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Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda franz il 27/09/2013, 20:29

cardif ha scritto:Anche io ho posto come obiettivo la riduzione del debito nel calcolo di prima.
Però licenziare cinquecentomila dipendenti, anche se non fanno una mazza perché sono in più sul posto che occupano, riduce il pil comunque, perché dà meno reddito da spendere e mettere in circolo.

A parte il fatto che il PIL sta già diminuendo (-9% in 3 anni) la riduzione del pil dovuta alla loro sparizione dai conti nazionali è temporanea, fino a quando non trovano un nuovo lavoro. Se lo trovano. Perché potrebbero trovarlo? Se la spesa pubblica inferiore (dovuta a meno burocrazia e burocrati) viene convertita in meno tasse, è possibile che le risorse liberate inducano assunzioni. Se lo trovano nel settore privato esso sarà valutato sulla base del valore aggiunto (finalmente) e non solo sulla base dello stipendio lordo. Quindi il PIL aumenterà a fronte di una diminuzione innegabile della spesa pubblica. Quindi i nostri obbiettivi (deficit su pil) vengono raggiunti con un moltiplicatore che keynesiano non è .... ma è molto di piu'.
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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda flaviomob il 28/09/2013, 0:50

Tagliare i dipendenti pubblici ridurrebbe la spesa, ma gli impegni internazionali che abbiamo preso porterebbero questa riduzione in semplice diminuzione del debito pubblico senza abbassare le tasse. Inoltre andremmo incontro a spese per i sussidi di disoccupazione e a conseguenze sociali pesanti in un'epoca in cui nessuno assume. Non credo che abbiamo bisogno di tagli (siamo nella media europea), ma di efficienza e di dirigenti pubblici meno pagati e più efficaci.


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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda franz il 28/09/2013, 8:34

flaviomob ha scritto:Tagliare i dipendenti pubblici ridurrebbe la spesa, ma gli impegni internazionali che abbiamo preso porterebbero questa riduzione in semplice diminuzione del debito pubblico senza abbassare le tasse.

Se la razionalizzazione della spesa è unita alle dismissioni (200 miliardi in 5 anni) allora c'è lo spazio per ridurre anche le imposte. Per quanto riguarda i sussidi di disoccupazione la realtà di oggi è che non mi pare siano previsti per il pubblico impiego (male) ma meglio indagare. Per quanto leggo su wiki "La percentuale di indennizzo è pari al 60% della media delle ultime tre mensilità per i primi 6 mesi, al 50% per il settimo e l’ottavo mese e al 40% per i mesi successivi fino al dodicesimo per i lavoratori ultra cinquantenni. Per il 2009 l’importo massimo è di € 886,31 elevato a € 1.065,26 per i lavoratori che possono far valere una retribuzione mensile lorda superiore a € 1.917,48.".
Anche se valesse per il pubblico impiego, l'esborso sarebbe inferiore alla spesa, quindi c'è sempre un risparmio per i conti pubblici.
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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda flaviomob il 28/09/2013, 9:08

Sì, ma esploderebbe una bomba sociale (a cinquant'anni in Italia oggi è quasi impossibile trovare lavoro), non avremmo alcuna garanzia che i dipendenti pubblici rimasti sarebbero riorganizzati efficacemente (quindi la qualità e la quantità del lavoro svolto dalla PA avrebbe un crollo), anche riducendo le tasse alle imprese avremmo un crollo del PIL e dell'economia reale per cosa? Per agire su di uno dei pochi parametri che ci vedono nella media europea. In Svezia, per dire, in proporzione i dipendenti pubblici sono molti più che da noi. Rifacendomi a un altro thread, la vera anomalia italiana è costituita dai dati su evasione e corruzione (e nero e economia illegale), tra un quarto e un terzo del PIL. Con quelle risorse potremmo azzerare il debito pubblico in un paio di decenni...
E se la PA fosse, invece che tagliata, riorganizzata in modo da diventare veloce ed efficiente, le imprese ne avrebbero enormi benefici.


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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda cardif il 28/09/2013, 13:24

Franz: troppi 'se' secondo me.

