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Il lavoro

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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 21/08/2010, 17:52

chango ha scritto:forse se invece di ribadire il tuo personale ABC prestassi un pochino più di attenzione ti renderseti conto che nessuno sta dicendo che si sta meglio in Lesotho o nel Medioevo.
come nessun sta sostenendo un ritorno ad un economia pianificata.

Tu no, chango. Tu no. Qualcuno lo pensa, rimpiange e lo fa capire. ;)
chango ha scritto:è statato mostrato che la redistrbuzione non cresce con la ricchezza, meglio non cresce nella direzione che una qualsiasi persona che si riconosa in una sinistra riformista, occidentale, europea (non mi ricordo quali erano gli altri termine del mantra di ranvit) auspica.
non lo dico io. lo dice l'OCSE che a partire dagli anni Ottanta ad un aumento della crescita è corrisposto un aumento della disuguaglianza, più o meno marcata, all'interno dei paesi membri.

Chango, ho mostrato io che se prendiamo TUTTI i paesi, partendi dai dai piu' poveri arrivando ai piu' ricchi, esiste questo effetto (crescita = diminuzione delle disugualianze). E dici che non lo metti in dubbio. MI pare.

Ebbene, se prendiamo in considerazione i soli paesi ricchi (i paesi membri di OECD) che sono ricchi da tempo (alcuni da prima della guerra) allora vediamo che raggiunto un certo livello di distribuzione della ricchezza, un certo indice, è difficlie migliorarlo. Ho anche cercato di introdurre alcune spiegazioni oggettive (per esempio l'immigrazione). Prendiamo gli USA, dagli anni 80 ad oggi mi pare che siano passati da 227 a 312 milioni.

Ho anche fatto notare come a partire da un concetto di povertà relativa esistono sempre poveri (per definizione) anche nel paese piu' ricco. Ma se in quel paese ricco l'indice di gini passa da 31 a 34 non è affatto un dramma, se nel frattempo la disoccupazione è costante e il reddito procapite aumenta.
A me interessa, molto piu' che le paturnie sulla distribuzione della ricchezza nei paesi ricchi (la trovo una discussione stucchevole, a sinistra) quella assai piu' stringente e dramamtica dei paesi poveri. Oppure nelle aree povere dei paesi occidentali, come il sud italia o l'immensa provincia francese. E li ripeto (e mi pare che tu sia d'accordo) è dimostrato che la crescita, l'apertura dei mercati, lo sviluppo, porta ricchezza e minori disparità. Quando ho posto questo problema, alcuni messaggi fa, pensavo al lesoto (in realtà pensavo anche all'afghnistan ma nessuno li' ha mai calcolato l'indice di gini).
In qui paesi (a parte quelli che rifiutano la globalizzazione) c'è una crescita netta ed una diminuzione graduale delle disparità economiche interne.

Se proprio ci interessa ragionare solo sui ricchi, visto che è la nostra realtà, io credo che oltre all'immigrazione c'è un'altra causa che puo' spiegare come la ridistribuzione oscilli e possa anche peggiorare. La crescita dei grandi porta ricchezza e molte esportazioni e questo solitamente irrobustisce le valute nazionli e rende care le merci. In un'economia globalizzata è quindi plausibile che molte merci siano prodotte nei paesi emergenti. Questo aumenta la loro ricchezza (e diminuisce le loro disparità) ma lascia anche il segno da noi, con una crescita lenta e forse anche con disparità crescenti. In pratica in un sistema a vasi comunicanti il miglioramento notevele degli altro comporta anche un piccolo arretramento da noi.
Non ne sono sicuro ma è plausibile. A livello globale pero' confronatdo una sorta di indice di gini del mondo, esso è migliorato. Il calcolo non è facile perché questo indice viene calcolato ogni tanto (ogni 5-7 anni) ma il miglioramento è sensibile. Appare anche dall'esame dei pochi casi ricalcolati di recente, negli anni di crisi 2008 e 2009, che c'è un peggioramentodella ridistribzione. Dato che mi sembra in sintonia con l'affermazione di massima che la crescita, pur generando disparità, porta un benessere diffuso e che le crisi, al contrario, portano un malessere verso i piu' deboli.

