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MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Forum per le discussioni sulle tematiche economiche e produttive italiane, sul mondo del lavoro sulle problematiche tributarie, fiscali, previdenziali, sulle leggi finanziarie dello Stato.

Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda franz il 27/11/2011, 22:30

chango ha scritto:veramente, in Italia, le donne che lavorano hanno mediamente un livello di istruzione superiore a quello degli uomini.

per quanto riguarda la produttività, più che al lavoratore si dovrebbe guardare all'impresa e alla politica industriale che fa un paese.
avere lavoratori iperformati, quando ciò che le imprese richiedono è manodopera a basso costo non serve a nulla.
non è che le micro imprese di per sè non è in grado di produrre valore aggiunto da 60.000 euro. anche qui dipende in che settore opera.
anche qui dipende dalla scelta dell'imprenditore e dalla politica industriale che un Paese decide di perseguire.
questo influisce anche sulla politica educativa che un paese decide di seguire.
se decidi che ti servono tornitori non crei un sistema di istruzione che produce in massa ingegneri.

Chango, vediamo di capirci, ... le donne che lavorano (poche, rispetto all'europa) sono quelle (poche) che sanno fare qualcosa, e quindi hanno un buon livello professionale. Quelle (tante) che non lavorano, di norma, non hanno qualifiche adeguate.

Sulla politica industriale, mi chiedo perchè a sinistra dobbiate avere il mito che tutto succede perchè qualcuno dall'alto decide di avere una "politica industriale". O di non averla. le cose vanno all'inverso di come pensi.
Non è che uno vuole fare bulloni e quindi non ha bisogno di ingeneri. Sicuramente qualcuno vorrebbe fare qualche cosa di piu' qualificato ma non trovando ingeneri, decide di fare i soliti bulloni. Le cose qualificate le farà all'estero, se non riesce ad importare ingegneri dalla cina (n paese che ogni anno prepara 600.000 nuovi ingegneri).
la politica industriale è una cosa vuota, un termine finto, che molti usano per riempirsi la bocca.
basterebbe mettere bene in relazione industrie e università, soprattutto i politecnici e le scuole professionali, e tutto avverrebbe spontaneamente, come nel resto d'europa. Ma no, in Italia che le università "si vendano ai privati" è un tabu ideologico, mentre i politici dovrebbero preparare "politiche industriali" quando non capiscono un @#°°§ di industria e di economia! Semplicemente allucinante. I politici non sono nemmeno capaci di fare politica e dovrebbero fare "politiche industriali"? Ma che dire ai politici che propongono questo? Va scuà l mar cun la furchèta!
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Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda flaviomob il 28/11/2011, 2:26

Si vede che secondo franz le donne nordiche hanno qualche fattore... genetico in più. :lol:
Altrimenti, viene da pensare che sia proprio la differenza di politiche educative e socioeconomiche messe in atto nei decenni, come sostiene chango, a determinare una condizione femminile che rispetti la dignità e la libertà della donna.
In Italia esiste anche un altro fattore culturale che ben rappresenta l'arretratezza del nostro sistema produttivo: non riesce a passare il concetto che il lavoratore part time è più produttivo, per ogni ora lavorata. Ciò non è riconosciuto, mentre a livello internazionale è dimostrato e assodato, e chi chiede il part time viene di solito ostacolato o, se ne ha diritto, non fa più carriera (altro criterio fortemente lontano da considerazioni su merito, talento, efficienza).

Per franz da noi ci sarebbero solo scioperi e lamentele... beh, in realtà non ci conviene dato che i sindacati svedesi rimborsano ai lavoratori ogni ora di sciopero proclamata ed effettuata... a conti fatti, a noi conviene molto meno scioperare! :lol:


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Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda franz il 28/11/2011, 9:35

flaviomob ha scritto:Si vede che secondo franz le donne nordiche hanno qualche fattore... genetico in più. :lol:
Altrimenti, viene da pensare che sia proprio la differenza di politiche educative e socioeconomiche messe in atto nei decenni, come sostiene chango, a determinare una condizione femminile che rispetti la dignità e la libertà della donna.