Se trovano lavoro
: e se non lo trovano?
Se la spesa pubblica inferiore viene convertita in meno tasse: ma nell'ipotesi di prima dovrebbe servire a ridurre il debito: lo Stato dovrebbe vendere meno titoli in corrispondenza della minore spesa.
Se trovano lavoro nel settore privato: beh, è una ipotesi, ma mi pare non tanto plausibile.
Ma resta la difficoltà di licenziare per le PA. Possono solo bloccare il turnover.
Il sussidio di disoccupazione non spetta ai dipendenti delle PA:
http://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=8292
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda franz il 28/09/2013, 15:48

flaviomob ha scritto:Sì, ma esploderebbe una bomba sociale ...
E se la PA fosse, invece che tagliata, riorganizzata in modo da diventare veloce ed efficiente, le imprese ne avrebbero enormi benefici.

1) la bomba sociale espoderebbe in ogni caso, se cadiamo nel baratro
2) d'accordo credere ancora in babbo natale ma possibile ipotizzare in una PA riorganizzata, veloce ed efficiente, con gli stessi dipendenti di oggi? Già oggi il 25% si gratta le parti intime, ... una volta "riorganizzata, veloce ed efficiente" sarà il 40% a grattarsi i cosiddetti. Snellire il personale aumenterà i benefici per tutti.
Quando dico "tutti" dico 40 milioni di contribenti, voce del verbo (abusato) di "bene comune".

Ora da noi abbiamo 58 dipendenti pubblici per mille abitanti, 54 in germania e 135 in svezia. Nessuno ci obbliga a raggiungere numeri svedesi (che pero' fanno molto di piu') ma prima di fare paragoni dovremmo anche contare le decine di migliaia di aziende comunali esternalizzate, le controllate, il parastatale.
In ogni caso se in Italia il 15% dei dipendenti lavora nel settore pubblico (30% nei paesi nordici) si puo' sempre tendere come obbiettivo al dato svizzero (10%) se l'obiettivo è una PA "riorganizzata, veloce ed efficiente".

http://www.infoinsubria.com/2012/12/ita ... -pubblici/
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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda flaviomob il 29/09/2013, 19:16


Sono i 70 mld. di Pil in meno che fanno sforare i conti pubblici


di Ugo Arrigo

Perché i conti pubblici italiani vanno male, nonostante le maximanovre del 2011 che avrebbero dovuto portarci al pareggio, effettivo e non solo strutturale, del bilancio? Perché abbiamo seguito, pedissequamente e acriticamente, i suggerimenti europei di stretta fiscale che non hanno tenuto conto dell’emergente recessione prima e del suo aggravamento dopo.

Nel 2011, l’anno delle tre manovre, i due governi che si sono succeduti hanno presentato, e il Parlamento approvato, provvedimenti fiscali per oltre 81 miliardi di euro complessivi nel triennio 2012-14, corrispondenti a 5,2 punti del Pil 2011. Questi provvedimenti avrebbero dovuto portare ad un sostanziale pareggio del bilancio pubblico già nel 2013 (indebitamento a -0,5% del Pil secondo il DEF dell’aprile 2012, a fronte di un -3,8% effettivo nel 2011). I risultati attesi non si sono tuttavia verificati: nel 2012 il Pil reale è diminuito di 2,4 punti %, esattamente il doppio della previsione governativa dell’aprile 2012, mentre l’indebitamento netto della PA anziché ridursi all’1,7% del Pil si attestato al 3%; nel 2013, invece, il proseguimento della recessione porta ad un ulteriore calo del Pil dell’1,7%, secondo il recentissimo aggiornamento al DEF, mentre l’indebitamento della PA è atteso risalire al 3,1 (o 3,2%) del Pil.

Sintesi: le maximanovre del 2011 avrebbero dovuto azzerare il deficit, quello vero, non quello definito come ‘strutturale’, invece hanno lasciato quasi invariato il deficit (5 punti di manovre si sono tradotti in due anni in solo mezzo punto di miglioramento) mentre il Pil reale è sceso nel biennio del 4,1%. Che cosa è successo alla finanza pubblica? Semplicemente che per ogni euro in più che il governo Monti ha incassato (o risparmiato) per effetto delle manovre ha perso quasi un euro di entrate ordinarie per effetto della recessione economica autoprodotta che ha falcidiato gli imponibili.