Tempo fa qui scriveva un fautore della descrescita. Sparito.
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Re: Il lavoro

Messaggioda soniadf il 21/08/2010, 17:54

Adesso…capisco. Caro Franz, tra me e te, l’unico ad avere trascorsi di sezione sei tu. Adesso…riconosco il fanatismo ideologico di chi ha sempre a disposizione una verità assoluta da smerciare.
Il fanatismo è un pessimo consigliere, specie nell’anno 2010 e in Italia, quando occorrono lucidità e disponibilità per non farsi inghiottire tutti nel Berlusconi III o nel Fini I.
A che serve aver ghettizzato Bertinotti e Ferrero, quando dobbiamo ancora spiegare il concetto di disuguaglianza e di solidarietà ad una parte della comitiva? Una parte che, come Bertinotti, è pronta a far saltare il tavolo se non ci si consegna armi e bagagli al mercato libero e giocondo.
I tuoi trascorsi spiegano in parte la tua predisposizione alla critica pregiudiziale in presenza dei tuoi nuovi feticci ideologici quali il libero mercato, la competizione, il federalismo ad ogni costo, ecc.
Sarebbe bello discutere qui e oggi senza la zavorra del settarismo anni ’70, ma mi rendo conto che per alcuni reduci di sezione è più difficile che per altri.

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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 21/08/2010, 18:07

soniadf ha scritto:Adesso…capisco. Caro Franz, tra me e te, l’unico ad avere trascorsi di sezione sei tu. Adesso…riconosco il fanatismo ideologico di chi ha sempre a disposizione una verità assoluta da smerciare.

Dai, sai benissimo che non sono il solo ad aver fatto in passato vita di partito. Gli iscritti erano milioni e chissà quanti li conosci anche da vicino (proprio per questo riconosci il fanatismo ideologico).

Ok, dici che andando con gli zoppi si impara a zoppicare e non si perde piu' il vizio?
Forse hai ragione ma non è che qusta disscussione con questo insight faccia passi avanti.

Si puo' discutere lo stesso nel merito, sui concetti, sui dati, sulle cifre.
Se la mia è una verità falsificabile, puoi dimostrarlo.
Non è che perchè ho detto che sono stato iscritto al PCI allora tutto quello che dico è ".... allora capisco"!
Ma che ragionamenti fai? ;) Vedi, sono anche ebreo e secondo me sotto sotto sono pure omosessuale.
Ora capisci meglio?

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Re: Il lavoro

Messaggioda soniadf il 21/08/2010, 18:38

Ma che ragionamenti fai?

Gli stessi che hai fatto tu fino ad ora ;)

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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 21/08/2010, 19:05

pierodm ha scritto:Cito di seguito quello che avevo scritto: tu devi spiegare dove riscontri il pregiudizio ideologico e perché, e soprattutto il legame ereditario con quello che ricordi del "tuo" comunismo italiano.

[i]Questo Franz lo dice a Chango, ma credo che valga anche per me: sì, io penso che il mercato sia un elemento tendenzialmente pericoloso, [b]tanto quanto può essere benefico se inquadrato in un contesto sociale solidamente democratico, e in un contesto politico-legislativo molto rigoroso. Oltre che, inutile dirlo, in un contesto culturale dove l'etica dei comportamenti abbia un peso reale e consistente nella pubblica opinione e nell'assunzione dei diversi ruoli sociali.