Non è un fattore genetico ma culturale.
Sai dirmi la percentuale delle donne italiane che smette con la III media e la percentuale equivalente ... non so, in svezia, germania, danimarca, francia?
Qui tu puoi mettere in atto tutte le politiche educative che vuoi ma se le donne non studiano ed anche molti maschietti vanno a bottega in officina dopo le medie per iniziare a lavorare a 16 anni (e poi dopo 40 anni vogliono andare in pensione e 56 anni) la condizione di miseria se la creano da soli.
A mio avviso qui quello che "vince" (MA FA PERDERE IL PAESE) è un modello culturale familiare, tramandato da genitori a figli. lo stato, con le politiche educative puo' fare bene poco (e fa molto meno di quello che dovrebbe fare).
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Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda chango il 28/11/2011, 14:50

franz ha scritto:Chango, vediamo di capirci, ... le donne che lavorano (poche, rispetto all'europa) sono quelle (poche) che sanno fare qualcosa, e quindi hanno un buon livello professionale. Quelle (tante) che non lavorano, di norma, non hanno qualifiche adeguate.


il problema del saper fare qualcosa e del buon livello professionale riguarda però solo le donne. gli uomini con bassa qualifica riescono comunque a lavorare e a rimanere sul mercato. anche quando gli nasce un figlio o quando hanno i genitori anziani e non più pienamente autosufficienti.
per le donne aver un certo livello di istruzione piuttosto che un altro influenza maggiormente la possibilità di poter lavorare.
perchè aumetna la possibilità di avere un reddito più alto e riuscire ad acquistare esternamente parte del lavoro di cura che graverebbe su di lei (baby-sitter, colf, badante, ecc.) ; perchè aumenta la possibilità di essere impiegate in posti di lavoro relativamente sicuri e stabili (pubblico impiego).

la partecipazione al mercato del lavoro delle donne è fortemente influenzata da intervrenti pubblici di welfare che allegeriscano il lavoro di cura che grava sostanzialemtne su di loro.
e lo è non solo perchè permette alla donna di lavorare, ma anche perchè crea delle opportunità di lavoro in un settore, quello dei servizi alla persona, fortemente caratterizzato da occupazione femminile.

Sempre nell'ambito della conciliazione lavoro famiglia, per aumentare l'occupazione femminile, un ruolo chiave è svolto anche del part-time. una forma di flessibilità di cui in Italia si parla poco (visto quanto siamo concentrati sulla flessibilità in entrata o uscita dal lavoro).

Pensare che le donne non lavorino perchè scarsamente istruite vuol dire ignorare una serie di elementi che influenzano in modo decisamente superiore (e in modo marcatamente di genere) il tasso di attività e occupazione femminile.



franz ha scritto:Sulla politica industriale, mi chiedo perchè a sinistra dobbiate avere il mito che tutto succede perchè qualcuno dall'alto decide di avere una "politica industriale". O di non averla. le cose vanno all'inverso di come pensi.
Non è che uno vuole fare bulloni e quindi non ha bisogno di ingeneri. Sicuramente qualcuno vorrebbe fare qualche cosa di piu' qualificato ma non trovando ingeneri, decide di fare i soliti bulloni. Le cose qualificate le farà all'estero, se non riesce ad importare ingegneri dalla cina (n paese che ogni anno prepara 600.000 nuovi ingegneri).
la politica industriale è una cosa vuota, un termine finto, che molti usano per riempirsi la bocca.
basterebbe mettere bene in relazione industrie e università, soprattutto i politecnici e le scuole professionali, e tutto avverrebbe spontaneamente, come nel resto d'europa. Ma no, in Italia che le università "si vendano ai privati" è un tabu ideologico, mentre i politici dovrebbero preparare "politiche industriali" quando non capiscono un @#°°§ di industria e di economia! Semplicemente allucinante. I politici non sono nemmeno capaci di fare politica e dovrebbero fare "politiche industriali"? Ma che dire ai politici che propongono questo? Va scuà l mar cun la furchèta!