Vediamo qualche altro numero, tratto dal recentissimo aggiornamento al DEF presentato dal Ministero dell’Economia lo scorso 20 settembre. Nel 2013 il disavanzo della PA è previsto in 49 miliardi di euro, quale differenza tra una spesa complessiva di 808 miliardi (84 miliardi di spesa per interessi e 724 miliardi di spese primarie). Il disavanzo secondo il MEF risulterebbe pari, come già detto, al -3,1% rispetto a un Pil nominale stimato in 1557 miliardi, la spesa primaria al 46,5% del pil, la spesa totale al 51,9%, le entrate totali al 48,7%.

Quali delle precedenti voci risultano discordanti rispetto al quadro previsivo formulato dal precedente governo dopo le maximanovre del 2011? Andiamo a vedere i corrispondenti valori che erano stati indicati dal governo Monti nel DEF del 18 aprile 2012. In quel documento la spesa primaria 2013 era prevista al 44,6% del pil, circa due punti in meno rispetto al DEF aggiornato pochi giorni fa. La spesa totale della PA era invece prevista al 50% del pil, 1,9 punti al di sotto rispetto all’ultima previsione. Infine le entrate totali erano previste al 49,5% del pil, dunque 0,7 punti in più rispetto ad ora. Pertanto 1,9 punti in più di spesa e 0,7 punti in meno di entrate fanno 2,6 punti in più di disavanzo, che è infatti previsto al -3,1% mentre nell’aprile 2012 era previsto per quest’anno al -0,5%.

Questi numeri sembrerebbero imputare lo sforamento alla spesa pubblica, mettendo in cattiva luce la capacità dell’Italia di adempiere ai suoi impegni. Nella realtà è l’esatto opposto dato che il Pil nominale, collocato al denominatore dei due gruppi di numeri, non è esattamente lo stesso: nel DEF 2012 di Monti era infatti previsto per il 2013 a 1627 miliardi mentre l’aggiornamento DEF di Letta lo prevede in 1557 miliardi, esattamente 70 miliardi al di sotto, quelli che si sono persi per effetto della recessione.

Mancano in sostanza all’appello 70 miliardi di Pil che scombussolano i nostri risultati di finanza pubblica. Infatti le entrate totali della PA, indicate in 806 miliardi nel DEF 2012 di Monti, risultano ora pari a soli 759 miliardi, 47 miliardi in meno. I 70 miliardi di Pil in meno si sono tradotti in 47 miliardi di entrate in meno, evidentemente a causa del minor Pil e della conseguente caduta degli imponibili ma probabilmente anche per effetto di una crescita del sommerso.

Discorso opposto per quanto riguarda invece i livelli della spesa pubblica: nel DEF di Monti la spesa totale della PA per il 2013 era prevista in 814 miliardi, nel DEF ultimo invece in 808 miliardi, dunque una minor spesa di 6 miliardi. Al suo interno la spesa primaria era prevista in 726 miliardi mentre ora è scesa a 724 miliardi, 2 miliardi al di sotto (i restanti 4 derivano da una minor spesa per interessi).

Sintesi: l’Italia ha rispettato pienamente i suoi impegni in termini di livello della spesa pubblica (totale e primaria), tuttavia la recessione prodotta delle manovre ha condotto a un Pil nominale più basso di 70 miliardi e a minori entrate, in gran parte conseguenti, per 47 miliardi che si si sono tradotte in un maggior deficit di 41 miliardi. Poiché la spesa pubblica non è peggiorata nonostante la recessione è evidente che in qualunque ipotesi di minor recessione rispetto a quella effettiva le entrate sarebbero state più alte e il disavanzo più basso.

