Palombella rossa2:04 pm in News da rita castellani
Siena, Monte dei Paschi, 9 maggio 2012: la magistratura decide che è giunta l’ora di acquisire gli atti della controversa acquisizione di Antonveneta da parte del gruppo bancario di Siena, avvenuta nel 2007, e che lo avrebbe indotto a comportamenti poco trasparenti fino ad oggi, al fine di mascherare le difficoltà finanziarie. Seguono spettacolari perquisizioni della Guardia di Finanza. Diciamo che la magistratura si è presa un congruo tempo di riflessione.
Milano, Holding Imco e Sinergia della famiglia Ligresti, 16 aprile 2012: la procura chiede il fallimento delle holding. Nel pomeriggio dello stesso giorno si sarebbero dovute tenere le riunioni dei CdA di Premafin, Fonsai e Assicurazioni Milano, tutte controllate dalle holding dei Ligresti, per l’assenso finale all’acquisizione dell’intero gruppo da parte di Unipol, che sarebbe così diventato il primo operatore nazionale nel ramo vita. Naturalmente l’avvio della procedura fallimentare blocca la vendita. Diciamo che la magistratura è stata particolarmente tempestiva.
Unipol e Monte dei Paschi sono considerate le cassaforti “rosse”, con qualche approssimazione, ma anche buoni fondamenti di verità: la solidità finanziaria del gruppo Unipol (Assicurazioni, Banca) poggia sul sistema delle cooperative, a partire da quelle dell’Emilia Romagna; Monte dei Paschi è il terzo gruppo bancario italiano e mantiene una stretta relazione con il principale partito di sinistra (prima Pci, poi Pds, poi Ds, ora Pd), anche formalmente attraverso le rappresentanze istituzionali del territorio senese negli organismi di governance di banca e fondazione .
Prima di scandalizzarci troppo di queste relazioni, forse non proprio “di mercato”, dobbiamo ricordarci di come era (ed è) strutturato il controllo del capitale finanziario privato nazionale. Si è a lungo parlato di “capitalismo familistico”, per indicarne l’organizzazione per famiglie, appunto, legate tra loro da vincoli di interessi e, a volte, anche di parentela. Famiglie per bene che, quando, dovevano comporre qualche screzio o andare incontro alle difficoltà di qualche componente, non andavano a farlo sulla pubblica piazza, per esempio della Borsa Valori, ma si incontravano discretamente nel loro “salotto buono”, come lo chiamava Scalfari: Mediobanca, a un tempo finanziatore e camera di compensazione di scambi e passaggi di proprietà, all’insegna della massima discrezione. Oggi diremmo: totale assenza di trasparenza.
In questo contesto, i legami con la politica, quella importante che controllava prima il capitale pubblico e, poi, il sistema di regolazioni e di incentivi, erano anch’essi tanto discreti quanto scontati.
I “rossi” erano fuori: dal governo e, quindi, dal salotto buono. Qualcuno deve aver pensato, ad un certo punto, che, riuscendo ad entrare nel salotto buono sarebbe stato più facile andare al governo.
Ma, intanto, arrivava l’euro, e la globalizzazione. E, soprattutto, Berlusconi al governo: uno che di salotti buoni ne aveva frequentati pochi, ma era abbastanza furbo da capire che i suoi personali spazi di manovra sarebbero aumentati, se avesse garantito quelli degli altri. E quindi, mentre si gridava alla liberalizzazione (sempre e soprattutto del mercato del lavoro), sul mercato dei capitali le cose cambiavano solo il minimo indispensabile a mettersi in regola con le nuove esigenze di capitalizzazione degli istituti finanziari, dopo l’ingresso nell’euro. Qualche volta, poi, si provava anche a farne a meno, come appunto nella vicenda dei tentativi di acquisizione di Antonveneta: addirittura con l’avallo della Banca d’Italia del Governatore Fazio (in questi giorni sotto processo, per la vicenda), da parte della Popolare Italiana di Fiorani (ma c’era dentro, se pure marginalmente, anche Unipol) ; e poi proprio da parte di Monte dei Paschi, attraverso il Banco di Bilbao, garantendo a quest’ultimo una plusvalenza di oltre 3 miliardi (qui tutta la storia, con qualche indicazione più precisa sui “rossi” di riferimento di Mps).
