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Una lettura keynesiana della crisi

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda ranvit il 20/12/2012, 20:36

Per la gioia di Franz.... :D

http://www.huffingtonpost.it/2012/12/20 ... _ref=italy


Franco Bassanini: la Cassa Depositi e Prestiti per fare politiche keynesiane. 300 miliardi di dote al nuovo governo

Pubblicato: 20/12/2012 18:07 CET | Aggiornato: 20/12/2012 19:10 CET




No, l'Iri no. La Cassa Depositi e Prestiti con il vecchio Istituto per la ricostruzione industriale che per quasi un secolo è stato il braccio pubblico nell'economia italiana, non ha niente a che vedere. L'Iri usava soldi pubblici. La Cassa usa soldi privati, quelli del risparmio postale. L'Iri assumeva il controllo delle società. La Cassa, tramite il suo Fondo Strategico, è sempre socio di minoranza. Ma allora a che serve la Cdp? La risposta, mai fino ad ora così schietta, l'ha data oggi il suo presidente, Franco Bassanini, durante una conferenza stampa convocata per i classici auguri natalizi.

L'ex senatore del Pds e poi componente della direzione nazionale del Pd, è stato chiarissimo. "La crisi", ha detto, "costringe ad utilizzare tutti gli strumenti per uscirne, e in questo il ruolo della Cassa è strategico". Quale sia questo ruolo è presto detto. "Usare le risorse della società pubblica per fare politiche keynesiane". Ovviamente, siccome in gioco ci sono i soldi dei risparmiatori, in questo territorio la Cassa si deve muovere con i piedi di piombo, secondo "regole di mercato". La Cdp, dunque, deve essere e sarà, uno strumento nelle mani del governo per stimolare la crescita. Per Bassanini, del resto, "il ruolo del sistema pubblico non è puramente e semplicemente il ruolo di chi fissa le regole e poi assiste con le mani legate dietro la schiena a quello che succede". Lo Stato, nell'economia, deve intervenire. E la Cdp è il modo più rispettoso del mercato per farlo. Punto.

Musica per le orecchie di Pierluigi Bersani, che il dibattito sulle politiche keynesiane è pronto a portarlo in campagna elettorale.
Dunque Bassanini offre una cospicua dote al prossimo governo. E la potenza di fuoco di cui la Cassa è capace è di tutto rispetto: 300 miliardi di euro di attivi. I numeri li ha messi uno dietro l'altro l'amministratore della Cdp, Giovanni Gorno Tempini. L'attività di concessione del credito sta diventando sempre più importante. Alla fine di quest'anno la Cassa avrà concesso fidi per 100 miliardi di euro. E lo farà mantenendo l'equilibrio economico-finanziario, visto che il bilancio sarà chiuso con un utile attorno ai 2 miliardi di euro. Tramite il sistema bancario la Cassa ha finanziato 52 mila piccole e medie imprese, stanziando 8 miliardi di euro. Poi ha messo a disposizione altri 10 miliardi, di cui 2 miliardi per il pagamento dei debiti arretrati della Pubblica amministrazione.

Tutto bene dunque? In realtà, in questa commistione tra mano pubblica e risparmio privato, non tutto sembra essere sempre coerente. Quest'anno Cassa ha acquistato dal suo azionista tre società, Simest, Sace e Fintecna. Un'operazione taglia-debito pubblico. Strategica, secondo Bassanini e Gorno Tempini, perché ha consentito di allargare le competenze della società in ambiti nei quali già operava, come le garanzie all'export e l'immobiliare. Solo che poi Fintecna in pancia ha Fincatieri, e nonostante tutte le giustificazioni sull'eccellenza dell'azienda cantieristica made in Italy, resta il fatto che si tratta di una società del tutto estranea agli scopi sia della Cassa che del Fondo Strategico (che investe solo in partecipazioni di minoranza).