politica industriale sono anche le liberalizzazioni.
anche queste sono vuote?
far cooperare mondo produttivo e unversità e scuole professionali è anche questa politica industriale.
creare un sistema di incentivi che spinga le imprese a innovare, a fare ricerca e a investire in formazione, pure questa è politica industriale.
stimolare le piccole imprese a creare reti, fare sistema per affrontare in modo più competitivo la sfida dei paesi emergenti è sempre poltica industriale.

non è che il termine "politica" sia sinonimo di comunismo, dirigismo o Unione sovietica...
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Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda franz il 28/11/2011, 18:16

chango ha scritto:Pensare che le donne non lavorino perchè scarsamente istruite vuol dire ignorare una serie di elementi che influenzano in modo decisamente superiore (e in modo marcatamente di genere) il tasso di attività e occupazione femminile.

Non è "pensare" ma "sapere", dopo aver letto i dati OECD (education at a glance, ultima serie)

chango ha scritto:politica industriale sono anche le liberalizzazioni.
...
stimolare le piccole imprese a creare reti, fare sistema per affrontare in modo più competitivo la sfida dei paesi emergenti è sempre poltica industriale.

non è che il termine "politica" sia sinonimo di comunismo, dirigismo o Unione sovietica...

Calma e gesso, ci siamo già avvitati su questa discussione vari mesi fa.
Anche le liberalizzazioni? Ok, allora prima o poi arriveremo a concludere che uno stato che non fa nulla e si ritira dalla gestione dell'econimia, sta facendo "politica industriale". Un po' come dire che qualsiasi cosa faccia o non faccia, è "politica industriale". MI sembra ridicolo.
Cerchiamo di dare una definizione che non sia cosi' sfuggente e buona per tutti i gusti.
Ho trovato questa, che mi sembra rigorosa e chiara:

La politica industriale è quel complesso di interventi, deciso ed organizzato da un soggetto pubblico, avente poteri coercitivi o di indirizzo, miranti ad influenzare con strumenti macroeconomci il sistema industriale, secondo direzioni e o tempi diversi da quanto sarebbe accaduto in assenza dell'intervento stesso.

Nazionalizzare e regolamentare fortemente il mercato quindi è politica industriale ma privatizzare o liberalizzare invece no, perché sono il contrario.
Privatizzare o liberalizzare significa smontare o destrutturare passate politiche industriali. Eliminare i passati interventi.
È politica e come atto sicuramente aiuta l'economia ma non come "politica industriale" intesa in senso classico.

In ogni caso non so se detassare in parte il lavoro femminile sia "politica industriale" (non credo) ma la domanda qui che ci si pone in questo thread è se sia giusto oppure no.
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Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda chango il 28/11/2011, 21:34

franz ha scritto:Non è "pensare" ma "sapere", dopo aver letto i dati OECD (education at a glance, ultima serie)


Nel rapporto OECD si dice ch un livello di istruzione più alto permette tassi di occupazioni più alti.
ma questo vale sia per gli uomini che per le donne, non è una caratteristica specifica delle donne.
eppure in Italia a parità di titolo di studio gli uomini hanno tassi di occupazione maggiori.
sempre dallo stesso rapporto si può osservre come a parità di livello di istruzione le donne svedesi abbiano un tasso di occupazione superiore alle donne Italiane: 40,4% contro il 15,5% per chi è in possesso al massimo della licenza elementare e 63% contro il 40,9% per chi ha conseguito solamente la licenza media.
a favorire la partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne devono esserci anche altri fattori, maggiormente caratterizzati rispetto al genere.
poi che l'istruzione sia importante non lo metto in dubbio, però è vero anche per gli uomini.


franz ha scritto:
Calma e gesso, ci siamo già avvitati su questa discussione vari mesi fa.
Anche le liberalizzazioni? Ok, allora prima o poi arriveremo a concludere che uno stato che non fa nulla e si ritira dalla gestione dell'econimia, sta facendo "politica industriale". Un po' come dire che qualsiasi cosa faccia o non faccia, è "politica industriale". MI sembra ridicolo.
Cerchiamo di dare una definizione che non sia cosi' sfuggente e buona per tutti i gusti.
Ho trovato questa, che mi sembra rigorosa e chiara:

La politica industriale è quel complesso di interventi, deciso ed organizzato da un soggetto pubblico, avente poteri coercitivi o di indirizzo, miranti ad influenzare con strumenti mIcroeconomci il sistema industriale, secondo direzioni e o tempi diversi da quanto sarebbe accaduto in assenza dell'intervento stesso.

