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Una lettura keynesiana della crisi

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda ranvit il 16/06/2012, 11:56

Se vediamo la percentuale di tedeschi in età lavorativa che lavorano effettivamente, troviamo un valore decisamente superiore a quello italiano. Se i tedeschi dicono che dobbiamo lavorare di piu' (anche meno lavoro nero) ed avere rigore nei conti per me dicono una cosa giusta. E' chi dice il contrario che sfascia l'europa e l'euro.

In linea di massima posso essere d'accordo, ma...esistono le vie di mezzo!

Come ho già detto i tedeschi sono stati bravi con il rigore quando gli altri assorbivano la superproduzione tedesca, ma oggi chi assorbe se non ci sono piu' soldi nè lavoro, nè prospettive?
Il rischio è una esplosione di rabbia popolare (cruenta o solo elettorale) che manderebbe in frantumi tutto!
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 16/06/2012, 12:25

Credo che il problema della "superproduzione" tedesca sia un falso problema, perché i tedeschi importano parecchio per compensare le esportazioni ed importano anche da noi. L'italia esperta tanto in Germania e Francia.
Diciamo che il commercio estero fa comodo a tutti, non solo alla Germania.
Senza per esempio l'Italia sarebbe il 20% piu' povera ed il problema della disoccupazione sarebbe ancora piu' grave.
Che poi la locomotiva tedesca sia tale perché fa prodotti di ottima qualità non credo che possa essere una colpa o una cosa che "fa comodo". La responsabilità caso mai è di chi perde quote di mercato (come Prodi ci ricordava qui viewtopic.php?p=48809#p48809 ) mentre chi acquista quote di mercato ha solo merito.
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda ranvit il 16/06/2012, 12:50

Non è cosi!
La Germania esporta per il 60% del suo totale negli altri Paesi europei!
Se si frantuma l'Europa sono "uccelli per diabetici" anche per la Germania!
Per non parlare della necessità ormai improcrastinabile degli Stati Uniti d'Europa; rispetto ai grandi Paesi emergenti (Cina, India, Brasile etc), la Germania da sola si fa le pippe!
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda ranvit il 16/06/2012, 16:44

http://www.tatsachen-ueber-deutschland. ... obale.html


Forte piazza economica nel mercato globale

di Peter Hintereder e Martin Orth



La Germania è una delle nazioni industriali a più alto sviluppo e più produttive del mondo: la sua economia si trova infatti al quarto posto dopo gli USA, il Giappone e la Cina. Con i suoi 82 milioni di abitanti la Germania è inoltre il più grande e importante mercato dell’Unione Europea (UE). L’economia tedesca si concentra su prodotti industriali e servizi. Sono apprezzati in tutto il mondo soprattutto i prodotti dell’industria meccanica tedesca, automezzi e prodotti chimici. Circa un Euro su quattro è guadagnato con l’esportazione, oltre un posto di lavoro su cinque dipende direttamente o indirettamente dal commercio estero. Con un volume d’esportazione di 1121 miliardi di dollari USA, circa un terzo del reddito nazionale lordo, nel 2009 la Germania fu il secondo esportatore di beni del mondo dopo la Cina (1202 miliardi di dollari USA), dopo che dal 2003 al 2008 era stata per sei volte consecutive «campione mondiale dell’esportazione». La percentuale della Germania sul totale del commercio mondiale ammonta al nove per cento circa.



Essendo molto orientata all’esportazione la Germania è legata come pochi altri paesi all’economia mondiale e interessata a mercati liberi. I più importanti partner commerciali sono la Francia, i Paesi Bassi, gli USA e la Gran Bretagna. Nel 2009 sono stati esportati in Francia beni per un valore di 82 miliardi di Euro, negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi per 54 miliardi di Euro e in Gran Bretagna per 53 miliardi di Euro. Dall’allargamento a Est dell’Unione Europea (2004 e 2007), accanto al commercio con i «vecchi» paesi UE, è riconoscibile una ripresa del volume commerciale con i paesi membri dell’UE dell’Europa centrale e orientale. Oltre il dieci per cento di tutte le esportazioni vanno in questi paesi. Complessivamente la percentuale delle esportazioni tedesche nei paesi dell’Unione Europea si aggira sul 63 per cento.

