando pertanto povertà e mancanza di lavoro.

A questo vuoto, a causa dell’ennesima emergenza a cui occorreva rispondere, i poteri politici ed economici hanno cercato di dare una risposta introducendo forme contrattuali “anomale” nelle quali i basilari diritti dei lavoratori venivano scavalcati.

Tali forme hanno diviso il mondo del lavoro in due: lavoratori stabili, con contratto “fisso” a tempo indeterminato, e instabili, con contratti atipici. Ovviamente l’introduzione doveva riguardare solo coloro che si affacciavano per la prima volta al mondo del lavoro, e dovevano essere l’eccezione e non la regola…ovviamente questi lavoratori dovevano essere brevemente riassorbiti e quindi condurre una regolare vita lavorativa…ovviamente…

Le cose, ovviamente, non sono andate così. I lavoratori atipici sono aumentati a dismisura e l’eccezione è diventata una regola. Diventando una regola il posto “fisso” diventava un privilegio, e quindi una moneta utile per la contrattualizzazione, e i lavoratori a tempo indeterminato perdevano in potere d’acquisto in quanto i contratti nazionali venivano aggiornati con minor forza.

I diritti conquistati in anni di lotte sindacali, facendosi forza dalla minaccia sovietica presente in occidente, svanivano mano a mano che la generazione precedente veniva sostituita da quella nuova e che la guerra fredda si concludeva in una bolla di sapone. I figli di coloro che godevano dei diritti acquisiti grazie alle lotte condotte dai padri e dai nonni, ora venivano schiacciati proprio dalla generazione dei loro genitori.

Il sistema Italia perdeva potere a scapito di pochi eletti che invece si arricchivano e il lavoro, punto focale del primo articolo dell’atto di fondazione della Repubblica, veniva meno. “Una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, a mio umile modo di vedere le cose vuol dire anche che il parassitismo in cui viviamo oggi, esercitato da certi illustri uomini di potere più o meno pubblici, deve essere debellato.

Ebbene, se è vero che il lavoro viene creato dal sistema economico, ovvero dal movimento dei beni e dei servizi in base al più proficuo incontro della domanda e dell’offerta in un sistema di regole, allora è anche vero che per essere proficuo l’incontro deve prevedere delle regole di stabilità per coloro che ricevono uno stipendio, ma soprattutto non ci deve essere una così profonda disparità fra i lavoratori.

Il sistema deve essere libero, cioè non vincolato da gruppi di potere ma da regole certe. Ma questo è un discorso vecchio, molto più dell’Italia…

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Re: Il lavoro

Messaggioda pierodm il 12/08/2010, 17:26

Innanzi tutto un pensiero grato a Gabriele, del quale condivido molte cose dette, ma soprattutto il fatto che abbia dato un taglio deciso ad un discorso che si stava incartando nella solita palude.

Franz: Io sostengo (ti sembro reazionario?) che il disastro di oggi è conseguenza di errori passati e che se non si capisce quello è inutile (o molto piu' arduo) tentare di analizzare e capire il presente.
No Franz, non sembri reazionario. Sembri uno che dice una cosa tanto corretta quanto ovvia: non la chiami "storia" perché se no Popper s'innervosisce, ma quella è.

Poi. L'emigrazione non mi sembra che si possa presentare come soluzione, specialmente dal punto di vista politico.
Politicamente e, per certi aspetti, anche dal punto di vista etico, equivale - come soluzione - a quella di chi cerca una raccomandazione, o una finta pensione d'invalidità, o un rapporto clientelare con il sottosegretario di turno: individualmente, ognuno si arrangia come può, rispetto alla collettività e ai problemi sociali che gli stanno intorno.
Certamente, comunque, chi se la squaglia all'estero mostra di avere una grande volontà nell'ambito personale, ma anche una rassegnazione assai più grande di chi resta, politicamente, moralmente e socialmente.
Quindi ci andrei piano con lo scoop della scoperta che "un altro mondo è possibile", con annessi e connessi.
Il problema che Myosotis tentava di spiegare è che "un altro mondo" esiste anche qui, ma è perdente, schiacciato da una realtà soffocante e implacabile: un altro mondo umano, s'intende, che non si rassegna al clientelismo, né alla disonestà obbligata, né all'assistenzialismo, e che s'interroga su come fare per diventare anche mondo politico ed economico.