Nazionalizzare e regolamentare fortemente il mercato quindi è politica industriale ma privatizzare o liberalizzare invece no, perché sono il contrario.
Privatizzare o liberalizzare significa smontare o destrutturare passate politiche industriali. Eliminare i passati interventi.
È politica e come atto sicuramente aiuta l'economia ma non come "politica industriale" intesa in senso classico.

In ogni caso non so se detassare in parte il lavoro femminile sia "politica industriale" (non credo) ma la domanda qui che ci si pone in questo thread è se sia giusto oppure no.


se è politica industriale comprare un impresa (nazionalizzare) lo è anche vendere la stessa impresa (privatizzare).
le liberalizzazioni, poi, non sono altro che un modo diverso di regolamentare un mercato.

in base alla tua definizione, rigorosa e chiara, è arduo non definire le privatizzazioni e le liberalizzazioni interventi mirati a influenzare il sistema industriale secondo direzioni e/o tempi diversi da quanto sarebbe accaduto in assenza dell'intervento pubblico.
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Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda franz il 28/11/2011, 21:46

chango ha scritto:Nel rapporto OECD si dice ch un livello di istruzione più alto permette tassi di occupazioni più alti.
ma questo vale sia per gli uomini che per le donne, non è una caratteristica specifica delle donne.
eppure in Italia a parità di titolo di studio gli uomini hanno tassi di occupazione maggiori.

certo, credo che sia un aspetto del basilare maschilismo italiano e soprattutto meridionale (inutile nascondercelo ipocritamente) ma questo aspetto comporta che proprio per questo moltissime (troppe) donne rinuncino agli studi ed al ooro riscatto. Come dicevo, le donne che proseguono fli studi in Italia sono poche, rispetto all'europa.
E questo è determinante, secondo me.
chango ha scritto:se è politica industriale comprare un impresa (nazionalizzare) lo è anche vendere la stessa impresa (privatizzare).

No. la prima è politica industriale, la seconda è de-politica industriale.
Entrambe sono "politiche" ma una va in un senso e l'altra nel senso opposto.

come dicevo ...
In ogni caso non so se detassare in parte il lavoro femminile sia "politica industriale" (non credo) ma la domanda qui che ci si pone in questo thread è se sia giusto oppure no.
La tua opinione mi interessa. Non svicolare.
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Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda flaviomob il 28/11/2011, 23:42

L'analisi di franz si scontra con i numeri riportati da questo articolo del Sole24ore... (interessanti anche le tabelle presenti sul sito):