Cresce costantemente l’importanza dei rapporti commerciali ed economici con i paesi asiatici emergenti. Nel frattempo l’Asia è per importanza il secondo mercato di vendita di merci provenienti dalla Germania. Nel 2009 il 14 per cento delle esportazioni tedesche sono andate in questa regione. Il partner più importante è la Cina. Inoltre, dal 1999 la Germania è il maggiore investitore europeo della Cina. Circa 2500 imprese tedesche vi sono rappresentate con investimenti.
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http://vocidallagermania.blogspot.it/20 ... l-sud.html

domenica 3 giugno 2012
Crollano le esportazioni verso il sud Europa
Lo Statistisches Bundesamt ha recentemente pubblicato i dati sul commercio estero tedesco del primo trimestre. Come previsto crolla l'export verso il sud-Europa, ma cresce quello verso le altre aree del mondo. Restano intatti i giganteschi avanzi commerciali.
L'export tedesco nel primo trimestre 2012, rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente è cresciuto del 5.8% raggiungendo i 276 miliardi di Euro. La crescita verso i 26 paesi membri dell'Unione Europea è stata del 2.2% (a 161.2 miliardi), relativemante debole. La crescita verso i paesi dell'Eurozona è stata con uno 0.9% ancora piu' debole. Con grandi differenze fra i paesi partner. Sono così cresciute le esportazioni verso i vicini come la Francia (+6.7% a 27.3 miliardi di Euro), Olanda (+9.6 % a 18.5 miliardi di Euro ), Austria (+5.5 % a 14.9 miliardi di Euro). Allo stesso tempo sono invece diminuite le esportazioni verso i paesi del sud come Italia (-7.6% a 14.9 miliardi di Euro), Spagna (-7.8% a 8.4 miliardi di Euro), Portogallo (-14% a 1.7 miliardi di Euro) e Grecia (-9.8% a 1.2 miliardi di euro).

L'export verso i paesi extra UE è cresciuto dell'11.2% (raggiungendo i 114,8 miliardi di euro), piu' di quanto abbiano fatto le esportazioni in generale. Le esportazioni verso gli Stati Uniti sono cresciute nel primo trimestre 2012 del 21.4% rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Forte crescita delle esportazioni verso la Russia con un +17.5% (a 8.6 miliardi di Euro), Giappone con un +18.4% (a 4.3 miliardi di Euro), Corea del sud con un +17.% ( a 3.3 miliardi di Euro) e Brasile con un 15.6% (a 3.0 miliardi di Euro).

Le importazioni tedesche sono cresciute nel primo trimestre del 4.7 % (a 230,5 miliardi di Euro). Le importazioni dagli stati membri EU sono cresciute del 5.6% (a 129.8 miliardi ) piu' rapidamente di quanto abbiano fatto le importazioni tedesche in generale. Le importazioni dall'Eurozona sono cresciute del 4.6%.

Per la crescita delle importazioni sopra la media sono responsabilil le importazioni dall'Olanda con un +8.6% (a 21.6 miliardi), dall'Italia con un +8% (a 12.5 miliardi di Euro) e dal Regno Unito con un +9.4% (a 11.6 miliardi). Molto sotto il trend le importazioni dalla Francia con un +1.5% ( a 16.3 miliardi di Euro) e dalla Spagna con un +0.8% (a 6 miliardi di Euro).
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Ma forse la Germania vuole uscire dall'euro?

Messaggioda ranvit il 16/06/2012, 16:47

http://finanza.repubblica.it/Esperti/De ... &te=Trader

Bilancia commerciale e rischi per l'euro
JC & Associati

In passato abbiamo analizzato gli effetti dei movimenti valutari dell'Euro sulla bilancia commerciale europea. Intendiamo ora aggiornare la nostra analisi osservando il recente andamento della bilancia commerciale, per poi valutare la tendenza che caratterizza sia gli scambi extra-europei sia quelli intra-europei.

Ricordiamo che una bilancia commerciale in attivo indica esportazioni superiori alle importazioni e viceversa. All'interno della stessa area valutaria (come nel caso dell'Euro), forti e prolungate differenze nei dati di bilancia commerciale indicano diversi livelli di competitività e produttività che possono essere compensati solo da flussi finanziari di segno contrario.

La teoria economica vuole che ad un apprezzamento del cambio corrisponda nel medio-lungo termine una riduzione delle esportazioni, poiché queste diventano relativamente più care, provocando quindi un peggioramento della bilancia commerciale.