Credevo di aver già risposto a questa tua parte di discorso ma forse è meglio ribadire ampliando il concetto.
L'dea che prima venga un solido contesto democratico e, solo dopo, il mercato sia benefico ritengo sia assolutamente fuori dalla storia. Il mercato si è sviluppato gradualmente da 10'000 anni, circa da quando l'umanità è passata dalla caccia all'agricoltura. È stato benefico fin da subito, secondo me. Lo sviluppo dell'industria (seguito all'a rivoluzione scientifico-tecnologica) ha poi accellarato la necessità del processo di liberalizzazione dei mercati e le liberalità (economiche e politiche) sono venute e cresciute di pari passo, sia pure a strappi (rivoluzioni e controrivoluzioni) non in modo perfettamente sincrono.
Solitamente è lo sviluppo dell'economia che porta come conseguenza un'evoluzione dei rapporti politici (mi pare che questo sia anche assodato per i marxisti, non solo per i liberali) anche se è vero a che loro volta i rapporti politici possono avere un influssi positivi o negativi sui mercati, a seconda della qualità (buona o cattiva) della regolazione.

Puoi invece avere ragione sull'etica perché una base etica preesistente puo' influenzare parecchio (in modo positivo o negativo) sia la qualità della politica sia quella dei rapporti economici. Penso ad esempio all'etica protestante, cattolica, ebraica ed islamica rispetto al mondo degli affari e all'etica pubblica. Ma ho qualche dubbio, perché ritengo l'etica stessa sia un prodotto delle consuetudini morali che autogiustificano l'esistente e quindi non sono un fattore trainante ma caso mai conservatore. Se c'è un bruisp cambiamento, come la rivolizione industriale e liberale, l'etica c''entra poco.
Per fare un esempio era moralmente normale (e non eticamente riprovevole) avere schiavi fino a pochi secoli fa. Era assolutamente normale in qualsiasi religione e filosfia morale non solo per arabi, greci e romani ma per tutto il medioevo cristiano. Almeno fino al decimo secolo. Fu l'illuminismo, con alcune eccezioni, ed i liberalismo ad aprire il fronte contro lo schiavismo, soprattuto nelle colonie. Fu un movimento legato alla ragione e non all'etica o alla morale: un lavoratore porta all'industria agraria e meccnica piu' servizi rispetto ad uno schiavo, sostenevano alcuni illuministi.
Il mondo industralizzato aveva bisogno di lavoratori, di salariati, non di schiavi.
L'economia di mercato, col suo sviluppo, quindi induce un cambiamento anche nelle liberalità politiche e civili.

Ora francamente non so se questa tua idea che prima venga un solido contesto democratico e solo poi il mercato possa essere benefico sia un portato di qualche strana forma di comunismo (o una delle sue molteplici varianti, leninismo, trokismo, stalinismo, maoismo) e francamente non credo che sia interessante nel nostro dibattito sul lavoro. certo non intendo perdere tempo per cercare di dimostrare una cosa cosi' inutile. So come la pensi politicamente perché non hai fatto mistero in passato, quando è caduto il muro ed il PCI ha dovuto cambiare nome (meglio tardi che mai) di aver aderito non al PDS ma a Rifondazione. Non sono piu' cosi' addentro ai misteri dell'ideologia post-comunista e dei suoi vari travestimenti per cui scusa se ti ho classificato erronemente, pur sulla base dei tuoi input.

Rimane il fatto che lo sviluppo del mercato e dell'econmia comporta, prima o poi la graduale comparsa delle libertà che oggi diamno per assodato. A volte con gradualità, a volte con strappi rivoluzionari tipo rivoluzione francese.