Così come non fila alla perfezione il discorso sull'acquisto della partecipazione del 4,5% nelle Assicurazioni Generali dismessa dalla Banca d'Italia. E' stato fatto notare che si è risolto un conflitto d'interesse, quello di Via Nazionale che tramite l'Ivass dal primo gennaio vigilerà sul Leone di Trieste, creandone uno nuovo in capo alla Cassa stessa. Anche quest'ultima è vigilata dalla Banca d'Italia, anche se di una vigilanza, come ha voluto precisare Bassanini "speciale" e molto meno invasiva di quella sugli istituti di credito. Resta il fatto che Via Nazionale ha passato tre mesi quest'anno negli uffici della società del Tesoro per verificarne i ratio patrimoniali. E ha anche fatto più di un appunto.

L'operazione Generali con tutti i paletti, assomiglia tanto ad un'operazione di sistema: evitare che pacchetti consistenti del primo gruppo assicurativo italiano finissero sul mercato con un governo dimissionario, con un consiglio di amministrazione in scadenza e con altre quote (l'1% di Unipol-Fonsai e un 3% di Mediobanca) in libera uscita. Occasione troppo ghiotta per i rider in un momento di debolezza.

Comunque sia, Bassanini non nega che la Cassa, con tutti i suoi vincoli e la sua indipendenza, possa essere la longa manus del governo nella politica economica. Come quando, sempre a inizio di quest'anno, si è fatta prestare 30 miliardi dalla Bce partecipando all'operazione Ltro. Soldi poi usati per dare una mano sempre all'azionista Tesoro partecipando alle aste dei Btp quando gli investitori stranieri si erano volatilizzati. Argomenti buoni per il bilancio di fine mandato. Ad aprile i vertici scadranno. Starà al prossimo governo stabilire se le politiche keynesiane la Cassa le farà con Bassanini e Gorno Tempini o con nuovi vertici.
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 20/12/2012, 22:13

ranvit ha scritto:Per la gioia di Franz.... :D

O per la gioia di chi ha depositato i soldi presso le poste italiane :o :?: :cry:
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 22/12/2012, 17:54

Immagine

Previsioni e grafico per la prossima settimana...


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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 30/12/2012, 17:35

flaviomob ha scritto:Dietro ai numeri, a essere sbagliato è il modo di pensare l’economia

O meglio, visto che a pensare solamente non si possono fare danni, è sbagliato il modo di fare politica e di costruire l'Europa.
Non è una federazione, non è una confederazione. È solo un mercato aperto (cosa positiva) ma senza guida politica, fiscale e bancaria (cose la cui mancanza è negativa).
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Due modi diversi di fare il banchiere centrale

Messaggioda flaviomob il 31/12/2012, 15:25

http://keynesblog.com/2012/12/31/due-mo ... -centrale/

Chiudiamo l’anno con la segnalazione di due articoli sui differenti comportamenti delle banche centrali in Europa e negli Stati Uniti. Un tema che tornerà sicuramente alla ribalta durante il 2013.

Il primo articolo, di Kemal Derviş, già ministro dell’economia turco ed ex vice presidente della Banca Mondiale, si interroga sulla novità introdotta dal presidente della Federal Reserve americana Ben Bernanke, il quale ha dichiarato che in questo momento l’obiettivo della Fed non è mantenere l’inflazione sotto il 2% – come da tradizione delle banche centrali – ma portare la disoccupazione sotto il 6,5%. Secondo Derviş la Banca Centrale Europea dovrebbe imitare la sorella americana e la Germania dovrebbe spingere sull’inflazione:

Se il target di inflazione della Bce fosse il 3%, invece che vicina al 2%, e la Germania, con il maggiore surplus di parte corrente del mondo, incoraggiasse una crescita dei salari del 6% e tollerasse un’inflazione al 4% – il che implica una modesta crescita dei salari reali oltre agli incrementi attesi sulla produttività – il processo di risanamento dell’Eurozona diverrebbe meno dispendioso sia a livello politico che economico. In effetti, i calcoli politici nel Nord Europa sottostimano fortemente le perdite economiche dovute ai disagi imposti al Sud dall’eccessiva austerità e deflazione salariale. I conseguenti livelli elevati di disoccupazione giovanile, i problemi legati alla sanità e la capacità produttiva inattiva hanno tutti un sostanziale impatto sulla domanda di importazioni dal Nord.