La recessione è frutto di un rigore fiscale ottuso che ha imposto manovre fiscali autolesioniste, in grado di azzoppare la crescita ma non di migliorare i conti pubblici, l’obiettivo unico che ne aveva giustificato l’adozione. Servono altre ragioni per imporre un drastico cambio di rotta? Che non è evidentemente il ritorno al lassismo finanziario bensì l’introduzione (sarebbe infatti la priva volta) di un rigore razionale.

http://www.leoniblog.it/2013/09/29/sono ... -pubblici/


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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda franz il 29/09/2013, 19:29

flaviomob ha scritto:Perché i conti pubblici italiani vanno male, nonostante le maximanovre del 2011 che avrebbero dovuto portarci al pareggio, effettivo e non solo strutturale, del bilancio? Perché abbiamo seguito, pedissequamente e acriticamente, i suggerimenti europei di stretta fiscale che non hanno tenuto conto dell’emergente recessione prima e del suo aggravamento dopo.

No, non mi pare che abbiamo seguito pedissequamente.
Basta rinfrescare la famosa lettera della BCE.
Per esempio torna comodo questa analisi di carlo stagnaro, da cui risulta che ben poco di quanto scritto in quella lettera è stato fatto. Solo il 24% di quanto scritto è stato portato a termine.
http://www.leoniblog.it/2013/08/05/5-ag ... nni-persi/

Inoltre non era stata chiesta alcuna stretta fiscale ma di risanare i conti (le finanze pubbliche, il punto 2 della lettera).
Come qui abbiamo imparato a ragionare sul forum, ormai anche i sassi sanno che il risanamento si fa sia diminuendo le spese, sia aumentando le entrate. Ma la prima è un'operazione difficile (svezie e germania pero' l'hanno fatta nel decennio scorso) mentre i politici un po' di tutto il mondo, ma particolarmente quelli italiani, hanno una spiccata fantasia nel inventare tasse e balzelli nuovi. Morale le tasse (pressione fiscale) sono aumentate ma non era affatto un suggerimento europeo. E' stata una scelta dei politico italiani, incapaci di affrontare per le corna il toro della spesa pubblica, ormai fuori controllo. Eppure Prodi c'era riuscito, nel suo primo governo. Già nei primi due anni. La cosa è possibile, quindi.

PS: l'articolo sembra voler dire (ed avrebbe ragione) che troppe tasse (e soprattutto un loro incremento) sono recessive e fanno diminuire il PIl. Tuttavia qui abbiamo avuto un calo delle entrate di 47 miliardi (dato preso dall'articolo e dato per buono) mentre le spese sarebbero calate solo di 2 (spesa primarie) + altri 4 per minori interessi.
Ora l'articolo afferma che sul fronte della spesa il governo avrebbe mantenuto i suoi impegni ma i conti non tornano.
Se vediamo il fronte delle tasse, esse sono addirittura scese di piu'.
Quello che va visto è il rapporto tra spese e PIL e tra tasse e PIL.
E' evidente che il primo è rimasto piu' alto del secondo. Ma questo è normale ed è risaputo. Le entrate seguono l'andameto dell'economia. Se essa va male, calano. Le spese dello stato invece seguono le bizze della casta. Aumentano in tempi di crisi se il paese ha un sano ed efficace welfare ma non è il caso dell'Italia. da noi le spese non calano perché la corte costituzionale si mette di traverso, cosi' come tutti coloro che da quella spesa traggono reddito.
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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda flaviomob il 30/09/2013, 20:39

Cambiamo i trattati Ue


Allo scopo di contrastare sia le politiche dissennate che pretendono di curare la crisi ricorrendo alle stesse dottrine che l’hanno causata, sia il crescente autoritarismo di governi eterodiretti dalla famigerata troika di Bruxelles, esiste una sola strada: la riforma dei trattati Ue.

di Luciano Gallino, la Repubblica, 27 settembre 2013

Poco prima delle elezioni, una nota rivista tedesca di studi politici ha pubblicato un articolo intitolato “Quattro anni di Merkel, quattro anni di crisi europea”. L’autore, Andreas Fisahn, non si riferiva affatto al rinnovo ch’era ormai certo del mandato alla Cancelliera, bensì al precedente periodo 2010-2013, in cui l’austerità imposta da Berlino tramite Angela Merkel ha rovinato i paesi Ue. Ma la sua diagnosi ci porta a dire che la riconferma di quest’ultima assicura che senza mutamenti di rilievo nelle politiche dell’Unione il prossimo quadriennio potrebbe essere anche peggio.