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Re: Il lavoro

Messaggioda chango il 21/08/2010, 20:21

franz ha scritto:Chango, ho mostrato io che se prendiamo TUTTI i paesi, partendi dai dai piu' poveri arrivando ai piu' ricchi, esiste questo effetto (crescita = diminuzione delle disugualianze). E dici che non lo metti in dubbio. MI pare.



non puoi dire che esiste questo effetto, ossia indicare una causalità diretta tra crescita e riduzione della disuguaglainza, proprio perchè quel rapporto OCSE mostra che non c'è.
la Svizzera non ha quell'indice di Gini solo per via della crescita della sua ricchezza. ci sono altre variabili che concorrono a fornire una speigazione: la sua storia, le sue istituzioni, la loro solidità, le condizioni economiche sociali e ambientali di base, ecc.

le differenze dell'indice di Gini tra Lesotho e Svizzera non le puoi rapportare alla crescita, ma caso mai al diverso grado di sviluppo che i due paesi hanno raggiunto.


franz ha scritto:Ho anche fatto notare come a partire da un concetto di povertà relativa esistono sempre poveri (per definizione) anche nel paese piu' ricco. Ma se in quel paese ricco l'indice di gini passa da 31 a 34 non è affatto un dramma, se nel frattempo la disoccupazione è costante e il reddito procapite aumenta.


non tutto deve essere un dramma.
però un aumento della disugualgianza del 3% può non essere irrilevante.
l'indice di gini misura la redistribuzione del reddito, un aumento delle disegualianze in questo senso può avere effetti in altri ambiti e peggiorare le diseguaglianze in altre materie.
soprattutto se dal reddito dipende l'accesso o la qualità di servizi essenziali (sanità, istruzione, assistenza sociale,ecc).
un aumento non consistente delle disuguaglianze di reddito può determinare un aumento nelle disuguglianze di opportunità.
tutto dipende da come è strutturata una società.
un aumento dal 31 al 34 ha effetti diversi se avviene in Italia o Grecia o se avviene in Svezia o Norvegia.



franz ha scritto:A me interessa, molto piu' che le paturnie sulla distribuzione della ricchezza nei paesi ricchi (la trovo una discussione stucchevole, a sinistra) quella assai piu' stringente e dramamtica dei paesi poveri. Oppure nelle aree povere dei paesi occidentali, come il sud italia o l'immensa provincia francese. E li ripeto (e mi pare che tu sia d'accordo) è dimostrato che la crescita, l'apertura dei mercati, lo sviluppo, porta ricchezza e minori disparità. Quando ho posto questo problema, alcuni messaggi fa, pensavo al lesoto (in realtà pensavo anche all'afghnistan ma nessuno li' ha mai calcolato l'indice di gini).
In qui paesi (a parte quelli che rifiutano la globalizzazione) c'è una crescita netta ed una diminuzione graduale delle disparità economiche interne.


ma crescita, apertura dei mercati e sviluppo non sono la stessa cosa.
sviluppo è anche un sistema di welfare di tipo scandinavo che redistribuisce la ricchezza prodotta con la crescita.
sviluppo è un sistema di istituzione democratiche che permette alle varie parti sociali e interessi di confrontarsi liberamente.
sviluppo è avere raggiunto delle condizioni di tipo alimentare, igienico-sanitarie e in prospettiva di istruzione senza le quali non è possibile andare oltre ad un economia di sussistenza o di sfruttamento (da parte di investitori stranieri).


franz ha scritto:Se proprio ci interessa ragionare solo sui ricchi, visto che è la nostra realtà, io credo che oltre all'immigrazione c'è un'altra causa che puo' spiegare come la ridistribuzione oscilli e possa anche peggiorare. La crescita dei grandi porta ricchezza e molte esportazioni e questo solitamente irrobustisce le valute nazionli e rende care le merci. In un'economia globalizzata è quindi plausibile che molte merci siano prodotte nei paesi emergenti. Questo aumenta la loro ricchezza (e diminuisce le loro disparità) ma lascia anche il segno da noi, con una crescita lenta e forse anche con disparità crescenti. In pratica in un sistema a vasi comunicanti il miglioramento notevele degli altro comporta anche un piccolo arretramento da noi.
Non ne sono sicuro ma è plausibile. A livello globale pero' confronatdo una sorta di indice di gini del mondo, esso è migliorato. Il calcolo non è facile perché questo indice viene calcolato ogni tanto (ogni 5-7 anni) ma il miglioramento è sensibile. Appare anche dall'esame dei pochi casi ricalcolati di recente, negli anni di crisi 2008 e 2009, che c'è un peggioramentodella ridistribzione. Dato che mi sembra in sintonia con l'affermazione di massima che la crescita, pur generando disparità, porta un benessere diffuso e che le crisi, al contrario, portano un malessere verso i piu' deboli.

