da Salemi il 28/11/2014, 14:06
il Fatto 28.11.14
Il premier bastona, Squinzi felice
“Molto gradite le nuove regole sui contratti”
di Sal. Can.
Il copione di giornata rispecchia ampiamente la prima pagina di ieri del Fatto. Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, ammette di gradire molto il Jobs Act di Renzi, anche se nella versione prima maniera, mentre Matteo Renzi, confermando un “rispetto” formale per il sindacato, torna a bastonarlo senza pietà. “Vedo due sindacati, Cgil e Uil, - ha detto il premier nel corso della trasmissione Matrix - che faranno uno sciopero generale contro il nostro governo. Gli stessi sindacati si sono dimenticati di fare lo sciopero contro la Fornero e Monti”. Un modo per “buttarla in politica” che rappresenta un tasto utilizzato a piene mani dal presidente del Consiglio. Così come l’altro refrain: “La verità vera è che la riforma del lavoro sta dando più diritti a quelli a cui il sindacato, in questi anni, non ha parlato, a quelli di cui non si è occupato nessuno”.
LA SFIDA DI RENZI alla Cgil (e alla Uil) sta in queste parole: io rappresento meglio di voi il lavoro nuovo, quello senza diritti, senza garanzie, senza futuro stabile. “Il Jobs Act - sostiene il premier - è la grande occasione per dare diritti a chi non li ha mai avuti. Invece, Cgil e Uil faranno “uno sciopero generale contro il nostro governo che ha dato gli 80 euro a chi guadagna meno, che dà la maternità a chi non l’aveva, che concede i co.co.co. e i co.co.pro”. La contraddizione, insomma, sarebbe tutta in casa sindacale, il governo va spedito per la sua strada e non si ferma per nessuna ragione. Ieri, il testo, è stato approvato senza alcuna modifica in commissione Lavoro al Senato dove si voterà da martedì. L’obiettivo è licenziare la legge-delega il prossimo 4 dicembre. In terza lettura, infatti, si discutono e votano solo le parti modificate dalla Camera, visto che a palazzo Madama la legge è stata già approvata.
Il sindacato questa partita l’ha già compresa e infatti pensa ad attrezzarsi per una “lunga marcia” come dimostra la scelta di ricorrere alla Corte europea per far valere la Carta dei diritti europei. Il ricorso in sede Ue la Cgil lo ha già fatto a proposito della legge Poletti - il primo stralcio del Jobs Act, già approvato - che prevede una maggiore flessibilità e liberalizzazione dei contratti a tempo determinato. Ora si passa ai principi generali stabiliti, in particolare, dall’articolo 30: “Ogni lavoratore - si legge - ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali”.
IL RICORSO non è stato materialmente redatto e quindi non è ancora presentato. Se ne parlerà dopo l’approvazione dei decreti delegati per cogliere la lettera del provvedimento. Un punto che sta a cuore al sindacato è la disparità di condizioni in cui si troveranno i lavoratori italiani. A cominciare dal 1 gennaio, infatti, non ci sarà più, per i nuovi assunti, il tradizionale contratto di lavoro a tempo indeterminato ma solo quello a tutele crescenti. Occorre capire ancora quali tutele saranno garantite e quali no ma il punto è che nei luoghi di lavoro si troveranno, fianco a fianco, lavoratori con diritti molto diversi motivati solo dalla data di assunzione. Una “differenza” che, per il sindacato, avrà una natura costituzionale. E dunque, in nome di quel ricorso e di queste considerazioni, si ricorrerà ai tribunali del lavoro. Come ha fatto la Fiom con la Fiat.