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLi ... 000e251029

Donne, se la laurea non basta
di Alessandra Casarico e Paola Profeta

26 GENNAIO 2008

Dall'inizio del 2007, anno europeo delle pari opportunità per tutti, il dibattito sui temi dell'occupazione femminile e sulle sue potenzialità per la crescita economica si è rinvigorito.
Le misure concrete sono tuttavia ancora poche e timide, sacrificate ad altre priorità (si vedano gli interventi ventilati nella Finanziaria su detrazioni per madri lavoratrici e asili nido rimasti poi in lista d'attesa). Ma i ritardi italiani nell'occupazione femminile richiedono maggiori attenzioni, altrimenti rischiano di accentuarsi. Ricordiamo che secondo il "Global Gender Gap Report" del World Economic Forum per il 2007, l'Italia è scesa dal sessantasettesimo all'ottantaquattresimo posto, ultima in Europa e tra gli ultimi dei Paesi ad alto reddito. Gli elementi critici che determinano lo scarso punteggio italiano sono il basso tasso di occupazione femminile, le pochissime donne ai vertici, oltre a una limitata partecipazione femminile al potere politico. La retrocessione è dovuta non tanto a un abbassamento dell'indice italiano, rimasto pressoché costante, ma dall'avanzamento degli altri Paesi.
Una delle proposte più dibattute per intervenire a favore dell'occupazione femminile è quella della tassazione differenziata per genere, avanzata da Alberto Alesina e Andrea Ichino su questo giornale e ripresa sabato 19 gennaio. Michele Tiraboschi (22 gennaio) ha sottolineato che i problemi dell'occupazione femminile si inseriscono nel quadro più ampio delle difficoltà strutturali del mercato del lavoro italiano e richiedono interventi più comprensivi rispetto all'uso di incentivi fiscali, come proposto dai due economisti.
È nostra opinione che i nodi irrisolti sul gap tra uomini e donne siano molti. Iniziano a scuola, per accentuarsi al momento dell'accesso nel mercato del lavoro ed ingigantirsi nelle progressioni di carriera. Per questo sono necessari più interventi.
Cominciamo dall'istruzione. Scuola e Università: le critiche al nostro sistema formativo sono all'ordine del giorno. I risultati del sistema universitario italiano non sono certo tra i migliori. Se li misuriamo con riferimento al numero di laureati, la percentuale sul totale della popolazione è la più bassa dei Paesi europei, sia per gli uomini che per le donne. Anche se guardiamo ai più giovani, la differenza con gli altri paesi europei rimane ampia. Una novità, recentemente enfatizzata sulla stampa, è il sorpasso delle donne sugli uomini, con una percentuale di laureate pari al 12,7% contro un 11% maschile. Il sorpasso ci accomuna ad altri paesi europei e sembra suggerire che gli ostacoli all'istruzione femminile sono un ricordo del passato. Una nota positiva in una situazione generale critica?
In realtà dati meno conosciuti ne svelano le ombre, che si annidano nel passaggio dalla scuola al lavoro. Solo il 75,8% delle donne italiane che si laureano lavora per il mercato, meno di quanto accada in tutti gli altri paesi europei. Gli altri paesi sembrano quindi più efficaci del nostro nel trasformare il capitale umano accumulato in capacità produttiva. Non solo, come è noto, i tassi di occupazione delle donne con bassi livelli di istruzione sono in Italia decisamente lontani dalla media europea. Questi dati mostrano che anche tra le laureate sussistono difficoltà occupazionali.
E se guardiamo agli uomini? In Italia gli uomini laureati lavorano quasi tutti. La percentuale è inferiore solo a quella della Norvegia. Il capitale umano non utilizzato sul mercato è quindi tutto femminile. Il divario occupazionale di genere tra i laureati (15%) è inferiore a quello che si osserva sull'intera forza lavoro, dove è pari al 25% - ricordiamo infatti che il tasso di occupazione femminile è circa pari al 46% e quello maschile al 71%. Rimane tuttavia decisamente significativo, soprattutto se si considera il sorpasso nell'istruzione di cui si è detto sopra.
In Italia c'è dunque un problema di scarsa istruzione, generale. Se ci concentriamo sul differenziale di genere, riteniamo che ci possa essere, per le donne, un problema di scelte di istruzione. Un maggior legame tra scelta dei corsi di studio e sbocchi occupazionali farebbe salire quel 75,8% che ci lascia ultimi in Europa.
Ma c'è anche un problema di funzionamento del mercato del lavoro, soprattutto per le donne. Superato il momento storico in cui la divisione dei ruoli generava minori opportunità per le donne di accedere all'istruzione superiore, la divisione dei ruoli resta importante nel mondo del lavoro. La minor occupazione femminile, anche di laureate, può derivare da scelte all'interno della famiglia, ma anche dal comportamento delle imprese. Letteratura recente (Bjerk D. and Han S., 2007, Assortative Marriage and the Effects of Government Homecare Subsidy Programs on Gender Wage and Participation Inequality, Journal of Public Economics, vol.91, June) dimostra che, se le imprese attribuiscono una probabilità maggiore che a lasciare il posto di lavoro dopo la nascita di un figlio siano le donne piuttosto che gli uomini, anche a parità di caratteristiche individuali (talento e istruzione) offriranno loro un salario inferiore (differenziali salariali). Questo rende razionale la scelta della famiglia di rinunciare al lavoro femminile, anche nel caso di uomini e donne ugualmente istruiti, generando così i differenziali occupazionali.
Un cambio di direzione all'interno delle imprese deve quindi accompagnare gli incentivi alle donne a lavorare di più e il maggior coinvolgimento dei padri nella cura dei figli. È un cambio essenziale per poter trasformare il capitale umano femminile in produttività e crescita economica e per colmare il divario con gli altri Paesi europei.