Tempo fa qui scriveva un fautore della descrescita. Sparito.
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che la crescita porti un aumento della ricchezza (il benessere è un altra cosa) non vi è dubbio.
ma questo non è mai stato messo in discussione.
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 21/08/2010, 21:39

chango ha scritto:non puoi dire che esiste questo effetto, ossia indicare una causalità diretta tra crescita e riduzione della disuguaglainza, proprio perchè quel rapporto OCSE mostra che non c'è.
la Svizzera non ha quell'indice di Gini solo per via della crescita della sua ricchezza. ci sono altre variabili che concorrono a fornire una speigazione: la sua storia, le sue istituzioni, la loro solidità, le condizioni economiche sociali e ambientali di base, ecc.

le differenze dell'indice di Gini tra Lesotho e Svizzera non le puoi rapportare alla crescita, ma caso mai al diverso grado di sviluppo che i due paesi hanno raggiunto.

No, scusa allora qui se cadiamo nel surreale è meglio stoppare (peccato) una discussione che fino ad ora era interssante. La svizzera, la germania, l'italia di oggi sono il lesotho di 1000 o 2000 anni fa. Ogni paese e' diventato quello di oggi crescendo economicamente e quindi anche politicamente. Il grado di sviluppo nostro, le mete raggiunte oggi da noi, saranno un giorno raggiunte dal Lesotho, se nessuno pone ostacoli all'economia, al mercato.

Il grado di sviluppo è il frutto di una crescita durata secoli (le statistiche OECD sugli ultimi 30 anni sono quindi equivalenti all'ombelico della storia). Per ora il lesotho ha solo da sperare di essere in grado di raggiungere i livelli occidentali (e noi di non ricadere a livello della Grecia). Ha comunque una sttada tracciata. Noi la abbiamo costruita zizagando, altrio prcederanno diritti. Guardando i paesi poveri di oggi noi guardiamo il nostro passato. Loro vedono in noi un futuro di benessere. Se poi vuoi sapere perché noi oggi siamo qui e il lesotho è ancora li', l'amico gabriele mi aveva a suo tempo consigliato un libro che giudico ancora oggi notelevole: ho seguito il suo ottimo consiglio e volentieri lo estendo a te.
http://it.wikipedia.org/wiki/Armi,_acciaio_e_malattie
http://www.ibs.it/code/9788806173166/di ... attie.html

tutto dipende da come è strutturata una società.
un aumento dal 31 al 34 ha effetti diversi se avviene in Italia o Grecia o se avviene in Svezia o Norvegia.

Vero. Come è strutturata la società dipende pero' da livello di crescita raggiunto. E per essere UK/CH/Svezia invece di Grecia/Italia o Brasile/Cina o Lesotho/Afghanistan tutto dipende dalla crescita economica, legata all'apertura dei mercati, all'assenza di ostacoli al commercio. Se uno stato è come il Vietnam non puoi avere un welfare svedese.

chango ha scritto:ma crescita, apertura dei mercati e sviluppo non sono la stessa cosa.
sviluppo è anche un sistema di welfare di tipo scandinavo che redistribuisce la ricchezza prodotta con la crescita.