Una diversa politica della BCE è possibile anche a statuto immutato, secondo Derviş:

Contrariamente alla saggezza convenzionale, il mandato legale della Bce consentirebbe una riorganizzazione delle priorità di questo tipo, dal momento che, facendo riferimento alla Bce, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea stabilisce che “L’obiettivo principale del Sistema europeo di Banche centrali…è il mantenimento della stabilità dei prezzi ”, e c’è un altro punto del Trattato sulle politiche economiche generali dell’Eurozona che enfatizza l’occupazione. Ciò sembrerebbe non precludere un obiettivo di occupazione temporanea e complementare per la Bce in un tempo di sfide eccezionali.
Inoltre, la Bce ha l’autorità di fissare il target di inflazione in tutta l’Eurozona, e potrebbe fissare un valore più alto per due o tre anni, senza alcuna violazione al trattato. Il vero problema è l’attuale comportamento politico in Germania.


Molto più scettico invece Paul Krugman, secondo il quale l’annuncio dell’obiettivo di occupazione da parte della Fed ha un significato più “filosofico” che pratico.

L’annuncio della Federal Reserve di questo mese è stato un evento importante? Dal punto di vista filosofico sì, parecchio. Dal punto di vista delle implicazioni sulla politica economica, non molto.[...]

È abbastanza evidente – anche se non dichiarato esplicitamente – che l’obbiettivo di questo pronunciamento è dare una spinta all’economia nell’immediato, attraverso le aspettative di un’inflazione più alta e un’occupazione più forte di quelle che avremmo potuto aspettarci.

Dal punto di vista sostanziale, però, non c’è granché di nuovo. Ben Bernanke ha promesso che la Fed non farà niente di stupido, insomma che non si metterà a fare la Bce, alzando i tassi anche se l’economia è ancora depressa e l’inflazione di fondo è ancora bassa. Il fatto però è che quasi nessuno pensava che la Fed avrebbe fatto la Bce, e la dimostrazione è che i mercati non sono sembrati troppo impressionati dalle dichiarazioni di Bernanke. Perciò mi spiace, ma questa mossa, anche se dimostra che la Fed sta leggendo bene la situazione, non cambia radicalmente le carte in tavola.


I link del primo articolo:
http://www.project-syndicate.org/commen ... vi/italian

[...]
Insieme a queste considerazioni i policy maker dovrebbero tenere conto dei tremendi costi umani ed economici dovuti all’elevata disoccupazione, che includono milioni di vite distrutte, l’erosione delle qualifiche e la scomparsa di opportunità per un’intera generazione, oltre alla perdita totale di risorse umane inattive. Il fatto di non garantire a milioni di giovani di acquisire le qualifiche richieste per entrare nel mondo del lavoro non rappresenta per una società un fardello tanto gravoso quanto uno stock di debito pubblico?


e del secondo:
http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... nnunciati/

[...]
di fronte a una crisi economica dove i manuali di macroeconomia dettavano per filo e per segno la risposta da dare, i potenti hanno preferito lasciarsi abbagliare dai deficit di bilancio, e in generale si sono disinteressati dell'occupazione. Il risultato lo avete sotto gli occhi: un disastro umano ed economico.


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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 05/01/2013, 19:15

http://www.washingtonpost.com/blogs/won ... austerity/

An amazing mea culpa from the IMF’s chief economist on austerity

Posted by Howard Schneider on January 3, 2013 at 12:17 pm

Consider it a mea culpa submerged in a deep pool of calculus and regression analysis: The International Monetary Fund’s top economist today acknowledged that the fund blew its forecasts for Greece and other European economies because it did not fully understand how government austerity efforts would undermine economic growth.
The new and highly technical paper looks again at the issue of fiscal multipliers – the impact that a rise or fall in government spending or tax collection has on a country’s economic output.