Sui guasti pan-europei delle politiche di austerità come ricetta per risolvere la crisi, in nome della stabilità dei bilanci pubblici, non ci possono essere dubbi. I disoccupati nella Ue hanno superato i 25 milioni, di cui oltre 19 nella sola zona euro, e 4 in Italia. La compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori ha creato decine di milioni di lavoratori poveri, a cominciare dalla Germania dove i salari reali, caso unico in Europa, sono oggi inferiori a quelli del 2000. Quasi ovunque sono stati brutalmente tagliati i trattamenti pensionistici – da noi ne sanno qualcosa gli esodati, ma non soltanto loro – insieme con i fondi per l’istruzione, la sanità, i trasporti pubblici. Paesi quali la Grecia e il Portogallo sono stati letteralmente strangolati dalle prescrizioni della troika venuta dal Nord, senza che esse abbiano minimamente giovato ai loro bilanci. In tutta la Ue i comuni devono fronteggiare difficoltà di bilancio mai viste per continuare ad assicurare i servizi locali ai residenti.

Codesti risultati delle politiche di austerità, imposte alla fine dalla Germania, dovrebbero bastare per concludere che è necessario cambiare strada. Per contro i governi europei insistono sul sentiero battuto, a riprova del fatto che gli dèi fanno prima uscire di senno coloro che vogliono abbattere. La loro persistenza nell’errore ha preso sempre più forma di misure autoritarie, ideate e avallate da Berlino, Francoforte e Bruxelles. Hanno stanziato quattromila miliardi per salvare le banche, di cui oltre duemila impiegati soltanto nel 2008-2010, ma se i cittadini provano a dire che con 500 euro di pensione o 800 di cassa integrazione non si vive li mettono a tacere con cipiglio affermando che i tagli è l’Europa a chiederli. Come si legge in un altro articolo della stessa rivista citata sopra (firmato da H.-J. Urban), l’autoritarismo dei governi Ue trova un solido alimento nella retorica in tema di sorveglianza e disciplina finanziaria della Bce. La quale parla, nei suoi documenti ufficiali, di “processi di comando permanente”; “regole rigorose e vincolanti di disciplina politico-fiscale”; “credibilità ottenuta tramite sanzioni”; “sorveglianza rafforzata sui bilanci pubblici”, nonché di “robusti meccanismi di correzione” (leggasi pesanti sanzioni) che dovrebbero scattare in modo automatico. Giusto quelli che nei giorni scorsi han messo in fibrillazione il nostro governo, perché forse il bilancio dello Stato ha superato il fatidico limite del 3 per cento sul Pil di un decimo di punto percentuale.

Allo scopo di contrastare sia le politiche dissennate che pretendono di curare la crisi ricorrendo alle stesse dottrine che l’hanno causata, sia il crescente autoritarismo con cui i governi Ue le impongono sotto la sferza costruita da Berlino ma brandita ogni giorno dalla troika di Bruxelles (che in realtà è un quartetto, poiché molte delle sue più aspre prescrizioni sono elaborate dal Consiglio europeo, di cui fanno parte i capi di Stato e di governo dei paesi Ue), esiste una sola strada: la riforma dei trattati Ue, ovvero dei trattati di Maastricht, Lisbona ecc. oggi ricompresi nella versione consolidata che comprende le norme di funzionamento dell’Unione. I trattati particolari che ne sono discesi, fino all’ultimo dissennato “Patto fiscale”, che se fosse mai rispettato assicurerebbe all’Italia una o due generazioni di miseria, hanno come base il Trattato Ue, per cui da questo bisognerebbe partire.