La risposta all'interrogativo, in questi anni - rileggendo quella che hai evocato come storia degli "errori passati" - è stata assolutamente nihilista, e allo stesso tempo contraddittoria: come tu stesso hai fatto nei messaggi precedenti, tutti gli attori della storia repubblicana sono stati, in un modo o nell'altro, demoliti, la DC in un senso, il PCI in un altro, il PSI in un altro, etc.
Però, poiché quelli erano e quelli rimangono gli antefatti politici e culturali della nazione, in questi anni, contraddittoriamente, si è cercata una sintesi tra l'uno e l'altro di questi antefatti, supponenedo di trovare qualcosa di buono in mezzo alle macerie di quello che si è demolito.
Una supposizione, d'altra parte, corretta, perchè qualcosa di buono effettivamente c'è stato: non è tutta da demolire la prima repubblica.
Cacciari, per esempio, ha ragione quando dice che c'è una forte tradizione socialista e socialdemocratica: forte, non grande nei numeri elettorali, e tuttavia anche elettoralmente non disprezzabile.
Ma se, come tu hai fatto in uno degli intrventi di questi giorni, attribuisci la dimensione asfittica della borghesia e della cultura borghese italiana all'atteggiamento del PCI e della sinistra in generale, non si viene a capo di niente: la sinistra non ha mai avuto il potere di creare o plasmare la borghesia, né in Italia, né in altri luoghi, e la borghesia italiana è quella che è ben prima dell'era repubblicana.
Non c'è mai stata, nemmeno in epoca pre-fascista, una borghesia liberale, politicamente ed economicamente solida: dopo la guerra c'è stato il boom, ma è stato come l'assalto alla diligenza, in cui si è creata una classe di arricchiti, qualche buon imprenditore, molti traffichini. Ma non basta il livello di reddito, e nemmeno il ruolo di imprenditore, per fare "classe borghese", che è una cosa molto più seria e molto più profondamente influente nel tessuto socio-culturale di una nazione.
Anche lasciando da parte Marx, la borghesia è il tessuto connettivo di una società liberale, sia nella versione liberal-democratica, sia in qualla liberal-socialista: la mitteleuropa, l'altro"mondo possibile" che hai conosciuto, ha una borghesia antica, che era forte e politicamente solida centinaia d'anni prima che qualcuno s'inventasse la democrazia parlamentare.
Anche in Italia ci sono zone dove esiste una coscienza borghese consolidata, una società tendenzialmente più ordinata e più vicina agli standard europei: là dove c'è stata storicamente una borghesia forte, la Toscana, l'Italia dei Comuni e dei principati, quell'Italia che probabilmente non per caso è identificata da decenni come le Regioni Rosse.
La forza della sinistra italiana è stata quella di aver unito il senso della comunità e dello stato della borghesia, con la spinta alla democratizzazione della classe operaia, negli anni in cui questa era forte.
In questi anni ultimi, a fronte di un grande chiacchiericcio liberaloide, in realtà la borghesia italiana - quel che ne erano le truppe sparse o i presupposti di evoluzione - è stata polverizzata, annichilita in un pastone sociale depresso economicamente e culturalmente.
La difficoltà della sinistra oggi - o più semplicemente del PD - non è tanto e soltanto la regressione della classe operaia, ma soprattutto l'evanescenza di una borghesia liberale, dotata di un senso della decenza e senso dello stato, oltre che di una propria autonomia economica solida e reale.

Questa è l'Italia, non né la Svizzera, né la Germania o che altro: è lecito guardare alla nostra storia con l'occhio critico e perfino disgustato che ha il diritto di avere chi vive nell'altro "mondo possibile". Ma fare politica è più difficile che tracciare dei sommari percorsi storici nihilisti.
pierodm
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