Nel breve periodo però la relazione è spesso inversa, cioè ad un miglioramento della bilancia commerciale corrisponde spesso un rafforzamento della valuta; poiché gli esportatori incassano valuta estera (di solito Dollari USA), che poi vendono per acquistare valuta domestica generandone quindi un rafforzamento.

Al fine di verificare come queste relazioni si sono sviluppate nel caso europeo, il seguente grafico propone un confronto tra l'andamento della bilancia commerciale europea e quello del cambio Euro-Dollaro, a partire dal 2000.

GUARDA IL GRAFICO


Tra il 2002 e il 2005, in occasione del trend rialzista della valuta unica nei confronti del dollaro, passata da 0.85 a 1.35, si osserva un contestuale miglioramento della bilancia commerciale, che da un saldo negativo di 2.17 miliardi di euro è passata a un saldo positivo che ha superato gli 8 miliardi. Lo stesso sincronismo si è verificato tra la seconda metà del 2004 e la seconda metà del 2006, seguendo però una direzione opposta rispetto al segmento temporale precedente.

La conferma della teoria economica di medio-lungo termine si è invece avuta in occasione dell'acuirsi della crisi del debito. Dalla seconda metà del 2010, infatti, ad un apprezzamento del dollaro è corrisposto un peggioramento della bilancia commerciale totale dell'Eurozona e viceversa in una fase di deprezzamento della valuta nei confronti del dollaro si è assistito ad un miglioramento del saldo della bilancia commerciale.

Più interessante però, ai fini della nostra analisi è verificare i dati all'interno dell'area Euro. Di seguito riportiamo l'andamento della bilancia commerciale extra-europea (cioè solo con i paesi al di fuori dell'Euro) di: Germania, Francia, Italia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia. A risentire maggiormente delle oscillazioni del cambio sono infatti gli scambi indirizzati verso i paesi extra-europei. Va inoltre sottolineato che su questo dato pesano le importazioni di petrolio.

GUARDA IL GRAFICO

Innanzitutto i dati nazionali, con media mobile a sei mesi, evidenziano in maniera eclatante come le esportazioni tedesche risultino sostanzialmente indipendenti rispetto alle oscillazioni del tasso di cambio. Dal momento clou della crisi finanziaria, ovvero dal marzo 2009, la Germania infatti non solo ha mantenuto un saldo positivo della bilancia commerciale extra-eu, ma addirittura in costante crescita, praticamente quasi raddoppiando il suo valore, ovvero passando da circa 6.3 a 12 miliardi.

Il Portogallo dal 2000 ad oggi si mantiene pressoché invariato con un saldo stabilmente negativo, anch'esso non correlato al movimento del tasso di cambio. Stessa tendenza costante anche per l'Irlanda, sebbene a differenza del Portogallo si caratterizzi per un saldo della bilancia commerciale positiva. I paesi maggiormente condizionati dall'oscillazione del cambio valutario sembrano essere Francia, Italia e Spagna.

La bilancia commerciale extra-eu francese è tornata attualmente in campo positivo, attestandosi ad un valore pari a circa 500 miliardi di euro. Più significativo è il caso della bilancia commerciale italiana extra -eu, che dall'inizio del 2010 è entrata stabilmente in territorio negativo raggiungendo il picco minimo al termine del primo semestre (2.8 miliardi di euro).

In concomitanza con l'indebolimento dell'euro nei confronti del dollaro il dato italiano è però gradualmente migliorato, rimanendo comunque negativo. Lo stesso vale per la bilancia commerciale extra-eu spagnola che nonostante un miglioramento dettato dal deprezzamento dell'euro rappresenta il peggiore saldo europeo, intorno a - 3.5 miliardi di euro.

Queste differenti tendenze confermano una diversità strutturale tra le economie europee in termini di competitività, in particolare rispetto alla Germania, che la crisi in atto sta ulteriormente accentuando.

Interessanti risultano anche le dinamiche che regolano gli scambi all'interno dell'Unione Europea, valutiamo quindi l'andamento delle bilance commerciali nazionali intra-eu.