Non sono la stessa cosa ma sono uno conseguenza dell'altra.
L'apertura e la liberalizzazione comporta la crescita e lo sviluppo. Unita ovviamente ad un buon sistema scolastico universale, ad un sistema di libertà politiche e civili di tipo liberale. Ma sono cose che vengono automaticamente. Al traino. Sempre che non si strozzino i mercati, vincolandoli, favorendo monopoli e rendite.
Il sistema scandinavo poi non è certo il sistema socialista che magari quancuno suppone, pensando alla socialdemcrazia degli anni '70. La svezia non è un paese chiuso al mercato. Esporta il 33% della ricchezza che produce (un bel po' di piu' del nostro 19%). Ed è un paese liberlizzato. Sono rimasto stupito dal grado di liberalizzazione che la Svezia ha raggiunto, lungo un cammino iniziato negli anni 80 e 90. Nettamente superiore a quello italiano. Poste e ferrovie, per esempio, liberalizzate al 100%. Non solo "privatizzate". Dico anche liberalizzate (non sono sinonimi). Diciamo che i nostri sindacati e la nostra sinistra, se avessero dovuto sopportare quello che è successo in Svezia, sarebbero scesi tutti sul sentiero di guerra. :lol:

Ok, hai ragione un sistema che cresce puo' distribuire la ricchezza prodotta con la crescita.
Lo dico da anni. Vale per UK, Germania, Svizzera, Olanda, per tuttl i paesi che crescono bene.
Poi come possiamo immaginare l'immigrazione dall'africa e dal medio oriente diretta verso il regno unito, la germania, l'olanda, il belgio, la spagna, la svizzera, la francia ed in piccola parte anche l'Italia è notevole mentre la svezia, la norvegia e la finlandia sono per ovvi motivi climatici un po' al riparo. Loro quindi risistribuiscono al loro interno e la poca immigrazione che hanno viene al massimo dalla russia e dai paesi baltici, ... manodopera oggi assai meno povera e piu' tecnicamente preparata.

Diocevamo: un sistema che cresce puo' distribuire la ricchezza prodotta con la crescita: questo vale molto meno per l'Italia, proprio perché cresce meno. Anzi perde colpi (lavoratori ed aziende).
Perché? Torniamo al punto. Noi pensiamo piu' alla ridistribuzione (quasi fosse un diritto acquisito) mentre la crescita va in secondo piano, dato che si mettono sul campo tutte e cose che servono a ostacolare la crescita. Protezionismi, mafiette, stato coprorativo, liberalizzazioni fatte a metà e quella metà è pure fatta male (salvo forse un paio).

chango ha scritto:che la crescita porti un aumento della ricchezza (il benessere è un altra cosa) non vi è dubbio.
ma questo non è mai stato messo in discussione.

Bene. E la crescita, legata all'apertura dei mercati, porta anche una diminuzione delle disparità economiche. Porta allo sviluppo delle libertà individuali. E questo porta ad altra crescita.
Per me porta prima o poi alla democrazia, all'affermazione di uno stato di diritto. Ad un welfare state sostenibile. E questo porta ad altra crescita. A tante cose. Ma il motore è la crescita. Senza crescita io e te queste cose possiamo volerle anche intensamente ma non abbiamo le risorse per finaziarle ... se per trovarle mettiamo regole che limitano l'economia, ci diamo una mazzata da soli su un posto a piacere. Quindi tutti dipende dalla crescita e la crescita dipende dall'apertura dei mercati. Senza crescita si ferma tutto ed in un'economia glbalizzata, dove merci, lavoratori, aziende si muovono liberalmente, fermare tutto vuol dire tornare indietro.

Franz
Ultima modifica di franz il 21/08/2010, 21:57, modificato 1 volta in totale.
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Re: Il lavoro

Messaggioda franz il 21/08/2010, 21:54

soniadf ha scritto:Ma che ragionamenti fai?