Ora la magistratura vuole sapere da dove venissero tutti quei soldi e come ha fatto Mps a sostenere il titolo, che ha più volte, da allora, rischiato di crollare in Borsa. E lo vuole sapere prima di tutto da Mussari, già presidente di Banca e Fondazione, e ora nientemeno che a capo dell’Abi (Associazione delle Banche Italiane), dopo aver graziosamente ceduto la guida di Mps ad Alessandro Profumo. Con il parimenti grazioso patronato di Mediobanca, manco a dirlo, che dal novembre 2011 ha acquisito l’1,9 per cento della Fondazione a compensazione dei crediti vantati; mentre Mps ha messo in vendita anche la partecipazione che aveva proprio in Mediobanca.
Insomma, i “rossi” di Mps hanno fallito l’obiettivo, e per di più, incalzati dai debiti, hanno dovuto anche cedere il plurisecolare controllo della Banca da parte della Fondazione. E ora si parla di contratto di solidarietà per i 31.000 dipendenti.
Il Governatore Fazio provò a farsi mallevadore dell’ingresso nel famoso salotto anche di Unipol, quando questa, nel 2005, forte della partecipazione paritaria in Bnl Vita, lanciò l’Opa per l’acquisizione maggioritaria della Banca Nazionale del Lavoro. E’ questa l’operazione che portò l’incauto Fassino, allora Segretario nazionale dei Ds, a chiedere all’Ad di Unipol Consorte, che, incauto anche lui, lo stava informando telefonicamente: “Ma allora adesso abbiamo una banca?”
Nel frattempo, però, soprattutto per via di Antonveneta, Fazio cade in disgrazia e si dimette il 19 dicembre del 2005. Il 10 gennaio 2006 la Banca d’Italia, dopo cinque mesi di istruttoria, comunica a Unipol che non ha riscontrato i requisiti prudenziali di patrimonializzazione che possano consentire l’acquisizione di Bnl. Il 16 gennaio diventa Governatore di Banca d’Italia Mario Draghi, mentre Bnl finisce poi nelle capaci braccia di Bnp- Paribas.
All’Unipol hanno imparato la lezione. Non si entra nel salotto buono senza il permesso dei padroni di casa. E così quando Mediobanca, all’inizio del 2012, preoccupata delle precarissime condizioni del Gruppo Ligresti, verso cui è pesantemente esposta, cercando un compratore si rivolge proprio a loro, quelli di Unipol, nella persona del presidente Stefanini e dell’Ad Cimbri, non stanno nella pelle. Oltretutto, con l’acquisizione di Fonsai e Milano Assicurazioni, Unipol diventerebbe il primo gruppo assicurativo nazionale nel ramo vita: e non li coglie neanche il sospetto che la cosa possa contrastare con quel minimo di concorrenza che l’Antitrust cerca di mantenere nel settore. A scanso di equivoci, tuttavia, il 2 maggio Cimbri incontra la Commissione e si dichiara disponibile a fornire qualunque garanzia venga richiesta, purché si possa procedere rapidamente
Lo stesso giorno, le banche creditrici delle holding di Ligresti si dichiarano disponibili a partecipare alla ristrutturazione del debito e chiedono tempo al Tribunale fallimentare di Milano, che lo concede: fino al 13 giugno. Ora che sanno c’è chi è determinato a pagare i debiti di Ligresti, le banche non hanno fretta di farlo fallire; anche se, intanto, si apprende che si è fatto pagare 40 milioni di euro da Fonsai e Milano Assicurazioni per consulenze rese tra tra il 2003 3 il 2010, mentre sua figlia Jonella si faceva sponsorizzare un cavallo per 4,8 milioni di euro. Ma, soprattutto, il capofamiglia è sospettato di aggiotaggio, per aver artificiosamente sostenuto il valore del titolo della controllata di famiglia Premafin (intanto che trattava sul prezzo per venderla a Unipol) attraverso l’intervento in borsa di sue società offshore.