GUARDA IL GRAFICO

In termini di scambi interni all'Eurozona la posizione della Germania cambia notevolmente. Seppure mantienga il primato in termini assoluti rispetto alle altre economie considerate, le esportazioni tedesche all'interno dell'area europea stanno subendo un continuo declino dai massimi del 2008, passando dagli 11 miliardi di euro agli attuali 4. I due grafici evidenziano il fatto che la Germania è riuscita a "sostituire" le esportazioni verso l'Europa, indirizzandosi verso altre aree geografiche.

Pressoché costante è invece l'andamento invece della bilancia commerciale interna di Italia, Portogallo, Grecia e Irlanda, quest'ultima è l'unica a mantenersi stabilmente positiva. Dal 2008 risulta invece in ripresa la bilancia spagnola. Seppur tuttora negativa è passata dai -4 miliardi di inizio 2008 agli attuali -500 milioni. Sorprende invece la tendenza fortemente negativa seguita dalla bilancia commerciale intra-eu francese. A differenza di quella spagnola, dall'inizio del 2008 ha ampliato il suo saldo negativo passando da -4 a oltre -7 miliardi di euro.

Questa analisi evidenzia una crescente divergenza tra le economie europee, che la crisi sta via via accentuando. Emerge inoltre una preoccupante tendenza della Germania a indirizzarsi verso mercati non europei. Questa circostanza, assieme all'aumento della divergenza che si sta verificando anche in termini di flussi finanziari, va nella direzione opposta a quella da tutti indicata come la soluzione definitiva dei problelmi dell'Euro: una sempre maggiore integrazione oltre che monetaria, anche fiscale ed economica dei diversi paesi.

L'intervento della BCE, attraverso il programma di rifinanziamento di lungo periodo (LTRO), non fa altro che favorire una progressiva nazionalizzazione del debito. Le banche nazionali infatti tendono a preferire l'acquisto del debito locale riducendo le partacipazioni "incrociate" tra diversi paesi. Se da un lato l'aumento della divergenza rende molto costosa la permanenza all'interno della medesima area economica per i paesi meno competitivi, dall'altro le tendenze in atto rendono sempre meno costosa un'eventuale uscita dall'Euro "dall'alto" (cioè della Germania).

Questo ovviamente non significa che il temuto "collasso" dell'Euro sia probabile ma, per chi come noi è abituato a ragionare in termini relativi e probabilistici, le divergenti tendenze del dato di bilancia commerciale tra la Germania e gli altri principali paesi dell'Euro, se non contrastate, potrebbero purtroppo rendere questo evento progressivamente più probabile, almeno in termni relativi.

a cura di JC& Associati
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda franz il 16/06/2012, 17:43

ranvit ha scritto:Non è cosi!
La Germania esporta per il 60% del suo totale negli altri Paesi europei!
Se si frantuma l'Europa sono "uccelli per diabetici" anche per la Germania!
Per non parlare della necessità ormai improcrastinabile degli Stati Uniti d'Europa; rispetto ai grandi Paesi emergenti (Cina, India, Brasile etc), la Germania da sola si fa le pippe!

La percentuale indicata non è una caratteristica solamente tedesca. Troviamo % simili anche in Italia e Francia e quindi vale per tutti il fatto che il mercato europeo, essendo un nercato piu' libero (libera circolazione di merci, persone, idee, studenti, capitali) porta un vantaggio a tutti quando funziona e svantaggio a tutti quando dovesse crollare. Da notare che comunque solo nel 2003-2005 l'80% delle esportazioni erano infra-UE-27 mentre oggi questa quota è ridotta al 50-60%. Questo perché è cresciuto enormemente lo scambio commerciale verso i paesi del BRIC e verso l'europa "non-UE" e molte aziende hanno scelto di diversificare i rischi ed i mercati. Da notare che se è vera l'affermazione che la Germania da sola non fa una pippa, è ancora piu' vera per i paesi dei PIIGS. E proprio come indicato nello stidiio "I due grafici evidenziano il fatto che la Germania è riuscita a "sostituire" le esportazioni verso l'Europa, indirizzandosi verso altre aree geografiche." Vale per tutti, Italia compresa. Vedere http://www.ferpress.it/wp-content/uploa ... o-CLAS.pdf
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda ranvit il 16/06/2012, 19:18

Non è vero che vale per tutti...noi esportiamo molto meno e comunque siamo già nella cacca :cry: ; la Germania ci andrebbe ....