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Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda franz il 29/11/2011, 9:51

flaviomob ha scritto:L'analisi di franz si scontra con i numeri riportati da questo articolo del Sole24ore... (interessanti anche le tabelle presenti sul sito):

Non direi proprio, eppure è scritto in italiano.

In Italia c'è dunque un problema di scarsa istruzione, generale. Se ci concentriamo sul differenziale di genere, riteniamo che ci possa essere, per le donne, un problema di scelte di istruzione. Un maggior legame tra scelta dei corsi di studio e sbocchi occupazionali farebbe salire quel 75,8% che ci lascia ultimi in Europa.

Poi è chiaro che in Italia non c'è solo quel problema. Purtroppo ne abbiamo mille. Strutturali, culturali, di mercato bloccato e rigido o di mercato duale.
Prendiamo il primo punto. Se le laureate lavorassero tutte, avremmo risolto il gap di genere? Decisamente no. Quel gap è un abisso e non si colma certo con la piena occupazione dei laureati (che in italia sono comunque sempre meno che negli altri paesi industriali avanzati).
Il grosso del gap di genere è determinato dai livelli di studio e formazione, mediamente bassi, delle donne italiane.
La Tabella A1 del citatissimo Education at a Glance 2008,
Indicator A1: To what level have adults studied?
Table A1.2c Population of females who have attained at least upper secondary education (2006)
ci dice che in Italia solo il 52% delle donne ha frequentato studi superiori, mentre tutti i paesi con cui vorremmo paragonarci presentano percentuali superiori all 80%
Con i giovanissimi andiamo meglio ma la cosa grave è che siamo bassi (71%) rispetto agli altri paesi (90% per molti paesi avanzati) per la classe di età 25-34.
Se veniamo alla formazione universitaria, il nostro 13-14% femminile va confrontato con il risultato della svezia (35%) il 41% americano, il 51% candese o anche solo il 20 e 28 di germania e francia (media OECD 27% che il doppio del dato italiano).
Poi naturalmente il tasso di disoccupazione è legato al genere ed al livello di istruzione ma questo è un dato comune. In Italia tra chi ha solo l'istruzione primaria, abbiamo un 7% di disoccupati maschi ed un 11.4% di donne. In Svezia? 7.3 e 10.2%, rispettivamente. Solo che in Svezia chi ha solo l'educazione primaria sono pochissimi (probabilmente immigrati).

Bisognerebbe anche vedere quali studi sono seguiti da chi studia, comparando i percorsi formativi ma questo ci porterebbe lontano.

Poi c'è il problema del mercato, che come sappiamo da noi è duale (rigido per una parte dei lavoratori e molto flessibile per gli altri).

Interessante questa affermazione:
se le imprese attribuiscono una probabilità maggiore che a lasciare il posto di lavoro dopo la nascita di un figlio siano le donne piuttosto che gli uomini, anche a parità di caratteristiche individuali (talento e istruzione) offriranno loro un salario inferiore (differenziali salariali). Questo rende razionale la scelta della famiglia di rinunciare al lavoro femminile, anche nel caso di uomini e donne ugualmente istruiti, generando così i differenziali occupazionali.