Gli stessi che hai fatto tu fino ad ora ;)

Soniadf

Non che mi interessi discutere in questi termini personali ma io contesto dei ragionamenti e porto argomenti.
Discutibili come tutti ma cerco di dimostrare le mie tesi. Come risposta, a parte chango che entra nel merito e mi permette di apprezzare la qualità della discussione (che altrimenti abbandonerei) mi sento come spesso accade attaccato per le idee che ho e per le etichette che mi vengono appiccicate. Che francamente non credo interessino a nessuno.
Se invece mi azzardo io a far notare che certi ragionanemti sono figli piu' o meno lontaani di una certa idelogia, apriti cielo.
Qunidi stabilito che sono aziendalista, liberista, ex-comunista, ebreo, omosessuale e pure zingaro, che siccome vivo in un paese ricco è evidente che la penso in un certo modo (a maggior ragione ora che sapete che sono anche ebreo) ... bene, ora che finalmente potete dire "ah, ora capisco" e quindi avete capito tutto, sembra inutile farmi ulteriori domande. Spero 8-)
Anche perhé non è detto che risponda a chi dice di non capire malgrado ripetute riletture.
Evito io di perdere tempo e ad altri penosi di tentativi di capire il mio contorto ed inutile pensiero.

Graazie e buona domenica!
Franz
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Re: Il lavoro

Messaggioda pierodm il 22/08/2010, 13:25

Mi sento, come spesso accade, attaccato per le idee che ho e per le etichette che mi vengono appiccicate: non è piacevole e credo che ne risenta anche la qualità della discussione: un esempio, tra tanti possibili, quando Franz afferma in modo surreale ora francamente non so se questa tua idea che prima venga un solido contesto democratico e solo poi il mercato possa essere benefico sia un portato di qualche strana forma di comunismo (o una delle sue molteplici varianti, leninismo, trokismo, stalinismo, maoismo), laddove è evidente che il comunismo non c'entra un pistolino.

Ma, a parte questa consueta tendenza all'illazione, con intenzioni malevole (alla Capezzone, per intenderci), nessuno ha detto che prima viene la democrazia e poi il mercato, in un rapporto conseguenziale e cronologico così ottusamente rigido.
Mi vedo costretto a citare nuovamente quanto avevo scritto: tanto quanto può essere benefico se inquadrato in un contesto sociale solidamente democratico, e in un contesto politico-legislativo molto rigoroso. Oltre che, inutile dirlo, in un contesto culturale dove l'etica dei comportamenti abbia un peso reale e consistente nella pubblica opinione e nell'assunzione dei diversi ruoli sociali.
E' evidente e ovvio che i fenomeni marciano insieme, così come è facilmente riscontrabile (ma complicato da raccontare, specialmente se uno non vuole capire) che si tratta di una marcia tutt'altro che lineare e priva di contraddizioni: ci sono stati e ci sono periodi e luoghi dove le leggi del mercato operano in contesti degradati economicamente e politicamente, altri luoghi e tempi in cui il contesto è diverso. Il "contesto", in questo senso, ovviamente non è un lettino già pronto, in atetsa di essere occupato dal mercato, ma semplicemente lo stato complessivo della situazione nella quale vediamo agire il mercato stesso.
Il fatto che sia il mercato a rendere migliori i tempi e i luoghi è un postulato, che viene mascherato da teorema per poterlo "dimostrare", ma si tratta soltanto della ripetizione del medesimo assunto fideistico.
Così come non è vero, sic et simpliciter, che le sole vicende, i soli programmi politici siano in grado di mutare le condizioni sociali, senza un mutamento dei rapporti economici.
In definitiva, il "beneficio" del mercato si riscontra laddove avviene in un contesto sociale equilibrato, che riduce al minimo le disuguaglianze e che non rischiede al potere politico di intervenire in modo autoritario e oppressivo per mantenere l'ordine: questo s'intende, almeno per me, come "beneficio", ossia un relativo "benessere esistenziale" della nazione.