In ogni caso comunque la giriamo se crolla l'euro sono cavoli per tutti...anche per la Germania!
Conviene forse che i Pigs diventino meno cicale e che la Germania si dia una calmata dando piu' tempo!
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manifesto di Krugman per il buon senso in economia

Messaggioda franz il 29/06/2012, 7:46

Pur non condividendo, pubblico volentieri.


L’austerità è smentita dai fatti. Il manifesto di Krugman per il buon senso in economia
Posted by keynesblog on 28 giugno 2012 in Economia, Europa, Global, Teoria economica

Pubblichiamo, tradotto in italiano, il manifesto di Paul Krugman e Richard Layard pubblicato oggi dal Financial Times e sul sito manifestoforeconomicsense.org. Sebbene nelle premesse si rivolga solo agli “economisti mainstream”, i contenuti sembrano convergenti con molte delle analisi e delle proposte avanzate anche in altre parti della teoria economica. Ma soprattutto è un attacco alla visione del rigore e dell’austerità in stile anni ’30 oggi tornata prevalente.
Un Manifesto per il [buon]senso economico

Più di quattro anni dopo l’inizio della crisi finanziaria, le principali economie avanzate del mondo restano profondamente depresse, una scena che ricorda fin troppo quella del 1930. E la ragione è semplice: ci affidiamo alle stesse idee che hanno governato le azioni di politica economica nel 1930. Queste idee, da tempo smentite, comprendono errori profondi sia sulle cause della crisi che sulla sua natura che sulla risposta appropriata.

Questi errori hanno messo radici profonde nella coscienza pubblica e forniscono il sostegno pubblico per l’eccessiva austerità delle attuali politiche fiscali in molti paesi. Quindi i tempi sono maturi per un manifesto in cui gli economisti mainstream offrano al pubblico una analisi dei nostri problemi maggiormente basata sulle evidenze.

Le cause. Molti responsabili politici insistono sul fatto che la crisi è stata causata dalla gestione irresponsabile del debito pubblico. Con pochissime eccezioni – come la Grecia – questo è falso. Invece, le condizioni per la crisi sono state create da un eccessivo indebitamento del settore privato e dai prestiti, incluse le banche sovra-indebitate. Il crollo della bolla ha portato a massicce cadute della produzione e quindi del gettito fiscale. Così i disavanzi pubblici di grandi dimensioni che vediamo oggi sono una conseguenza della crisi, non la sua causa.

La natura della crisi. Quando le bolle immobiliari su entrambi i lati dell’Atlantico sono scoppiate, molte parti del settore privato hanno tagliato la spesa nel tentativo di ripagare i debiti contratti nel passato. Questa è stata una risposta razionale da parte degli individui, ma – proprio come la risposta simile dei debitori nel 1930 – si è dimostrata collettivamente autolesionista, perché la spesa di una persona è il reddito di un’altra persona. Il risultato del crollo della spesa è stato una depressione economica che ha peggiorato il debito pubblico.

La risposta appropriata. In un momento in cui il settore privato è impegnato in uno sforzo collettivo per spendere meno, la politica pubblica dovrebbe agire come una forza di stabilizzazione, nel tentativo di sostenere la spesa. Per lo meno non dovremmo peggiorare le cose tramite grandi tagli della spesa pubblica o grandi aumenti delle aliquote fiscali sulle persone comuni. Purtroppo, questo è esattamente ciò che molti governi stanno facendo.

Il grande errore. Dopo aver risposto bene nella prima e acuta fase della crisi economica, la saggezza politica convenzionale ha preso una strada sbagliata, concentrandosi sui deficit pubblici, che sono principalmente il risultato di una crisi indotta dal crollo delle entrate, e sostenendo che il settore pubblico dovrebbe cercare di ridurre i suoi debiti in tandem con il settore privato. Come risultato, invece di giocare un ruolo di stabilizzazione, la politica fiscale ha finito per rafforzare gli effetti frenanti dei tagli alla spesa del settore privato.

Di fronte a uno shock meno grave, la politica monetaria potrebbe bastare. Ma con i tassi di interesse prossimi allo zero, la politica monetaria – mentre dovrebbe fare tutto il possibile – non può fare l’intero lavoro. Ci deve naturalmente essere un piano a medio termine per ridurre il disavanzo pubblico. Ma se questo è troppo sbilanciato può facilmente essere controproducente annullando la ripresa. Una priorità chiave è ora quella di ridurre la disoccupazione, prima che diventi endemica, rendendo la rispesa e la futura riduzione del deficit ancora più difficile.

