da pierodm il 03/08/2010, 20:01
Franz A me pare che i "poveri" invece abbiano capito che se si danno da fare possono stare bene anche loro, anche se ci sarà sempre qualcuno piu' ricco degli altri e qualcuno piu' povero degli altri (anche in Svezia, per dire).
E noto che i ricchi di oggi (penso a Bill Gates e vari altri nuovi arrivati)
Cito questo brano, ma mi riferisco anche ad altri concetti fondati sulla stessa logica, che sono stati espressi - anche condivisibili in se stessi.
Innanzi tutto lascerei da una parte i "ricchi" a livello megagalattico alla Bill Gates, perchè rappresentano un'estremizzazione che, involontariamente trasforma il discorso in una barzelletta.
Qui non stiamo parlando dell'egualitarismo - cioè lamentando il fatto che ci sia chi è più benestante e chi lo è di meno: in qualche modo ciò è inevitabile, se si vuole una società dinamica, nella quale ci sia un libero incentivo a migliorare la propria attività e la propria condizione.
Quindi non è un problema d'invidia sociale di chi si sente sminuito per il maggior benessere di altri: l'invidia ci può essere, così come esiste il problema della società consumistica che ingigantisce l'ansia di "possesso" e un'esagerata competitività.
Questo genere di fenomeni sono la degenerazione ulteriore di un modello sociale fondato sulla disuguaglianza strutturale e sull'ingiustizia.
Il problema di cui parliamo - o almeno, io parlavo - consiste nel fatto che esistono due, tre, quattro tipi di esistenze, tipi di vita, di condizione, che sinteticamente possiamo ridurre a due: chi vive e chi sopravvive, chi è padrone di se stesso e chi ha un padrone, chi ha troppo e chi ha troppo poco o appena il necessario per tirare avanti continuamente assillato e ricattato da mille "creditori".
Nel modello competitivo che crea questo genere di distinzione, vige anche l'idea che un uomo sia misurato dalla propria capacità economica, dal grado di benessere che ha raggiunto: non è l'ideale, ma ci possiamo anche stare.
Solo che non è possibile - specialmente in una democrazia - che un uomo che guadagna mille euro al mese valga settanta volte, o settecento o settantamila volte meno di un altro. Non è solo ingiusto, ma è grottesco.
Ripeto: qui parliamo di gente, di milioni di persone che non "vivono" ma "tirano a campare", che sono con ogni evidenza cittadini di serie C oseria D.
Il discorso storicistico non significa nulla.
Ogni epoca ha i propri livelli di benessere, i propri padroni e i propri servi: anche gli schiavi della Roma imperiale vivevano meglio degli uomini delle caverne, ma ciò non impedisce che allora come oggi siano considerati schiavi.
E non è nemmeno un problema di fatica o di durezza del lavoro: un libero cittadino di una democrazia degna dei suoi presupposti può lavorare più di un impiegatuccio di mezza tacca imboscato in un ufficio, ma il dato socio-politico essenziale è che il primo è padrone di se stesso e della propria vita.
Se poi dobbiamo - per accomodarci in questa situazione pseudo-democratica - ricorrere ai raffronti con l'epoca feudale, dei potenti e dei vassalli, allora avevo ragione, quando una decina d'anni fa parlavo di un ritorno al medioevo, quando il destino di popoli e nazioni era deciso dai "potenti" che si riunivano, si consultavano, si sposavano e si scannavano tra loro.
A chi chiede - solito ritornello - "la soluzione" rispondo con molta semplicità: invece di parlare a vanvera di "liberalismo", ci riflettessero sopra e confrontassero le speranze, le premesse, i meccanismi di questo benedetto liberalismo con la situazione socio-economica attuale.
A Franz vorrei dire che ha ragione: siamo italocentrici, e questo falsa la prospettiva, nel senso che ne aggrava alcuni aspetti, perché aggiunge le nostre nefandezze ai problemi di un sistema che ha, comunque, servi e padroni, cittadini di serie A e cittadini di serie B,C,D, ovunque.