That it comes under the byline of fund economic counselor and research director Olivier Blanchard is significant. Fund research is always published with the caveat that it represents the views of the researcher, not the institution itself. But this paper comes from the top, and attempts to put to rest an issue that has been at the center of debate about how fast countries should move in their efforts to tame large debts and deficits.
If fiscal multipliers are small, countries can cut spending faster or raise more in taxes without much short-term damage. If they are large, then the process can become self-defeating, at least in the short run, with each dollar of government spending cuts, for example, costing the economy more than a dollar in lost output and thus actually increasing debt-to-GDP ratios.
That is what has been happening with a vengeance in Greece, where fund forecasters, as part of the country’s first bailout program in 2010, predicted that the nation could cut deeply into government spending and pretty quickly bounce back to economic growth and rising employment.
Two years later, the Greek economy is still shrinking and unemployment is at 25 percent.
Of course no two circumstances are alike. Shut out of international bond markets, Greece had little choice but to begin bringing its public finances into line or face a catastrophic default. Financing wasn’t available to sustain prior spending levels. For an economy that has been reeling for several years, however, a billion or two in extra government programs or investment could have kept a few small businesses open and kept a few more families employed and spending.

“Forecasters significantly underestimated the increase in unemployment and the decline in domestic demand associated with fiscal consolidation,” Blanchard and co-author Daniel Leigh, a fund economist, wrote in the paper.
That somewhat dry conclusion sums up what amounts to a tempest in econometric circles. The fund has been accused of intentionally underestimating the effects of austerity in Greece to make its programs palatable, at least on paper; fund officials have argued that it was its European partners, particularly Germany, who insisted on deeper, faster cuts. The evolving research on multipliers may have helped shift the tone of the debate in countries like Spain and Portugal, where a slower pace of deficit control has been advocated.
But the paper includes some subtle and potentially troubling insights into how the fund works. Blanchard – effectively the top dog when it comes to economic science at the fund – writes in the paper that he could not actually determine what multipliers economists at the country level were using in their forecasts. The number was implicit in their forecasting models – a background assumption rather than a variable that needed to be fine-tuned based on national circumstances or peculiarities.
Heading into a crisis that nearly tore the euro zone apart, in other words, neither Blanchard or any one of the fund’s vast army of technicians thought to reexamine whether important assumptions about the region would still hold true in times of crisis.
That, it turns out, was a big mistake. Multipliers vary over time: They may be low in a country where the economy is growing, interest rates are normal and the banking system is sound. As this research showed, they get larger if interest rates are low, output is falling and the banking system is creaky – conditions that make everyone, from households to investors, less likely to spend, and thus makes the role of government-generated demand that much more important.
Blanchard and Leigh deduced that IMF forecasters have been using a uniform multiplier of 0.5, when in fact the circumstances of the European economy made the multiplier as much as 1.5, meaning that a $1 government spending cut would cost $1.50 in lost output.
What are the implications for the future?
This paper may not be an official position of the IMF, but coming from the agency’s top economist, it is bound to change how the agency generates forecasts.
As for fiscal policy – an issue of interest as the U.S. debate turns towards austerity – Blanchard and Leigh said a better understanding of multipliers does not produce any definitive conclusions.
Many countries still need to cut their deficits – some faster, some slower, depending on a host of other factors.
“The results do not imply that fiscal consolidation is undesirable,” the two write. “Virtually all advanced economies face the challenge of fiscal adjustment in response to elevated government debt levels and future pressures on public finances from demographic change. The short-term effects of fiscal policy on economic activity are only one of the many factors that need to be considered in determining the appropriate pace of fiscal consolidation for any single country.”


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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda trilogy il 05/01/2013, 23:45

flaviomob ha scritto:
[..]If fiscal multipliers are small, countries can cut spending faster or raise more in taxes without much short-term damage. If they are large, then the process can become self-defeating, at least in the short run, with each dollar of government spending cuts, for example, costing the economy more than a dollar in lost output and thus actually increasing debt-to-GDP ratios.[..]

[..]“Forecasters significantly underestimated the increase in unemployment and the decline in domestic demand associated with fiscal consolidation,” Blanchard and co-author Daniel Leigh, a fund economist, wrote in the paper.
That somewhat dry conclusion sums up what amounts to a tempest in econometric circles. The fund has been accused of intentionally underestimating the effects of austerity in Greece to make its programs palatable, at least on paper; fund officials have argued that it was its European partners, particularly Germany, who insisted on deeper, faster cuts. The evolving research on multipliers may have helped shift the tone of the debate in countries like Spain and Portugal, where a slower pace of deficit control has been advocated....