Come rispondono coloro che sostengono le politiche attuali agli argomenti che abbiamo appena avanzato? Usano due argomenti molto diversi a sostegno della loro causa.

L’argomento della fiducia. Il loro primo argomento è che i deficit pubblici alzeranno i tassi di interesse e quindi impediranno il recupero. Al contrario, essi sostengono, l’austerità aumenterà la fiducia e favorirà così la ripresa.

Ma non c’è alcuna prova a favore di questo argomento. In primo luogo, nonostante i deficit eccezionalmente elevati, i tassi di interesse oggi sono bassi senza precedenti in tutti i principali paesi in cui c’è una banca centrale normalmente funzionante. Ciò è vero anche in Giappone, dove il debito pubblico supera ormai il 200% del PIL annuo, e il downgrade da parte delle agenzie di rating non hanno avuto alcun effetto sui tassi di interesse giapponesi. I tassi di interesse sono elevati solo in alcuni paesi della zona euro, perché la BCE non è consentito di agire come prestatore di ultima istanza per il governo. Altrove la banca centrale può sempre, se necessario, finanziare il deficit, lasciando inalterato il mercato obbligazionario.

Inoltre l’esperienza passata non contiene nessun caso in cui i tagli di bilancio hanno effettivamente generato un aumento dell’attività economica. Il FMI ha studiato 173 casi di tagli di bilancio dei singoli paesi e ha scoperto che il risultato coerente è la contrazione economica. Nella manciata di casi in cui il consolidamento fiscale è stato seguita da una crescita, i canali principali erano un deprezzamento della valuta nei confronti di un mercato mondiale forte, una possibilità non disponibile al momento. La lezione dello studio del FMI è chiara: i tagli al bilancio ritardano la ripresa. E questo è ciò che sta accadendo ora: i paesi con i maggiori tagli di bilancio hanno avuto le più pesanti cadute dell’output.

La verità è, come possiamo vedere, che i tagli di bilancio non ispirano la fiducia delle imprese. Le aziende investono solo quando possono prevedere abbastanza clienti con un reddito sufficiente da spendere. L’austerità scoraggia gli investimenti.

Vi è quindi un’evidenza massiccia contro l’argomento della fiducia; tutte le presunte prove a favore di tale dottrina sono evaporate ad un esame più approfondito.

L’argomento strutturale. Un secondo argomento contro l’espansione della domanda è che la produzione è nei fatti vincolata dal lato dell’offerta da squilibri strutturali. Se questa teoria fosse giusta però, almeno in alcune loro parti le nostre economie dovrebbe essere a pieno regime, e così dovrebbe fare alcune attività. Ma nella maggior parte dei paesi non è questo il caso. Ogni settore importante delle nostre economie è in difficoltà, e ogni attività ha un tasso di disoccupazione più elevato del solito. Quindi il problema deve essere una mancanza generale di spesa e domanda.

Nel 1930 lo stesso argomento strutturale è stato utilizzato contro le politiche di spesa proattive negli Stati Uniti, ma a seguito dell’aumento di spesa tra il 1940 e il 1942, la produzione è aumentata del 20%. Quindi il problema nel 1930, come oggi, era una carenza di domanda, non di offerta.

Come risultato delle loro idee sbagliate, in molti paesi occidentali i politici stanno infliggendo sofferenze enormi ai loro popoli. Ma le idee che sposano su come gestire le recessioni sono state respinte da quasi tutti gli economisti dopo i disastri del 1930, e per i successivi quarant’anni o giù di lì l’Occidente ha goduto di un periodo senza precedenti di stabilità economica e bassa disoccupazione. E’ tragico che negli ultimi anni le vecchie idee abbiano di nuovo messo radici. Ma non possiamo più accettare una situazione in cui le paure sbagliate di tassi di interesse più elevati pesino di più sui i decisori politici rispetto agli orrori della disoccupazione di massa.

Politiche migliori differiranno da paese a paese e hanno bisogno di un dibattito approfondito. Ma devono essere basate su una corretta analisi del problema.