Franz, invece, considera "beneficio" tutto ciò che concorre allo sviluppo quantitativo e rigidamente economico, col sottinteso che in qualche modo questo finirà per ricadere "beneficamente" sullo stato della nazione e della politica.
E abbiamo parlato solo della singola nazione, lasciando da parte il problema di come si forma la ricchezza e come avviene lo sviluppo rispetto a ciò che è "altro": interi continenti sono da secoli oggetto e soggetto di mercato, senza che le loro condizioni siano niente di più che miserabili, esistenzialmente e politicamente.
Credo che in qualche caso non sia stato tanto e soltanto il "mercato" a produrre ricchezza, quanto lo sfruttamento colonialistico di questi continenti: poiché, oltre tutto, quella ricchezza era comunque per pochi anche nelle nazioni "brave e fortunate", sarebbe forse più corretto parlare politicamente di "produzione di potenza", ossia quella potenza che consentiva la sopraffazione e lo sfruttamento.
Sullo schiavismo, poi, e sulla concezione del lavoratore nel vetero-capitalismo, stendiamo un velo pietoso.

Ma credo che sia inutile star ancora qui a controbattere questa forma di estremismo ideologico.

Sul piano personale, Franz ricorda male - ma più probabilmente si tratta solo di un'innocente tentazione alla malafede - la faccenda di Rifondazione, e la mia adesione. Dato che Franz è così organizzato, non avrà difficoltà a reperire quei miei messaggi antichi nei quali raccontavo della questione: li riporti qui tranquillamente, adesso non ho francamente voglia di ripetere e precisare.
Infine, richiamo Franz ad un comportamento più misurato, sempre con l'avvertenza che non sono solo i vaffanculo una forma di offesa personale.
Io per la verità non do tanta importanza alle "offese", ma colgo soltanto l'occasione epr sottolineare la contraddizione di chi, in altre sedi, s'ingegna di ammaestrare il popolo: non c'è necessità di mostarre tanto disprezzo per gl'interlocutori che non ti danno soddisfazione.
Per quanto riguarda Chango, ne ammiro la costanza e la pazienza, ma penso che sia stato un errore darti tanta corda su tutti quei discettamenti, quell'intrico di cifre, di grafici e di indici.

So che dovrei dire almeno altre quattro o cinque cose, ma mi sono stancato e vado a pranzo.
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Re: Il lavoro

Messaggioda gabriele il 22/08/2010, 18:00

Robyn ha scritto:Le cause della crisi internazionale sono nella ricerca del profitto a tutti i costi.L'uscita dalla crisi stà nel terzo settore.Infatti l'uscita dalla crisi del 1929 fù dovuta a Keynes oggi la risposta all'uscita dalla crisi stà nel terzo settore.Se si esce dalla logica della ricerca del massimo profitto a tutti i costi si evita anche la delocalizzazione che porta ad una depressione del mercato.L'attuale capitalismo non funziona più perche è un capitalismo che non investe.Infatti nel terzo settore non esiste la figura del datore di lavoro ma quella del presidente.I suoi profitti sono un pò più alti del lavoratore ,magari due o tre volte il reddito del lavoratore la parte restante degli utili và tutta reinvestita o per rendere più competitiva l'azienda o per realizzare sviluppo e lavoro in aree depresse cosa che non avviene nel sistema tradizionale perche con la ricerca del massimo profitto si và nei paesi emergenti nei paradisi fiscali si pensa alla ferrari alla casa al mare in montagna alle vacanze in australia a feste sontuose per gli ospiti.Diciamo che il capitalismo è vissuto finche è vissuto il comunismo.E stato il comunismo che ha tenuto in piedi il capitalismo ,morto il comunismo muore anche il capitalismo nelle forme in cui lo abbiamo conosciuto fina ad adesso.Il terzo settore è una realtà molto competitiva e questa è una cosa da riconoscere
Ciao Robyn


le cause della crisi internazionale è della più totale mancanza di regole. Il mercato, che è uno strumento economico e quindi sociale e non può essere nè bene nè male, non governato da regole diviene una giungla. Il mercato senza regole, non è mercato.
In un periodo di globalizzazione mondiale del mercato non è corrisposta una figura coercitiva sovranazionale che rappresentasse lo Stato e che dettasse le regole.

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