Mi chiedo se la citata attribuzione di probabilità sia un fatto culturale del management o una presa d'atto che questo è il comportamento dominante in Italia, per motivi culturali. Una simile ipotesi se la fanno tutti i datori di lavoro del mondo e la risposta sarà basata su come si comportano realmente da noi gli italiani e le italiane. In una società maschilista come la nostra, sarà la donna a stare a casa a far crescere i figli (per motivi culturali, quindi) e non dico che sia giusto ma che è cosi'. Che poi a stipendi inferiori sia anche razionale che a stare a casa sia il minore dei due redditi è corretto, ma perché uno dei due redditi è inferiore ed è quello femminile? Perché lo abbiamo visto sopra con il livello di istruzione femminile, che è piu' basso. Che poi anche a parità di istruzione ci siano stipendi inferiori non lo so, perché dove ci sono contratti nazionali questo non è possibile e dove non ci sono (micro aziende) spesso lavora personale non qualificato e mal pagato comunque, per via della produttività dimezzata tipica delle piccole imprese.

Deve quindi cambiare qualche cosa nelle direzioni aziendali? Anche, ma principalmente quello che deve cambiare è la mentalità dei padri che di solito preferiscono che enormi risorse (decine di miliardi ogni anno) vengano dirottate verso pensioni di anzianità (per loro) piuttosto che verso asili nido e scuole a tempo pieno indispensabili per una famiglia in cui si lavora in due.
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Re: MENO TASSE PER LE DONNE: INEFFICACE E INGIUSTO

Messaggioda chango il 29/11/2011, 14:47

franz ha scritto:
chango ha scritto:Nel rapporto OECD si dice ch un livello di istruzione più alto permette tassi di occupazioni più alti.
ma questo vale sia per gli uomini che per le donne, non è una caratteristica specifica delle donne.
eppure in Italia a parità di titolo di studio gli uomini hanno tassi di occupazione maggiori.

certo, credo che sia un aspetto del basilare maschilismo italiano e soprattutto meridionale (inutile nascondercelo ipocritamente) ma questo aspetto comporta che proprio per questo moltissime (troppe) donne rinuncino agli studi ed al ooro riscatto. Come dicevo, le donne che proseguono fli studi in Italia sono poche, rispetto all'europa.
E questo è determinante, secondo me.

che gli uomini abbiano tassi di occupazione superiori alle donne ,a parità di titolo di studio (oltre che in generale), è sotanzialemente vero per tutti i Paesi OCSE.
per dire, in Svezia gli uomini hanno tassi di occupazione sempre superiori a quelli delle donne per qualsiasi livello di istruzione.
è un aspetto del basilare maschilismo svedese e soprattutto del Norrland?

In Italia non sono solo poche le donne che proseguono gli studi oltre l'obbligo scolastico, ma è vero per tutta la popolazione, uomini inclusi.
eppure si registranto tassi di occupazione molto diversi. anche a livello di istruzione universitaria, dove la percentuale di donne laureate è superiore a quella degli uomini, si registra un tasso di occupazione femminle inferiore rispetto alla componente maschile.


franz ha scritto:
chango ha scritto:se è politica industriale comprare un impresa (nazionalizzare) lo è anche vendere la stessa impresa (privatizzare).

No. la prima è politica industriale, la seconda è de-politica industriale.
Entrambe sono "politiche" ma una va in un senso e l'altra nel senso opposto.


questo si chiama arrampicarsi sugli specchi.

la definzione di poltica industriale l'hai proposta tu e sempre tu l'hai definitia rigorosa e chiara.
in base alla tua definizioneè poltica industriale un intervento che influenza il sistema industriale secondo direzioni o tempi diversi da quanto sarebbe successo in assenza dell'intervento stesso.
è veramente difficile sostenere che l'apertura di un mercato prima protetto (liberalizzazione) non rientri nella definizione appena data.

franz ha scritto:come dicevo ...
In ogni caso non so se detassare in parte il lavoro femminile sia "politica industriale" (non credo) ma la domanda qui che ci si pone in questo thread è se sia giusto oppure no.
La tua opinione mi interessa. Non svicolare.


detassare il lavoro femminile semplicemente perchè lavoro femminile è una pessima idea. anche perchè per creare occupazione per le donne gli interventi prioritari sono altri.
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