Invitiamo quindi tutti gli economisti e gli altri che sono d’accordo con le linee generali di questo Manifesto a registrare la loro sottoscrizione su www.manifestoforeconomicsense.org, e sostenere pubblicamente un approccio più solido.

http://keynesblog.com/2012/06/28/lauste ... #more-1673
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda trilogy il 05/07/2012, 15:32

Ora non resta che aspettare la contromossa della Federal Reserve :mrgreen:

MILANO (Finanza.com)

Focus sulle Banche centrali. Poco fa la Banca centrale europea e la Bank of England come da attese hanno annunciato di aver rispettivamente portato il costo del denaro ai minimi storici e di aver incrementato il piano di acquisto asset. Ancora una volta invece la People's Bank of China (Pboc) ha colto di sorpresa il mercato.

In Europa il costo del denaro ai nuovi minimi storici
L’Eurotower poco fa ha annunciato di aver ridotto il tasso di riferimento di 25 punti base allo 0,75%. Si tratta del terzo taglio targato Mario Draghi. In calo anche il tasso sui depositi e quello sui prestiti overnight che passano a zero ed all'1,50%. La mossa era stata correttamente pronosticata dagli analisti anche se c’era chi, come Société Générale, si era spinta a pronosticare una sforbiciata di 50 punti base.

La mossa dell’Eurotower sta favorendo la risalita dei listini europei, l’Eurostoxx 50 attualmente guadagna quasi mezzo punto percentuale, spingendo al ribasso la moneta unica, in picchiata verso quota 1,24 dollari a 1,242.

Il QE d’Oltremanica sale a 375 miliardi di sterline
Tutto come previsto anche per quanto riguarda la Banca d'Inghilterra. Oggi il Comitato di Politica monetaria nel confermare il costo del denaro al minimo storico dello 0,5% ha incrementato il programma di allentamento monetario (QE, Quantitative Easing) di altri 50 miliardi di sterline a 375 miliardi.

La decisione era stata correttamente pronosticata dagli analisti alla luce del recente peggioramento della congiuntura britannica e dell’orientamento emerso dalle minute dell’ultima riunione del Comitato di Politica monetaria che aveva evidenziato una crescita dei voti a favore di un maggior QE da uno a quattro.

La Banca centrale cinese taglia ancora il costo del denaro
La Pboc ha invece colto gli operatori di sorpresa. Ad un mese dalla prima sforbiciata dal 2008, poco fa la Banca Centrale cinese ha annunciato che a partire da domani il tasso sui prestiti scenderà dello 0,31% al 6% mentre quello sui depositi si attesterà al 3%, lo 0,25% in meno rispetto al livello fissato lo scorso 7 giugno.

A giugno la Pboc, per la prima volta dal crack della Lehman Brothers, aveva ridotto i due benchmark di 25 punti base portandoli rispettivamente al 3,25% e al 6,31%. La Banca centrale del Paese asiatico ha inoltre reso noto che gli istituti di credito potranno offrire prestiti al 30% in meno rispetto ai tassi di riferimento. In precedente la soglia era fissata al 20%.

Tra le misure adottate recentemente dalla Pboc per combattere il rallentamento cinese ed evitare l’hard landing troviamo anche il taglio al coefficiente di riserva obbligatoria delle banche (RRR), ossia il livello di liquidità che le banche commerciali devono obbligatoriamente destinare alla banca centrale senza poterla impiegare, sceso dal novembre scorso dell'1,5 per cento.

La mossa a sorpresa della Pboc ha favorito l’aussie, il dollaro australiano, salito ai massimi da due mesi nel cross con il biglietto verde (1,0323 dollari Usa). La Cina rappresenta il primo partner commerciale dell’Australia.

Anche i danesi si sono accodati al taglio dei tassi.
La Banca centrale danese ha annunciato di aver ridotto, in scia della Bce, il tasso di riferimento di 25 punti base portandolo allo 0,2%. -25pb anche per il tasso sui certificati di deposito che scende al -0,2%. (PS: non è un errore. Il tasso sui certificati di deposito è stato portato a -0,2% . In pratica, se vuoi titoli danesi, non ricevi interessi, ma anzi li devi pagare. Serve a scoraggiare l'afflusso di valuta e l'apprezzamento del cambio).
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Re: Una lettura keynesiana della crisi

Messaggioda flaviomob il 05/07/2012, 19:50

E allora perché Milano perde e lo spread sale?


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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