Ne avevamo già parlato qua sopra, quando era uscito il report del FMI. Il modello che hanno applicato sottostima gli effetti recessivi dei tagli di spesa e aumento d'imposte. Il risultato è che PIL scende più del previsto e il rapporto debito/pil peggiora invece di migliorare... Unica consolazione è che sono stati onesti nell'ammettere l'errore. I politici e gli accademici nazionali invece non sbagliano mai e.... i risultati sono sotto gli occhi di tutti :?
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 13/01/2013, 0:28

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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 13/01/2013, 9:52

trilogy ha scritto:Ne avevamo già parlato qua sopra, quando era uscito il report del FMI. Il modello che hanno applicato sottostima gli effetti recessivi dei tagli di spesa e aumento d'imposte. Il risultato è che PIL scende più del previsto e il rapporto debito/pil peggiora invece di migliorare... Unica consolazione è che sono stati onesti nell'ammettere l'errore. I politici e gli accademici nazionali invece non sbagliano mai e.... i risultati sono sotto gli occhi di tutti :?

lo studio dovrebbe essere questo: http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2013/wp1301.pdf
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda ranvit il 14/01/2013, 20:10

Hanno ragione gli americani o noi europei???

Io sono d'accordo con Obama quando dice: Abbiamo fatto dei progressi», ma «non possiamo portare a termine il lavoro solo attraverso i tagli». Vale anche per noi!!!
Dobbiamo ridurre fortemente le tasse, in particolare gli utili reinvestiti dalle aziende! Per creare posti di lavoro= nuovi salari e stipendi=nuovi consumi=aumento delle vendite e quindi della produzione, etc etc
Certo che ci sono tanti altri problemi, ma questa ripartenza dell'economia è fondamentale!

http://www.corriere.it/esteri/13_gennai ... cc61.shtml

il presidente usa ha sottolineato «i rischi di una crisi dei mercati finanziari»

Obama all'attacco dei repubblicani sul debito
«Assurdo non innalzarlo, rischio recessione»

«Abbiamo fatto dei progressi», ma «non possiamo portare a termine il lavoro solo attraverso i tagli»


Il presidente Barack Obama in conferenza stampa parla del debito
Se il tetto del debito non sarà innalzato «le conseguenze saranno disastrose»: lo ha detto il presidente americano, Barack Obama, che ha sottolineato «i rischi di una crisi dei mercati finanziari».

I PROGRESSI - «Abbiamo fatto dei progressi e ci stiamo muovendo verso l'obiettivo di una riduzione di 4 trilioni di dollari del debito», ma «non possiamo portare a termine il lavoro solo attraverso i tagli», ha aggiunto il presidente Usa durante la conferenza stampa alla Casa Bianca. «Al momento -ha sostenuto Obama- la nostra economia sta crescendo e le aziende creano nuovi posti di lavoro».

LA RECESSIONE - È «assurda» anche solo l'ipotesi di non alzare il tetto del debito americano, attualmente fissato per legge a 16.400 miliardi di dollari, perché il Paese «potrebbe finire in recessione» se non ci sarà un accordo. Il presidente ha sottolineato dalla Casa Bianca che c'è ancora bisogno di lavorare per rilanciare l'economia e che non si deve perdere tempo. Obama teme che i repubblicani cerchino un altro braccio di ferro come quello sul fiscal cliff, evitato solo all'ultimo minuto.

LE ARMI - Il presidente ha poi fatto sapere di voler analizzare la lista di proposte sull'uso delle armi elaborate dal suo vice, Joe Biden, che verranno presentate nei prossimi giorni. Biden è stato incaricato da Obama di elaborare una serie di contromisure sull'uso delle armi inseguito alla strage della scuola di Newtown, in Connecticut, dove il giovane Adam Lanza il 14 dicembre ha ucciso 26 persone, tra cui molti bambini. Obama ritiene che maggiori controlli sui precedenti di chi vuole acquistare un'arma, un divieto «significativo» sulle armi d'assalto e limitazioni sui caricatori ad alta capacità siano ottime idee. Il presidente ha aggiunto di non essere in grado di dire quante di queste misure passeranno al Congresso, ma ha ricordato che potrebbe ricorrere ai suoi poteri esecutivi.

Redazione Online14 gennaio 2013 | 18:46
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