Tra le revisioni principali da apportare al Trattato (alcune delle quali sono prospettate anche da Fisahn, l’autore citato all’inizio: ma articoli e libri che avanzano proposte a tale scopo, in quel tanto di pensiero critico che sopravvive in Europa, sono dozzine) la prima sarebbe di attribuire al Parlamento Europeo dei poteri reali, laddove oggi chi elabora i veri atti di governo è un organo del tutto irresponsabile, non eletto da nessuno, quale è la Commissione europea. Lo statuto della Bce dovrebbe includere la facoltà, sia pure a certe condizioni, di prestare denaro direttamente ai governi, rimuovendo l’assurdità per cui è l’unica banca centrale del mondo cui è vietato di farlo. Inoltre, esso dovrebbe porre accanto alla stabilità dei prezzi, quale finalità primaria delle sue azioni, un vincolo miope imposto a suo tempo dalla Germania che non ha ancora elaborato il lutto per l’inflazione del 1923, lo scopo di promuovere la piena occupazione.

Dovrebbe altresì prevedere, la revisione del Trattato Ue, una graduale riforma radicale del sistema finanziario europeo volta a ridurre i suoi difetti strutturali, cioè l’eccesso di dimensioni, complessità, opacità (il sistema bancario ombra pesa nella Ue quanto il totale degli attivi delle banche), di facoltà di creare denaro dal nulla mediante il debito; laddove nella versione attuale il Trattato si preoccupa soprattutto di liberalizzare ogni aspetto del sistema stesso, con i risultati disastrosi che si sono visti dal 2008 in avanti: in special modo in Germania. A fronte di tale indispensabile riforma, gli interventi in atto o in gestazione, tipo il Servizio europeo di vigilanza bancaria o l’unione bancaria, sono palliativi da commedia di Molière. Infine l’intero trattato dovrebbe essere riveduto in modo da prevedere modalità concrete di partecipazione democratica dei cittadini a diversi livelli di decisione, dai comuni ai massimi organi di governo dell’Unione. Come diceva Hannah Arendt, senza tale partecipazione la democrazia non è niente.

So bene che a questo punto chi legge sta pensando che tutto ciò è impossibile. Stante la situazione politica attuale, nel nostro paese come in altri e specialmente in Germania, non ho dubbi al riguardo. Ma forse si potrebbe cominciare a discuterne. Ci sarebbe un politico italiano volonteroso e capace di avviare simile discussione? Anche perché l’alternativa è quella di continuare a discutere per altri venti o trent’anni, intanto che il paese crolla, di come fare a ridurre il deficit di un decimo dell’un per cento.

(30 settembre 2013)

http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... rattati-ue


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Re: Limite del 3% Perché? E' ancora valido?

Messaggioda franz il 01/10/2013, 8:22

Le riforme in europa vanno fatte. parlamento e governo dovrebbero essere eletti direttamente ed avere poteri, compresa l'imposizione fiscale. Giuste le riforme sul sistema finanziario. Giusto avere un sistema unificato di welfare. Ed anche la facoltà della BCE di intervenire per sostenere le finanze federali (ma a questo punto non quelle dei singoli stati).

Ma limiti alla crescita spesa pubblica ci devono essere sempre.
Anche in USA, dove la FED puo' intervenire con massicci QE, lo stato federale si blocca quando supera il limite di spesa, esattamente come avviene per ognunio dei 50 states. Il problema, caro Gallino, non è Merkel con il suo rigore ma sono i tanti anonimi capetti che spendono e spandono soldi che non sono loro ma sono stati presi ai contribuenti e vengono spesi male. Che si chiami fiscal compat, blocco dell'indebitamento, o shutdown, un meccanismo ci vuole e piu' automatico è e piu' è sottratto alle convenienze della politica.



«Chiude» lo Stato federale: niente accordo tra democratici e repubblicani
Obama non evita lo «shutdown»: «Avrà l'impatto peggiore dalla II Guerra Mondiale». A rischio 800 mila statali

WASHINGTON - Chiude lo Stato federale Usa. Il Congresso non ha trovato un'intesa sul finanziamento della macchina statale, provocando lo «shutdown», appunto «chiusura». È un durissimo colpo alla ripresa economica Usa e mondiale. L'ultima «chiusura» risale a 17 anni fa e costò 2 miliardi di dollari: ora ci sarà un «impatto immediatamente su tutta l'economia, il peggiore dalla seconda guerra mondiale». Così il presidente Barack Obama fa sentire la sua voce sulle conseguenze dello shutdown, che a causa del mancato accordo fra repubblicani e democratici sul bilancio provvisorio è scattato alla mezzanotte americana (le 6 di mattina in Italia). In seguito al blocco dei fondi, circa 800mila lavoratori statali non riceveranno più stipendio, ci sarà la chiusura di musei, degli sportelli ministeriali e persino dei parchi naturali in tutti gli States.