Ma che bello spettacolo, no? Questo deve aver pensato Matteo Arpe, giovane Ad di Sator Finanziaria, uno che Mediobanca la conosce bene, avendoci lavorato dodici anni; come la conosce, sempre per averci lavorato, Giorgio Drago, Ad di Palladio Finanziaria, “la cassaforte delle ricche famiglie del Nord Est”, e poi “anche delle ricche famiglie del bresciano”. E così i due insistono per presentare un’offerta anche loro per Fonsai, ma alla luce del sole, piuttosto che nei salotti antichi e polverosi: offrono 800 milioni di ricapitalizzazione, di cui, sia chiaro, neanche un centesimo andrà nelle tasche della famiglia Ligresti, a cui, se mai, si offre di restare in partecipazione. L’offerta viene ribadita ufficialmente il 9 maggio, mentre Unipol attende dalla Consob il via libera all’acquisizione senza presentazione di Opa (cioè, Offerta Pubblica di Acquisto). L’Opa, infatti, lascerebbe aperta una possibilità di partecipazione a concorrenti che, come abbiamo visto, ci sono e sono pronti; l’esenzione, tuttavia, sarà concessa solo se la Consob riterrà congrua l’offerta di Unipol. Il pronunciamento della Consob è atteso per la metà di maggio.
Dunque, gli ostacoli in campo per Unipol sono ancora pesanti. Vediamoli in ordine cronologico:
1) il pronunciamento della Consob;
2) l’eventuale ricorso di Sator e Palladio, nel caso la Consob si pronunciasse a favore dell’esenzione dall’Opa;
3) le decisioni del giudice fallimentare sul piano di ristrutturazione delle banche per Imco e Sinergia;
4) le implicazioni penali sul comportamento dei Ligresti, che potrebbe comunque bloccare tutto quello che possiedono.
Tutto questo in un quadro politico-istituzionale in cui le recenti elezioni amministrative hanno fortemente indebolito tutti i possibili riferimenti per una trattativa, diciamo così, di supporto.
L’impressione è che questi “rossi” continuino a non essere graditi in certi ambienti, anche se si presentano con il portafoglio in mano. E che, se mai riescono a varcare la soglia di casa, sono destinati a fermarsi all’anticucina.
Qual è la morale di queste storie, peraltro non ancora concluse?
Che sarebbe stato meglio occuparsi prima delle regole e provvedere, quando si sarebbe potuto e dovuto, a introdurre elementi di concorrenza vera nel mercato finanziario italiano, tagliando privilegi, anche fiscali, e colpendo duramente cartelli e patti di sindacato, taciti o espliciti che fossero.
Che continuare a fare patti sottobanco non aiuta questo paese a cambiare e a mettersi al passo con la modernità e, soprattutto, con le aspirazioni di tanti giovani che vorrebbero esprimere la loro professionalità, continuando a viverci. Ma non possono, perché tutto è chiuso in un cerchio di famiglie, poche e sempre più ricche, il cui interesse a non far circolare il capitale è accuratamente salvaguardato, anche da un sistema fiscale che premia patrimonio e rendite e punisce il profitto d’impresa come i redditi da lavoro.
Che è ora di svegliarsi, e di pensare al Paese, invece che a farsi amici “i potenti”, o il Paese deciderà a modo suo, avendo cominciato a capire che, in ogni caso, continuando per questa strada, si rischia di andare a finire sempre peggio. E questo “peggio” non si può più sopportare.
http://www.prossimaitalia.it/news/2710/ ... lla-rossa/