IL MESSAGGIO ALLE TRUPPE - «Voi e le vostre famiglie meritate molto meglio delle disfunzioni che abbiamo visto al Congresso». Obama, in qualità di Commander in Chief, ha inviato alle truppe americane, attraverso la tv delle Forze armate, un videomessaggio molto forte, pochi istanti dopo la «chiusura» dello Stato federale. Una mossa dal forte significato simbolico che spiazza inevitabilmente la destra repubblicana, tradizionalmente molto vicina alle Forze armate, e rilancia il profilo di un presidente all'attacco, che si batte contro i politicanti di Washington, a difesa di chi si batte e si sacrifica per la libertà e la sicurezza dell'America. Obama rassicura che i militari in servizio non saranno colpiti dallo shutdown. Tuttavia, avverte che il personale civile potrebbe essere ridotto. Quindi si augura che presto il Congresso rinsavisca e trovi un accordo prima possibile.

LO SCONTRO SULL'OBAMACARE - Lo shutdown è stato provocato dal durissimo muro contro muro tra Casa Bianca e partito repubblicano sul budget. Ma il vero scontro è sulla riforma sanitaria: il «Grand Old Party», che ha la maggioranza alla Camera, ha deciso di bloccare ogni finanziamento alla controversa Obamacare, proponendo un via libera ai fondi a patto che si ritardasse di un anno l'entrata in vigore della celebre riforma, prevista proprio oggi, martedì 1 ottobre. Di contro, Barack Obama e il partito democratico non si sono piegati, tenendo il punto e difendendo l'immediata applicazione di una legge approvata tre anni fa al termine di una battaglia campale e che oggi avrà effetti concreti per la vita di circa 35 milioni di americani.

NO RASSEGNAZIONE - «Non sono affatto rassegnato a una paralisi dello Stato», aveva spiegato il presidente americano a poche ore dalla scadenza per l'innalzamento del tetto del debito in Usa. Il tutto mentre i repubblicani continuavano a fare muro contro il governo. Lo Speaker repubblicano alla Camera, John Boehner aveva chiarito infatti di non voler fare marcia indietro sulla richiesta di rinvio della riforma sanitaria: «La Camera ha fatto il suo lavoro», avvertiva, invitando i democratici a votare per il provvedimento repubblicano. A loro volta i democratici, che controllano il Senato, hanno respinto la proposta repubblicana, chiedendo alla Camera di approvare un bilancio provvisorio per il 2014.

POSTI DI LAVORO A RISCHIO - E intanto si fanno i conti su quanto costerebbe al paese il primo «shutdown» dal 1996, quando in carica c'era il presidente Bill Clinton. Come riporta il Washington Post, la chiusura parziale delle agenzie federali potrà costare circa 200 milioni di dollari al giorno alla regione della capitale Washington, quella con più alta concentrazione di dipendenti pubblici e appaltatori federali. Inoltre, oltre 800.mila dipendenti pubblici potranno essere a vario titolo subire l'effetto negativo di uno «shutdown». Secondo Stephen Fuller, direttore del Center for Regional Analysis della Mason University, la paralisi federale peserà anche sul turismo, da cui deriva buona parte degli introiti della regione, specie se saranno chiusi musei, il National Zoo e le altre attrazioni locali. Tuttavia gli effetti negativi non si sentiranno subito: «l'economia non patirà molto a meno che lo shutdown non duri per tre o quattro settimane, ma per l'area di Washington è uno tsunami», ha detto Fuller, tanto più che il «sequester», i tagli automatici alla spesa pubblica scattati lo scorso marzo, ha già provocato danni sensibili alle casse della regione.
30 settembre 2013 (modifica il 1 ottobre 2013) www.corriere.it
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